Lo Spettatore italiano: La perdita della bellezza
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Livello 1
La perdita della bellezza
Citazione/Motto
Cumque aliquis dicet: fuit haec formosa, dolebis.
Et speculum mendax esse querere tuum.Quand’uom dirà: costei fu bella, avrai
Et speculum mendax esse querere tuum.
Ovid.~k Trist. Lib. 3.~k
Quand’uom dirà: costei fu bella, avrai
Duolo, e infido ‘l tuo specchio accuserai.
Livello 2
Livello 3
Racconto generale
Avevano la natura e la fortuna colmata Erminda de’loro doni, ma le
mancava quella affettuosa tempra di cuore che adorna la bellezza medesima delle sue dolcissime
vaghezze, e che fa il vero valore delle ricchezze conoscere. Non aveva ella gustato giammai il
piacere di versare le sue beneficenze in seno della povertà virtuosa, e tutta sua felicità riponeva
nel vedersi pregiata in bellezza, e nell’essere il fuoco ed il desiderio di mille vagheggiatori.
Vero è che niuno è stato sì fortunato che abbia potuto farle nel cuor sentire alcuna delicata
affezione. Non ha gran tempo, parea ch’ella avesse vólto l’animo al virtuoso ed amabile Clarino; ma
poco stette che via da sè lo rimosse, incolpandolo ch’egli non l’amasse per altro che per la sua
fortuna. Ma mentre che Erminda più e più diveniva superba di sue attrattive, natura improvvisamente
ogni concessa dote le tolse. Un’infermità crudele consumatrice della bellezza guastò le tenere e
candide carni, spense il lume de’begli occhi, e le vermiglia labbra inaridì; nè altro
della bella Erminda restò che la misera Erminda. Chi saprebbe ritrarre la disperata giovane
nell’atto che della perduta bellezza s’accorse? il che tanto le fu amaro, che poco più le sana stata
la morte. Dopo sì sciagurata metamorfosi, quell’Erminda, di cui non era altra che più usasse nelle
conversazioni, negli spettacoli, nei diporti, non si è fatta più tra la gente vedere, anzi si è ella
presso che sepolta nella propria abitazione, e a chi la visita fa trovar le camere scure non
altrimenti che se a lutto voglia esser visitata. Ma perchè tanto sconsolata vuoi startene Erminda,
come se avessi tutto perduto? Non sei forse fresca giovane ancora? Si è egli tolto il potere ornar
l’animo, e di più gentile stampa imprimere il cuore, ed informarlo a’sensi d’onore e di magnificenza
che nobilitare e felicitare li possono? Tu hai parenti pieni d’anni che languiscono derelitti con un
piè nella fossa: tu hai veraci amiche, le quali di te che l’hai dimenticate si rammaricano. Ah!
mentre che tanti infelici sono privi d’ogni bisognevole cosa, mentre che tu ricca ancora puoi far
loro l’ufficio di angiolo consolatore, credi a me, tu non hai nulla perduto. Tu puoi tornare ancora
bella d’una bellezza celeste, quella di un’anima innocente e pura; e una volta che tu l’abbi
veramente posseduta, nè il tempo nè i mali nè la morte medesima avranno alcun potere sopra di lei.
Cessa di sospirare gli omaggi di coloro che non a te, ma alla tua bella persona li rendeano: provati
a meritar quelli che all’intelletto, alle grazie, alle virtù sono offerti: formati donna umana, amorevole e pietosa, ed allora avrai leali e teneri amatori, i quali compresi
dall’ammirazione e dal rispetto di tua fortezza e di tua vittoria, verranno disiosi a porgere i loro
omaggi ad Erminda meno bella sì, ma più gentile e più degna d’esser amata.
Livello 3
Esempio
Clelia alle doti più rare dello spirito e del cuore accoppiava tutti
gl’incanti della bellezza; ma non per altro si compiaceva d’esser bella che per gradire all’amante,
il quale era stato degno di essere eletto da lei. Stava per congiungere la sua vita a quella
dell’amabile e virtuoso Termondo, quando fu soprappresa da quel male stesso onde fu percossa
Erminda. Credè Clelia di aver colla bellezza perduta ogni speranza di felicità. In luogo di voler
sagrificare l’amante, non sì tosto potè, che gli scrisse per liberarlo dalla data fede, e disdirgli
il maritaggio. “L’oggetto, diceva il foglio, del vostro amore si è dileguato. Quella Clelia cui
faceste dono del cuor vostro, è d’ogni piacevolezza rimasa priva, anzi diventata una figura
compassionevole, e forse, ahimè! anche orribile: questi occhi che scintillavano di letizia quando io
li fissava in quelli del mio fedele, sono presso che estinti; queste guance che di sì bel vermiglio
davanti a lui si coloravano, son grinze e sparute; questa bocca ch’egli per pegno di eterno amore
una fiata mi baciò senza colpa, di sì purpurea come era, pallidissima è divenuta. Una infermità
spaventevole ha tutte le mie fattezze guaste e sformate. Chino, gemendo, sommessa fa fronte al mio
perverso destino; ma sallo il cielo, di leggieri mi conforterei, se perdendo i vezzi
non perdessi l’amante. Addio, o voi che foste e sarete sempre il termine de’miei dolci pensieri:
mandivi il cielo ogni gioia; ricordatevi qualche volta di Clelia infelice, ma non vogliate vederla
mai più: questa, oh Dio! è l’ultima testimonianza di amore che ancora vi chiede.” Non istette grande
spazio che Termondo le rispose: “La lettera in che la tenera mia amica mi ha ritratte le sue
danneggiate fattezze, non ha fatto altro che rivelarmi la beltà dell’animo suo, e crescer l’amor che
le porto. Credetemi, che se altro non aveste avuto che le belle sembianze esteriori, non sareste mai
stata la cagione di tutti gli affetti miei. Clelia spogliata della corporal bellezza, che è fior
caduco, quanto a me, non è meno degna d’amore. Il suo infortunio, se pure può darglisi tal nome, la
rende a me più pregiata e più cara; ed io ratto già vado ai piedi suoi a raffermarle le promesse e
la fede.”