Zitiervorschlag: Giovanni Ferri di S. Costante (Hrsg.): "La perdita della bellezza", in: Lo Spettatore italiano, Vol.2\30 (1822), S. 149-152, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.1020 [aufgerufen am: ].


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La perdita della bellezza

Zitat/Motto► Cumque aliquis dicet: fuit haec formosa, dolebis.
Et speculum mendax esse querere tuum.

Ovid. Trist. Lib. 3.

Quand’uom dirà: costei fu bella, avrai
Duolo, e infido ‘l tuo specchio accuserai. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Ebene 3► Allgemeine Erzählung► Avevano la natura e la fortuna colmata Erminda de’loro doni, ma le mancava quella affettuosa tempra di cuore che adorna la bellezza medesima delle sue dolcissime vaghezze, e che fa il vero valore delle ricchezze conoscere. Non aveva ella gustato giammai il piacere di versare le sue beneficenze in seno della povertà virtuosa, e tutta sua felicità riponeva nel vedersi pregiata in bellezza, e nell’essere il fuoco ed il desiderio di mille vagheggiatori. Vero è che niuno è stato sì fortunato che abbia potuto farle nel cuor sentire alcuna delicata affezione. Non ha gran tempo, parea ch’ella avesse vólto l’animo al virtuoso ed amabile Clarino; ma poco stette che via da sè lo rimosse, incolpandolo ch’egli non l’amasse per altro che per la sua fortuna.

Ma mentre che Erminda più e più diveniva superba di sue attrattive, natura improvvisamente ogni concessa dote le tolse. Un’infermità crudele consumatrice della bellezza guastò le tenere e candide carni, spense il lume de’begli occhi, e [150] le vermiglia labbra inaridì; nè altro della bella Erminda restò che la misera Erminda. Chi saprebbe ritrarre la disperata giovane nell’atto che della perduta bellezza s’accorse? il che tanto le fu amaro, che poco più le sana stata la morte. Dopo sì sciagurata metamorfosi, quell’Erminda, di cui non era altra che più usasse nelle conversazioni, negli spettacoli, nei diporti, non si è fatta più tra la gente vedere, anzi si è ella presso che sepolta nella propria abitazione, e a chi la visita fa trovar le camere scure non altrimenti che se a lutto voglia esser visitata.

Ma perchè tanto sconsolata vuoi startene Erminda, come se avessi tutto perduto? Non sei forse fresca giovane ancora? Si è egli tolto il potere ornar l’animo, e di più gentile stampa imprimere il cuore, ed informarlo a’sensi d’onore e di magnificenza che nobilitare e felicitare li possono? Tu hai parenti pieni d’anni che languiscono derelitti con un piè nella fossa: tu hai veraci amiche, le quali di te che l’hai dimenticate si rammaricano. Ah! mentre che tanti infelici sono privi d’ogni bisognevole cosa, mentre che tu ricca ancora puoi far loro l’ufficio di angiolo consolatore, credi a me, tu non hai nulla perduto. Tu puoi tornare ancora bella d’una bellezza celeste, quella di un’anima innocente e pura; e una volta che tu l’abbi veramente posseduta, nè il tempo nè i mali nè la morte medesima avranno alcun potere sopra di lei. Cessa di sospirare gli omaggi di coloro che non a te, ma alla tua bella persona li rendeano: provati a meritar quelli che all’intelletto, alle grazie, alle virtù sono offerti: formati [151] donna umana, amorevole e pietosa, ed allora avrai leali e teneri amatori, i quali compresi dall’ammirazione e dal rispetto di tua fortezza e di tua vittoria, verranno disiosi a porgere i loro omaggi ad Erminda meno bella sì, ma più gentile e più degna d’esser amata. ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 3

Ebene 3► Exemplum► Clelia alle doti più rare dello spirito e del cuore accoppiava tutti gl’incanti della bellezza; ma non per altro si compiaceva d’esser bella che per gradire all’amante, il quale era stato degno di essere eletto da lei. Stava per congiungere la sua vita a quella dell’amabile e virtuoso Termondo, quando fu soprappresa da quel male stesso onde fu percossa Erminda. Credè Clelia di aver colla bellezza perduta ogni speranza di felicità. In luogo di voler sagrificare l’amante, non sì tosto potè, che gli scrisse per liberarlo dalla data fede, e disdirgli il maritaggio. “L’oggetto, diceva il foglio, del vostro amore si è dileguato. Quella Clelia cui faceste dono del cuor vostro, è d’ogni piacevolezza rimasa priva, anzi diventata una figura compassionevole, e forse, ahimè! anche orribile: questi occhi che scintillavano di letizia quando io li fissava in quelli del mio fedele, sono presso che estinti; queste guance che di sì bel vermiglio davanti a lui si coloravano, son grinze e sparute; questa bocca ch’egli per pegno di eterno amore una fiata mi baciò senza colpa, di sì purpurea come era, pallidissima è divenuta. Una infermità spaventevole ha tutte le mie fattezze guaste e sformate. Chino, gemendo, sommessa fa fronte al mio perverso destino; ma sallo il cielo, di leggieri mi conforterei, se perdendo [152] i vezzi non perdessi l’amante. Addio, o voi che foste e sarete sempre il termine de’miei dolci pensieri: mandivi il cielo ogni gioia; ricordatevi qualche volta di Clelia infelice, ma non vogliate vederla mai più: questa, oh Dio! è l’ultima testimonianza di amore che ancora vi chiede.”

Non istette grande spazio che Termondo le rispose: “La lettera in che la tenera mia amica mi ha ritratte le sue danneggiate fattezze, non ha fatto altro che rivelarmi la beltà dell’animo suo, e crescer l’amor che le porto. Credetemi, che se altro non aveste avuto che le belle sembianze esteriori, non sareste mai stata la cagione di tutti gli affetti miei. Clelia spogliata della corporal bellezza, che è fior caduco, quanto a me, non è meno degna d’amore. Il suo infortunio, se pure può darglisi tal nome, la rende a me più pregiata e più cara; ed io ratto già vado ai piedi suoi a raffermarle le promesse e la fede.” ◀Exemplum ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1