Lo Spettatore italiano: La giovane sposa e il vecchio marito

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La giovane sposa e il vecchio marito

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Carta/Carta ao editor

Il mio marito, così mi dicea Zefirina, si è più volte lagnato con voi della mia leggerezza, del mio genio per i diporti e per le liete brigate. Ma considerate, vi prego, la cagione di sì fatte accuse, e ditemi poi a chi meglio si appartenga il mover lamenti. Quanto a me, io ho fino a ora ascoltato in silenzio tutti i rimproveri, perchè mi assicuro interamente nella bontà della mia coscienza.

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Narração geral

Io sono giovane, e, se debbo credere alle lodi che mi si danno, ho ancora il pregio di esser bella. Il mio marito è ricco, ma è vecchio; e buon per me, se questo fosse il suo maggior difetto. Nella sua gioventù egli sposato avea una vecchia: nella vecchiezza sposato ha me che non tocco ancora i venti anni. Ben è questo un singolar caso, del quale io medesima assai riderei, se non ne fossi il principal soggetto. La sua prima moglie, che avvisava, perchè ricca, dover l’oro tener le veci della gioventù e della bellezza, era per lui non meno esigente che importuna compagna. La gelosia la trasformava in un Argo vigilantissimo. A dir breve, la felicità del giovane sposo incominciò il primo dì della sua vedovanza. Teneva egli per molto ridicoli i portamenti della sua dama, e per tali li tiene ancora oggidì. Eppure quelli stessi modi per i quali egli fu tanto infelice mentre era giovane sposo, ei si piace di usarli meco adesso che è vecchio marito. L’aria, gli atti, gli abiti, il linguaggio mio, tutto gli arreca mala soddisfazione; ed eccolo divenuto più che mai fantastico e geloso. Co’parenti miei, siccome con voi, si è lamentato della indiscrezione e leggierezza mia, e pretendono i miei parenti ch’egli abbia ragione. Se io mi dolgo dell’umor suo poco trattabile, essi mi dicono che nello sposarlo io sapea bene ch’egli era vecchio; ma io rispondo loro, ch’egli nel prendermi sapeva benissimo ch’io era giovane. Quando io consentii ad averlo per isposo, non ostante la sua inoltrata età, io non ignorava l’istoria del suo primo maritaggio, poichè egli stesso me l’avea più volte raccontata. Non dovea dunque credere, sposandolo, che il troverei dalla propria esperienza corretto? Mi figurava che ei non si sarebbe dato ad imitare quelle ridicole maniere, le quali lo avevano sì lungamente noiato, e di cui tante volte ei s’era fatto beffe. Ingannata che io fui! Si direbbe che dei torti della prima moglie egli intende ricattarsi sopra di me. Vorria sempre ch’io lodassi il tempo passato a me niente noto e ripigliassi il presente a me benissimo noto, e assaissimo caro. Per suo avviso, i cantori d’oggidì sono insoffribili, le opere novelle cattive, i romanzi insulsi, le fogge del vestire stranissime, e sopra tutto i costumi della nostra gioventù atti più d’ogni altra cosa a muovere il riso. E vuol dire con ciò ch’io dovrei non intervenire mai agli spettacoli, non legger romanzi, dispregiare ogni pompa e frequentare solo i vecchi. Voi non mi negherete che, per ricco ch’ei sia, questo è un voler troppo, e che il suo procedere tien di quello dell’usuraio. Egli m’intuona ad ogni ora all’orecchio ch’io abbia un contegno più grave. Ma che mi risponderebbe, se io lo pregassi di diventare più giovane?
Io vorrei che si facesse qualche trattato sulla sproporzione dell’età di due sposi, e che alcuno si pigliasse il pensiero di stendere un quasi codice maritale, nel quale si stabilissero i termini di tutto ciò che il più giovane debbe suo malgrado concedere altrui, e quelli della condiscendenza convenevole al più vecchio. Vedete, o mio signore, che, con tutta la leggierezza onde io sono accusata, io vi addito una novella specie di legislazione, la quale, se non m’inganno, si conforma pienamente ai principii della giustizia. Dal vostro amore pel pubblico bene io attendo che voi a tutto potere vi adoperiate acciò sia mandato innanzi questo pensiero.