Lo Spettatore italiano: I congiunti
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I Congiunti
Citation/Motto
Chi è in disgrazia a’suoi, è molto stolto s’egli crede
esser più accetto agli stranii. Per certo egli non sa
amare, chi non ama i suoi
esser più accetto agli stranii. Per certo egli non sa
amare, chi non ama i suoi
Citation/Motto
Pandolfini~k, Tratt. del Gov. della Fam.~i).
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Se cari esser ci debbono tutti coloro che hanno l’impronta della
nostra umanità, quanto più vuolsi amare quelli nelle cui vene scorre il medesimo sangue che il
nostro? Sono i congiunti una sorte d’amici che ci dà la natura. Rami d’un medesimo tronco, e del
medesimo succo nudriti, quando il vento della discordia ne diveglie qualcuno, il veggiamo tosto
inaridirsi e morire. Le buone qualità dei congiunti per l’union loro si testimoniano, non altrimenti
che i difetti per la divisione si fanno palesi. Una inquieta indole, e di gare seminatrice,
distrugge la pace e la concordia di una famiglia, in quella guisa che uno scordato strumento guasta
tutta l’armonia d’un concerto. Non potrai fare che li congiunti tuoi ti siano sempre amici; ma
dovrai procacciare di viver con essi come se lo fossero, ed ingegnarti di nascondere al pubblico le
domestiche dissensioni. Qual famiglia non gode prosperità, quando i suoi membri son tutti d’un cuor
solo e tutti s’adoprano pel comun bene? Quale all’incontro non viene in iscadimento, quando eglino
sono disuniti, o vivono fra sè, come se l’uno fosse per rispetto all’altro forestiere?
Le acque che d’una stessa sorgente zampillano, ove che in più ruscelletti si partano,
insensibilmente se ne van dileguando, ovver formano un qualche inosservato rigagnolo: laddove se
insieme si raccolgono, fanno un fiume la cui maestosa corrente, poscia che ha fertili rendute le
campagne, e qua e là per diverse regioni l’abbondanza portato e la ricchezza, allora soltanto si
perde quando si getta nel mare. Comechè grandi sieno i vantaggi che seco ha l’unione delle famiglie,
nulla accade di veder tanto più di rado, quanto congiunti veramente fra di loro concordi; il che per
lo più suol procedere dall’interesse. Perciocchè ci ha degli avidi che, solo facendo capitale
dell’oro, a questo lor idolo sacrificano ad ognora l’unione delle famiglie e quei riguardi che
debbono al lor sangue. Colorando la propria ingordigia colla giustizia dei loro diritti, eglino sono
duri e inflessibili per modo che chiudono le orecchie alle grida dell’umanità. Si vedono talvolta
dei ricchi parenti far uso della legge ad ispogliare i loro consanguinei che languono nella
indigenza. Di quai mezzi non si servono questi uomini ingordi per impadronirsi dei beni de’loro
congiunti? Quante ragioni non producono nei tribunali sopra i contratti de’maritaggi! quante sulle
divisioni, su i testamenti! che malignità, che odio non fanno trasparire dagli scambievoli scritti!
A udirli però, si recano loro malgrado a così odiosamente procedere: sono costretti, dicono essi, di
conservare i diritti de’loro figliuoli. Ma ciò che è più ancora da ammirare, con quale
indifferenza non osano di sollecitare l’interdetto di quelli di cui cari loro esser dovrebbono
gl’interessi e la riputazione! Questi vuol che suo fratello sia tenuto per pazzo; quegli va ad alta
voce dicendo che sua madre è rimbambita; e invocano il sostegno della legge, perchè sieno a quelli
interdetti li beni; nè hanno essi ognora la vergogna di vedere falliti i colpevoli loro divisamenti,
e d’avere la sozza loro avarizia inutilmente dimostro. La dimestichezza che a primo aspetto par
dover essere il principal nodo delle famiglie, è spesse volte cagione di mettervi brighe. Avvegnachè
ella porge a’parenti il destro di scambievolmente disagiarsi coi loro difetti, i quali sempre
generano a lungo andare scismi mortali. Non deggiono i congiunti esser fra loro molto dimestici per
non guardarsi dai loro difetti, perciocchè la dimestichezza non li dispensa da quei riguardi che
voglionsi avere a tutti gli uomini; che anzi lor detta come dovere di schifare con più cura le
occasioni di disgustarsi, e loro ingiunge di essere assai più condiscendenti, onde impedire
qualsivoglia dispiacere. Avvisano spesso alcuni parenti di potersi fra loro dispensare da quei
risguardi i quali eziandio agli stranieri si debbono. I più chiari per dignità e per ricchezze
opprimono gli altri sotto il peso di maggioria, tenendo i loro congiunti meno amati dalla fortuna a
guisa di schiavi. Nulla è più comune come il trovar degli zii i quali con una lunga sofferenza fanno
ai nipoti comperare dei benefizi sempre di durezza mescolati e di rimproveri; e
lasciando lor travedere una lontana speranza di un opulento retaggio, li trattano con tal tirannia,
che di necessità spegne in essi ogni scintilla di riconoscenza. Forse ch’ella è virtù di beneficenza
il lasciare ad alcuno de’beni che non si possono seco portare nella tomba? Cotesti parenti di
benivoglienza spogliati, di generosità e di giustizia, paiono non d’altro brigarsi tutta lor vita
che di porgere ai loro consanguinei ed ai figliuoli medesimi ragione di consolarsi della lor morte,
se non vogliam dire ancora di desiarla. Imperciocchè il più crudele dispotismo e il più detestato si
è il dispotismo domestico. Ci ha dei parenti i quali sotto colore di rispetto e di affezione
nascondono le interessate lor mire. Ogni signore d’un grande retaggio rimaso vedovo e senza
figliuoli, tosto corteggiato si vede da ciascuno del suo parentado. In apparenza s’ingegnano tutti
di attestargli la loro tenerezza, ma in realtà tutti se ne disputano l’impero: gli sono sempre
intorno, nè consentono che altre persone se gli accostino che quelle dedicate ai loro interessi, e
pongono cura di dilungare da lui anche gli amici suoi. Perciocchè l’amico d’un ricco è il principale
oggetto dell’odio e del timore de’suoi consanguinei. Per onorato ch’ei sia, suppongono ch’egli abbia
alcuno particolare intendimento, nè per alcun modo lor cape nell’animo potersi dare una
disinteressata amicizia. La vanità sovente insensibili ci rende alle sciagure dei parenti:
conciossiachè la sempre altera opulenza ne faccia arrossire di appartenere a persone
indigenti e sfortunate. Ella s’inorgoglia di annoverare illustri congiunti, e mattamente avvisa che
la color gloria riverberi quelli che se le accostano. Ond’è che i parenti più di compassione
meritevoli sono appunto quelli ai quali l’orgoglio ricusa di usarne. “Non arrossite alla vista di un
parente povero, dice un moralista, ma sì veramente, se egli cotal si rimane.”
E come potria egli riconoscere i suoi congiunti, quandochè, se fosse possibile, vorrebbe non
riconoscere se stesso? Alcuna volta la gelosia ne vieta l’avvantaggiare i parenti e il procacciarne
la ventura.
Ha detto alcuno che un amico val più d’un parente; ma un buon parente è il miglior degli
amici. Perciocchè la prima amicizia che nasce nel mondo, quella è che si forma nel grembo delle
famiglie. L’usanza di trovarsi ognora insieme, i sentimenti medesimi coi quali sono educati,
l’aprirsi i segreti, gli affari e le domestiche cose, tutto consacra il nome di fratello e di
sorella, così come fa il vincolo del medesimo sangue. Cotesta prima amicizia a poco a poco si scema,
quando d’una sola famiglia più altre se ne formano: ma comechè i nodi si rallentino, di rado
incontra che al tutto si rompano. Qual uomo ci ha mai così indifferente e così egoista da non
istimare suo debito il porgere a’suoi consanguinei nelle loro necessità quei servigi che sono da
lui? Cosiffatta primiera amicizia, che più circostanze intendono ad affievolire, poscia si ravviva
spesso secondo che noi perdiamo i nostri congiunti. Si accorge allora che l’esser nostro si compone
di tutti coloro che ci appartengon per nascita, e si risguardano siccome parti di quella. Il perchè
non ce ne può esser tolto alcuno che noi non ci troviamo più denudati e più soli. Se l’ultimo che ci
è rapito, è l’ultimo che ci restava della nostra famiglia, questa considerazione di rimanerci al
mondo soli fra tanti che ci erano uniti, ci commuove fortemente, e più cara ci fa la
memoria di coloro che abbiamo perduto. Quanta amaritudine allora non si prova, se coscienza ci
garrisce di aver trascurato di compiere inverso di quelli i sacri doveri della natura! La più
terribile imprecazione che far solevano i Gentili, era questa: Possa tu morir l’ultimo de’tuoi!
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Nato da poveri genitori e cresciuto nell’oscurità, si vide Maltore
alla strettezza tolto per la fortuna, e posto in altura di stato, e in poco d’ora altresì di sublimi
dignità rivestito. Oh! lui felice, diceva taluno; egli ora procurerà l’agio e la felicità de’suoi
consanguinei, gementi nella miseria! Ma dai favori della fortuna corrotto, si sforza Maltore di
smenticare la sua nascita e vantare un’origine illustre. Egli vorria che il pubblico credesse non
esser più suoi parenti per insino a suo padre e sua madre.
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Che vuol dir questo, che Alpidio non parte con suo fratello il favore
di cui gode? che nol fa conoscere al principe di cui è l’amico? che gliel dipinge come un onest’uomo
sì bene, ma di scarso ingegno e non sufficiente a un grande incarico? Vuol dire che Alpidio di
mediocrissimo talento, non ostante la sua grande ventura, conosce quanto al disopra gli stia suo
fratello e ne teme la maggioranza. Per tal guisa della colui moderazione e modestia
vilmente abusando, lo allontana dalla Corte, e d’una doppia perfidia si fa reo, e col porre
impedimento alla fortuna del fratello, e col privare di un dabbene e fido servitore un principe che
di grazie il ricolma.