Lo Spettatore italiano: Necessità di rendere amabile lo studio
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Niveau 1
Necessità di rendere amabile lo studio
Citation/Devise
Studium discendi, voluntate, quae cogi non
potest,
constat . . . Jucundus maxime debet esse praeceptor,
ut quae alioqui natura sunt aspera, molli manu
leniantur
constat . . . Jucundus maxime debet esse praeceptor,
ut quae alioqui natura sunt aspera, molli manu
leniantur
Quint.~k. lib. I. cap. 3~i.
Volo se efferat in adolescente jucunditas
Cicer.~k.
Niveau 2
L’età della fanciullezza è inverso di sè il più dolce, il più lieto,
il più avventuroso tempo di nostra vita: ma come si può egli felicitare un fanciullo, come ripararlo
dalla tristezza e dalle gravi sollecitudini, ove non si cerchi di agevolargli l’acquisto del sapere,
e rendergli amabile lo studio? Ecco il principale debito a ogni saggio insegnatore: ecco una regola
costante, sicura, e che non ammette eccezioni. Nulladimeno ci sono ancora molti partigiani d’una
educazione falsa e pedantesca, i quali non che si curino di sparger fiori nel cammin delle lettere,
ma vietano altresì di levarne le spine, anzi adoperano di moltiplicarle all’infinito. Ei credono stoltamente che nulla si possa imparare senza una lunga
e penosa fatica, come se il far progresso in una disciplina qualsiasi dipendesse dalle difficoltà
che le sono congiunte. È dunque necessario che il navigante per afferrare il porto sia prima
sbattuto dalla tempesta? Fa egli mestieri che il cammino sia rotto e malagevole, affinchè il
viandante arrivi al termine del suo viaggio? Gli antichi filosofi e coi precetti e cogli esempi
riprovano gagliardamente tutti questi stranissimi errori.
Presso i Greci e i Romani l’idea dei giuochi era
sì fattamente collegata con quella degli studi, che nelle lor lingue le medesime parole volevano
significare due cose che secondo la comune opinione sembravano tra sè repugnanti e difformi. Il Retore romano per primo, e dopo lui tutti i gran savi dell’età susseguente hanno scritto
Or dunque è d’uopo che gli ammaestratori s’imprimano bene di
questo principalissimo vero, e se ne faccian norma per adempire degnamente il loro nobile ufficio.
Di fatto nessuno dubita che non si possa, per così dire, porre in ceppi un discepolo, conficcarlo in
un duro sedile, e costringerlo a stillarsi il cervello sopra un libro che non gli è dato di
comprendere. Ma questo affaticarsi così servilmente ed a suono di sferza, si merita egli il nome di
studio? Ed all’ultimo, qual altro frutto si cava da sì perversa istruzione, eccetto che un odio
perpetuo contro i libri, le scienze e i maestri? Adunque non si debbe intendere a soggiogare il
corpo, ma sì bene la volontà degli allievi; il che non si può effettuare con altro mezzo, che
coll’attrattiva del piacere, cioè a dire col rendere amabile lo studio. E questo fine non è punto
difficile a conseguire, quando il prudente educatore sappia giovarsi di quell’acuto desiderio che
muove i fanciulli a cercare di conoscere la ragione di tutte quante le cose. Perciocchè il mentovato
desiderio si deriva da un’innata curiosità, che è propria d’ogni individuo razionale per tutto ciò
che lo può interessare. E tale curiosità è il primo movente delle operazioni de’fanciulli, ne’quali
ogni cosa di questo mondo è cosa nuova. Però si vuole eccitarla con opportune domande, ed acquetarla
con risposte franche e precise. Da principio ella si volge spontaneamente alla
considerazione degli oggetti sensibili, e quindi passando di grado in grado, arriva alla cognizione
degli oggetti intellettuali. Nelle prime operazioni dello spirito noi non dobbiamo avere altra
scorta che i sensi; ed allora il mondo ci sia in vece d’ogni libro, ed i fatti in luogo d’ogni
maestro. Questo primo studio, se è lecito di così chiamarlo, è utile sopra ogni credere, e tutto
pieno di care lusinghe. La lettura, che troppo spesso è il primo tormento de’poveri fanciulli, non
ha in sè niente di abborrevole, purchè il precettore, usando un metodo facile e dilettivo, sappia
far nascere in quelli il desiderio di apprenderla. Il far progresso in questa esercitazione dipende
sopra tutto dalla scelta de’primi libri elementari che si mettono per le mani dell’allievo. Per il
che è d’uopo che essi trattino di materie che sieno conformi al gusto ed alle inclinazioni di lui,
acciocchè primieramente ei procuri di ben comprendere le nozioni semplici; e poscia, mediante una
insensibile progressione, si conduca all’acquisto delle nozioni composte e difficili. Questo metodo,
prescrìtto dalla natura, siccome è l’unico che possa ad un tempo istruire e dilettare i fanciulli,
così è quello che noi dobbiamo adoperare nell’insegnare loro le lettere e le scienze: ma non sì
tosto elli sanno leggere, ed ecco che il precettore li condanna a studiar grammatica; il quale
studio astratto e difficile, confondendo loro l’intelletto, spegne in essi il desiderio
dell’imparare. Anzi, quasi che questo studio non fosse di per se stesso estremamente malagevole, vien subito rivolto a fare apprendere ai fanciulli, non già le regole della lingua
nativa che tanto importa a sapersi, ma quelle d’una lingua morta che da essi non è punto compresa, e
che forse riuscirà loro inutile e vana. Tutti i grandi maestri vogliono che adoperiamo di nutrire ed
accrescere quelle facoltà che nei fanciulli si mostrano per prime, cioè la memoria e
l’immaginazione. Perchè non dare alla loro curiosità nessun altro pascolo fuorchè quello di regole
inintelligibili, dalle quali ei non possono ritrarre nè utilità nè diletto? Forse che non ci sono
altre cognizioni, come la geografia, l’istoria, i principii della morale, l’aritmetica, ec., le
quali sieno atte a formare l’attenzione dei fanciulli, ordinare la lor mente, e prepararli a dar
opera ad altri studi più severi e difficili? Ma non basta che altri obblighi i fanciulli ad uno
studio che avanza la naturale capacità del loro intelletto: si costringono ancora ad attendere ad
esso molti anni, e si chiude loro la strada di acquistare nozioni più piacevoli ed utili. Se ci è al
mondo una verità incontrastabile, al certo si è questa, che i fanciulli, le cui percezioni sono sì
rapide, la memoria sì attiva, la ragione sì duttile, non debbon esser racchiusi dentro un cerchio
d’idee che sieno tutte della medesima specie. La varietà e pienezza dell’istruzione sono approvate
dalla ragione, dall’esperienza, e conformi alle leggi della natura. Vedete un fanciullo sotto la
disciplina di quella muta insegnatrice: vedetelo sottoposto alle impressioni degli oggetti, ed
usante le sue facoltà intellettuali, secondo i suoi bisogni. Qual corso enciclopedico
egli abbraccia! Come cresce in mezzo alle scoperte! Come ogni ora, ogni minuto gli conducono nella
mente idee nuove e sopra oggetti tutti diversi! Questo ente nato per imparare e per conoscere, e
dotato, per così parlare, d’una porosità intellettuale, diviene egli ottuso quando entra nell’età
dell’adolescenza? E i suoi maestri, i libri e i metodi non ponno essi continuare l’opera della
natura? Alcune volte restiamo meravigliati che certi giovanetti, i quali, quando stavano in
collegio, erano stimati di grosso ingegno, siano poi divenuti uomini famosi pei loro talenti. La
cagione si è, che vennero costretti a studiare una sola sorta di umane cognizioni, e che si porse
alla loro curiosità una sola pagina di quel libro immenso che sta sempre aperto da tutti i lati a
tutte le ore e per tutti. Le facoltà dell’adolescenza debbono, per così dire, essere interrogate.
Però è necessario presentare ai giovinetti tutti quegli oggetti che sono idonei a scuoprire i loro
gusti e le loro interne disposizioni: siccome una volta l’aspetto delle armi fece manifesto il
bellicoso ardore di Achille. Parecchi sofisti mentre che approvano questa varietà di studi, che è
conforme alla natura dello spirito umano e agli interessi della civile comunanza, vorrebbero che in
quel che appartiene al modo d’insegnare si desse alle scienze ogni preminenza sopra le lettere,
siccome quelle che sono più utili. Ma siffatto sistema sovverte l’ordine della natura, e corrompe le
leggi dell’intelligenza; poichè è cosa indubitata che la memoria e l’immaginazione sono le nostre
prime facoltà, laddove la ragione non si matura che col tempo. Le lettere sono le vere
maestre della gioventù. Esse hanno sulle differenti specie delle cognizioni umane il prezioso
vantaggio di sviluppare ad un tempo il sentimento e l’intelligenza, e di comprendere in sè tutto
quanto l’uomo. L’allievo dell’istruzione letteraria arricchisce la sua memoria, allarga la sua
immaginazione, raffina il suo gusto e appaga il suo giudizio. Egli attinge alla medesima sorgente il
senso del bello e l’amor del bene. Per questo modo i vizi si dimostrano al suo sguardo in tutta la
lor bruttezza, e le virtù in tutto il loro splendore. Egli non giunge nel mondo come un uomo
straniero, ma quasi per mezzo di una anticipata esperienza ne conosce le potenze e i travagli. Si
presume di porre innanzi a tutti gli altri studi quello delle scienze, perchè è in sè di maggiore
utilità. Ma che cosa avvi al mondo di più utile, che l’imparare a conoscere ciò che è onesto, ed a
conformarsi alle leggi della virtù? Sentite l’Orator romano con quanta gratitudine dichiara che nel
governo della repubblica egli ebbe sempre dinanzi alla mente quella moltitudine di grandi uomini, di
cui gli scrittori greci e romani avevano lasciato così vive testimonianze non solamente per attrarre
i nostri sguardi, ma per empirci l’animo di una generosa emulazione. Qual cosa mai si può
soprapporre ad una istruzione tutta viva, tutta d’esempi, la quale penetra nel fondo del cuore,
introduce i giovinetti nel cammino della virtù, e gli anima a servire la patria e i loro simili?
Certamente le scienze fanno fede dell’immenso ingegno dell’uomo; e questi, mercè le
grandi scoperte fatte per mezzo di quelle, è veramente divenuto il re della natura. Ma solamente
alle lettere appartiene la prima e la più universale istruzione: la prova che di tal nuovo sistema
si è fatta in un grande impero, ne ha posto in chiaro gli errori e i pericoli. La scelta degli studi
e la bontà dei metodi non bastano punto a rendere l’istruzione facile e piacevole; ma è mestieri
altresì che l’ammaestratore sia fornito di acuto ingegno, di utili cognizioni e di amabili qualità.
Il precettore volgare non ammaestra con altro che coi libri, e spende tutto il suo tempo in dettare
con ridicola gravità le lezioni ai suoi allievi. Immaginandosi che gli convenga prendere apparenza
d’uomo dignitoso e grande, tien quelli in poca stima, ed affetta di trattarli sempre come fanciulli;
per contrario il saggio maestro schifa la moltitudine de’precetti, ed istruisce cogli esempi. Egli
ascolta benignamente i suoi allievi, e gli avvezza a ben ragionare intorno alle cose che loro
appartengono. Egli li fa, per così dire, camminare dinanzi a sè per poter giudicare del loro
andamento, e proporzionare il moto del suo piede al moto de’piedi di essi. Il precettor volgare pretende che non si debbano
convertire in giuoco le lezioni che si danno ai fanciulli; e stima che sia cosa indispensabile
l’ammaestrarli con lezioni aride e fastidiose, a fine d’insegnare loro a sottomettersi alla necessità, ed a far sacrifizio della propria volontà in ogni cosa. Il discreto maestro sa
che ai suoi allievi non mancherà mai l’occasione di adoperarsi in questa trista esercitazione. Egli
reputa dover far loro gran pro che la lezione sia trasformata in giuoco, e che essi imparino a
congiungere ai loro trastulli qualche idea grave e severa. Il danno che recano le lezioni regolari e
pedantesche, si è quello di separare affatto l’idea dell’occupazione e quella del diletto, e di
unire esclusivamente a quest’ultimo l’idea dell’ozio. Di maniera che il miglior tempo della vita dei
fanciulli, il solo che è propriamente tutto in loro balía, è il tempo in cui essi non fanno nulla.
Solo questo momento ei risguardano con amore, e tengono in conto di dolcissima cosa. Il rimanente
tempo ei procurano di perderlo, perchè l’hanno per una cosa che appartenga altrui. Per l’opposito
bisogna avvezzare i fanciulli a stimare tutto il lor tempo siccome un mezzo che molto importi alla
loro felicità, e disporli sin da principio a seguire il corso ordinario della vita, i cui sollazzi
sono tante eccezioni, e i cui consueti piaceri consistono in occupazioni or più or meno serie e
difficili.
Citation/Devise
« Essi usano gran diligenza, dice Montaigne, a descrivere la scienza come
una cosa inaccessibile ai fanciulli, e la dipingono di un viso arcigno, tenebroso e terribile;
laddove non è al mondo nessuna cosa che sia più soave, più gioconda e quasi ch’io dissi più
scherzevole. »
Citation/Devise
Leggete in
Platone, in Plutarco, in Cicerone, in Quintiliano, e vedete con quanto zelo essi raccomandino che
dagli studi non venga mai scompagnato il diletto. “Addottrinando un fanciullo nelle scienze, dice
Platone, bisogna guardare di non sottometterlo a nessuna noia e disagio; perchè gl’insegnamenti che
voi introdurrete per viva forza nell’animo di lui, non vi riposeranno nemmeno un istante: onde fate
piuttosto di maniera ch’egli si addestri nelle arti della sapienza, come per via di trastullo.”
Citation/Devise
“Sopra il tutto, dice Quintiliano, si conviene il maestro essere
talmente ragionevole e discreto che non induca i garzonetti ad odiare le scienze, e ciò in un tempo
che essi per ancora non possono esserne innamorati. Conciossiachè sarebbe forte da temere che avendo
una volta provato ch’elle sanno di amaro, ei non ne diventassero schivi per sempre. Lo studio non
debbe essere per loro altro che un giuoco.”
Citation/Devise
“che lo studio dipende interamente dalla notstra volontà, la quale non
può essere tratta a forza.”
Citation/Devise
“Certo è l’effetto di un animo generoso e gagliardo, dice Montaigne, il saper secondare e
regolare siffatti andamenti puerili.”