Lo Spettatore italiano: Il giovinetto benefico
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Il giovinetto benefico
Citation/Motto
Non so come le prime impressioni e i primi affetti che
entrano nell’anima, per dir così, ancor tenera, si ritengono sempre, e in tutto il corso della vita
tenacissimamente conservansi
entrano nell’anima, per dir così, ancor tenera, si ritengono sempre, e in tutto il corso della vita
tenacissimamente conservansi
Salvini~k.
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General account
Appena ai quindici anni io aggiungeva, disse Eugenio, quando avvenne
che un mio famigliar compagno, giovanetto dell’età mia, mi consigliò di andare un dì dopo desinare a
diportarci in un luogo molto lontano. Essendo il mio aio di casa uscito, partimmo amendue senza
farne motto ad alcuno, e trapassati parecchi giardini ci trovammo nel mezzo della campagna in parte
assai rimota e solinga. Quivi entrati in un sentieruolo che ad un contado, cui noi avevamo a fronte,
menava, ci sospesero di lontano pianti come d’un pargoletto, e ci misero talento di andare a quella
volta; ove pervenuti noi vedemmo una giovane donna, poverissimamente vestita, sedersi con un suo
figliuoletto in grembo, ch’essa delle sue lagrime bagnava. Ben egli coi sembianti e coi lamenti suoi
parea la miseria della sua madre significare: ond’io che non aveva mai sì infelici cose vedute, mi
sentii raccapricciare, e quindi da sì pietoso dolor soprappreso fui, che insino in su gli occhi mi
tiro le lagrime. Di molte cose cominciai a dimandare la sfortunata donna la quale in somma rispose,
che era d’una villa non guari ivi lontana, e da tre dì rimasa vedova; ch’era stata,
poichè fu morto il suo marito, spietatamente discacciata dalla sua casa, e che avevano venduto
quanto possedea per pagare un piccolo debito dal suo marito contratto con un signor ricco e potente.
Abita questo signore, soggiungeva, non molto spazio da me distante in un grandissimo e bel palazzo,
e mette tavola ogni giorno con abbondanza di cibi e beveraggi; per la qual cosa vi stanno ad agio e
in festa non che altri, ma li suoi cani: ed io misera vedova derelitta, senza consorte, senza amici,
senza conforto, con questo sventurato figliuolo, non ho altro a sperare, ed a chiamar che morte, la
quale mi fia data, traendomi il meschinello dalla poppa l’estremo gocciol di latte coll’ultimo mio
sospiro. Se prima era io divenuto pietoso, finito questo ragionamento, fui più che mai; e per
ventura avendo io nella borsa una doppia, cominciai a pregar la donna che se la prendesse; e non
volendola ella per alcuna maniera, io pur la sollecitava perchè la ricevesse, affermandole la mia
casa essere delle ricche, ed a’miei, sapendo cui l’avessi io data, dover molto piacere. Intanto per
acquetare il mio commosso animo, posi la doppia nella innocente mano del bambino, al quale diedi un
bacio; perchè voltatosi egli a riguardarmi, e gradendo i vezzi che io gli faceva, lasciò di
piangere. Poichè il cuor mi si fu rallegrato, mi sgorgarono dagli occhi in gran copia le lagrime,
ch’io confusi con quelle della dolente madre e del pargoletto. La letizia che in quelli
si dimostrò, e ‘l soddisfacimento che io ebbi di me stesso, parvemi del beneficio che sì poco erami
costato, troppo grande retribuzione. Il mio compagno dal compassionevole caso non men di me
commosso, mi ammonì ch’era già tardi, e omai tempo di pensare alla tornata. Per la qual cosa io gli
tenni dietro, mentre che i due infelici, de’quali tanta pietà n’avea stretti, cento volte
benedicendomi, ripresero la via verso il contado. A quel giorno, che ferventissimo era stato, era
una serena notte sopravvenuta, e già avea cominciato il suo corso la tacita luna, quando noi
c’incamminammo alle nostre abitazioni. La natura, che pur testè m’avea dato il primo ammaestramento
di umanità, trasse a sè tutta la mia mente, e de’miei pensieri si rendè donna. Io me ne andava al
fianco del mio compagno tutto pensoso e senza far motto, ed a poco a poco il mio vivo commovimento
veniva cessando, infino che tra per lo fresco dell’aere, e per lo contento del cuore, la soverchia
mia sensibilità si placò e convertì in una dolce tranquillità. Quindi, passando in malinconici
pensamenti, mi diedi a considerare quello che nel dì m’era incontrato, e fra queste considerazioni
mi parve sentire che una nuova virtù mi si manifestasse nell’animo. Donde muovono, diceva, pensando
io fra me stesso, quelle essenziali differenze, delle quali nessuna fu posta dalla natura? E nel
vero quella povera vedovella e quell’orfano innocente non sono essi forse della medesima specie
ond’è quel ricco e potente signore che ha lor tolto da vivere? non hanno essi i medesimi
bisogni e i sentimenti medesimi? non corrisponde il cuor d’ogni uomo a quello degli altri, sicchè ne
sia partecipe nelle avversità di quelli? non siamo noi tutti benigni e pietosi? Sì: ed a questo ci
dispose, creandoci Iddio. Ma i vizi e gli errori degli uomini guastano la natura e la torcono dalla
diritta via. Giunsi intanto a casa, e trovai il mio aio molto turbato e sollecito del mio lungo
indugiar fuori; il quale fattami una accoglienza tra affettuosa e mesta: Questa vostra andata, mi
disse, m’è stata cagione di molta meraviglia e sollecitudine: voi avete fatto contro la vostra
usanza a scostarvi dal vostro amico, e mostra che lo abbiate dimenticato, essendo voi andato a
passeggiare senza prima averlo ad uomo significato. I giusti ed amorevoli rimordimenti suoi mi
fecero accorgere d’aver fallato, e tosto pentirmene; sicchè io vergognando, come quegli che il mio
errore avea conosciuto, senza alcuna scusa fare, lo pregai di consentire che gli raccontassi quello
che in quel giorno mi era intravenuto. Il savio mio Mentore, nel tempo che io la ventura gli
recitava, parea venirgli manco il respirare, e commettendo le mani, e fiso fiso guatandomi, mostrava
chiaro che la miseria della vedovella e dell’orfano gli aveva intenerito il cuore. Venuto il fine
del mio dire, egli levatosi corse a me, e m’abbracciò, dicendomi: Ecco, figliuol mio, come voi
dovete ai movimenti della natura lasciarvi vincere, ed alle dolci sospinte della liberalità. Il
piacere che voi gustato avete, è schietto e compiuto sopra quanti se ne gustasser
giammai. Adesso vi siete fatto uomo; e Dio concedavi lunga vita, che voi la meritate. Così dicendo,
il pianto che dagli occhi abbondavagli, il venerabil volto gli rigava. Questo della mia larghezza,
non altrimenti che se per usura l’avess’io fatta, fu il secondo guiderdone.