Lo Spettatore italiano: La disfida di due sorelle

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La disfida di due sorelle

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Allgemeine Erzählung

Il dì che nata era Ismene appressavasi, e le due sue figliuolette di poco uscite dalla puerizia, e non meno belle che due recenti rose cominciate ad aprirsi in sur uno stelo, ivano misteriosamente apparecchiandosi a festeggiarlo con maggior pompa. Solo di un anno avanzava Eucaride l’età della sua sorella Virginia, e lieta e vivace era ella così come la più giovane sarebbe delle tre Grazie. Ma era Virginia semplicetta e modesta, e somigliante ad una pastorella innocente. Tempo è oramai, disse Eucaride, che si faccia prova qual d’ambedue noi più gentile che l’altra abbia il gusto. Vedi come nel giardino e nella prateria mille maniere di fiori pare che tra loro contendano di freschezza e di beltà. Scelga adunque ciascuna di noi, senza essere veduta dall’altra, il fiore che più le piace, e rechiamolo entrambe alla cara nostra genitrice, come per lo più bel mazzolino che noi le possiamo donare. Essa infra i due qual sia più grato da reputarsi deciderà. E così poichè alla prova disfidate si furono, queste due sorelle per lo avanti indivise si dipartirono. E cominciarono ogni mattina ad andarsi spaziando or nel fiorito giardino ed ora per l’ampia prateria, dove quanti fiori venivano ad esse veduti, tanti pareva loro che volesser sorridere, e fare invito alla lor mano carpitrice; simili a due vaghe farfallette s’arrestavano quando su l’uno e quando sull’altro senza eleggerne mai niuno, ed ogni dì più rimanevano in forse. Ma stringendole pure il tempo, ultimamente elessero; e la elezione d’Eucaride diversa fu da quella di Virginia; nella qual cosa tanto discrete furono le due sorelle, che malgrado il desiderio che le pungeva, niuna a penetrare pervenne qual fosse il misterioso fiore dall’altra prescelto. Giunta frattanto l’ora di dover fare il presente de’lor mazzolini, Eucaride con viso lieto e ridente che dell’interno soddisfacimento faceva fede, e stringendo in mano una bellissima e fresca rosa andò alla madre, e così favellò: Mira, o amabile genitrice, mira come dal verde delle foglie sue si leva alta questa rosa, e come è vivo il suo vermiglio, e piacevole a vedere. Tu, o amabile genitrice, la bella rosa tu sei, e questa bocciuola che sotto il suo capo qui vedi, è la tua Eucaride. Fu gradita ad Ismene la rosa, e il dimostrò. Il che avendo veduto Virginia, appena che non perdè ogni speranza; e timidetta e lenta venuta oltre con bassa voce incominciò: O madre mia, ecco il mazzolino ch’io t’offro, nè i tuoi sguardi al certo saranno da esso abbagliati, come lo furono della pomposa rosa all’aspetto; ma io ho scelto l’umile madreselva, perciocchè essa i rami abbraccia degli alberi come io godo te, o cara mamma, abbracciando. E in così dire, tutta al materno seno si restrinse, bagnandolo di lagrime che dalla gioia derivavano e dall’amore. Secondo che agli occhi d’Ismene era piaciuto lo splendido color della rosa, fu dolce al cuor di lei la madreselva, sicchè tenerissimamente abbracciò e baciò Virginia, e d’amore e di gioia cominciò con essa insieme a lagrimare. Di che Eucaride anzi turbatetta che no, pregò la madre a dichiararle, se la sua vermiglia rosa all’abbietta madreselva di Virginia non credesse da doversi anteporre. A cui Ismene rispose: Figliuole mie, i vostri doni egualmente cari mi sono: salvo che Eucaride si lasciava guidare all’intelletto ed al cuore insieme quando la rosa mi destinò, e Virginia al cuor solamente allorchè la madreselva prescelse. Così dicendo, mille volte Ismene baciò l’affettuosa Virginia, e mille eziandio l’amabile Eucaride; ed i mazzetti, i loro profumi mescendo, entrambi furono ad ornamento posti in sul materno seno.