Il Socrate Veneto: N. XXVIII
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N. XXVIII.
Della perdita de’beniNível 2
Mi è stato raccontato che la fortuna, vi abbia fatto perdere tutti vostri beni, e mi sono assai stupito che per ciò abbiate perduto la pazienza, e che volontariamente abbiate abbandonato il vostro più gran tesoro. La fortuna non vi fece torto alcuno col prendervi il suo, ridomandandovi quello che vi aveva dato ad imprestito. Questa è una ingratitudine assai antica e comune, di cui quasi tutti gli uomini sono macchiati; poichè non si ricordano di quel che loro fu dato, e conservano memoria di quel che ad essi fu tolto. Da ciò ne viene che i ringraziamenti sono tanto rari, ed asciutti, quanto i lamenti sono frequenti e gagliardi. Mi direte, che sopportereste con pace ed allegramente il mal vostro, se avendovi rapito i beni superflui, vi avesse almeno lasciato quelli che necessarj sono al mantenimento della vostra vita; ma che non avendo più di che vivere, non potete avere altra consolazione che nella morte. La delicatezza, che adula sempre gli uomini, e che lor fa credere di esser poveri, quando non sono assai ricchi, vi ha spinto senza dubbio a fare un tal lamento; e a prendere una sì vile risoluzione. Niuno può toglierci quello che ci è precisamente necessario, vale a dire, ciò, senza di cui non si può ben vivere. Ho detto ben vivere, con che io intendo il vivere lontano dai piaceri, e dalla vana pompa del Mondo, sempre conformi alla prudenza, alla onestà, e alla temperanza, che certamente sono beni, sopra di cui la fortuna, per quanto imperiosa ella sia, deve confessar di non avere diritto alcuno. E veramente tutto l’oro, le pietre preziose, e l’abbondanza di tutte le cose non possono mai saziare la cupidigia d’un uomo. La necessità della natura contentasi di pochissimo. Così nulla basta al Vizio, e tutto è sufficiente per la Virtù.
Che se vi sembra che la fortuna sia per voi solo avara, e che dando agli altri non solamente più di quello che hanno bisogno, ma altresì più di quel che domandano, a voi solo ricusi lo stesso vitto e vestito, prendete ad imprestito altrove quel che dal suo canto vi manca. La Virtù senza dubbio è più liberale della Fortuna; e benchè essa sia più ricca, con tutto ciò ricusa di accordare quel che potrebbe nuocere, e dà soltanto quel che può recar vantaggio. La Fortuna sparge i suoi favori quasi con dispiacere e minacciando. Ma la Virtù non dispregia alcuno, perchè Ella ha di che dare egualmente a tutti; non abbandona giammai: non essendovi male, da cui non guarisca, o pericolo, da cui liberar non possa. Non inganna alcuno, perchè non è nè volubile, nè seduttrice; non si adira mai, perchè non va soggetta a turbamento alcuno. In somma essa non cambia mai, ed ha sempre lo stesso volto.
Per esser adunque veramente ricco, accostatevi al Palagio di questa Regina. Ancorchè essa voglia provarvi, non vi ributterà, nè s’infastidirà di vedervi, purchè voi non siate il primo a disgustarvi della sua amabile conversazione. Cagiona qualche molestia l’accostarsi ad essa, e sulle prime sembra che freddamente accolga; ma ben presto si raddolcisce. Subito che farete presso di essa, la povertà si scosterà da voi: farete ricco nel momento medesimo, in cui sarete virtuoso. So benissimo che non si può vedere la perdita de’proprj beni senza molto travaglio; ma so altresì di certo che l’opinione, la qual è la malattia comune degli spiriti umani, v’inganna per affligervi. La fortuna non vi ha tanto tolto i vostri beni, quanto i vostri mali. Ardite voi di nominar beni cose che sono d’ordinario l’eredità e il possedimento de’cattivi? E quand’anche fossero beni, non erano vostri; e mi stupisco che non riconosciate ancora, ch’erano d’altri, poichè terminarono d’esser vostri. Erano beni stranieri; hanno preso una via diversa da quella che volevate: ma forse per vostro maggior vantaggio.
Forse ripiglierete, che non v’è mezzo alcuno di difendersi contro gli sforzi della Fortuna, e d’una estrema necessità; e che ciascun’arma è debole contro due sì forti avversarie. Voi vi stupite di quello; e non considerate che l’armi difensive, di cui pretendete servirvi, sono tra le mani del nemico vostro? Egli tiene l’impugnatura della vostra Spada, e vi minaccia con la punta, e poi credete di potervi ajutare? Desiderate di dipendere dalla fortuna; e nulladimeno vorreste farla con essa da Padrone? Volete ritrovare un buon’espediente per uscire da questi estremi pericolosi, occupate lo spirito vostro a cose che non sieno soggette alla fortuna, e col mezzo di esse vi riuscirà d’ingannarla. La Virtù non si acquista con le ricchezze; ma bensì queste con la Virtù si possono acquistare. Essa sola può servir di prova contro tutti gli assalti della fortuna, e della povertà. Udiste mai a parlar di Aristippo, il quale in un naufragio avendo tutto perduto, ricuperò poi nel porto di Rodi assai più di quel che prima aveva. Non già che il mare restituisse quello che avea inghiottito; ma il suo sapere, e la probità sua fecero ch’egli subito fosse amato, e rispettato da ognuno; di modo che ciascuno credevasi di essere felicissimo col dargli i propri beni, e così sollevarlo dall’estrema sua indigenza. Quindi ne avvenne ch’egli poi ebbe a dire a’suoi figliuoli, che conveniva accumulare quelle ricchezze, che non potevano mai per naufragio alcuno perire, e che non erano sottoposte alle burrasche di mare, ai tumulti delle Città, nè ai disastri della guerra.
Veggo benissimo che voi sempre crederete di essere infelice, se io non vi dessi de’compagni illustri nella vostra miseria. Pensate adunque che non vi sieno stati alcuni più poveri di voi?
Ma non è d’uopo di parlare de’Cittadini, se lo stesso Popolo Romano visse nella probità fin che fu povero;
Per burlarmi della pazzia degli uomini, loderò una sì grande infamia, o almeno non la biasimero? Il gastigo che si dà a stravaganti è di lasciarli impuniti. Or chi dirà mai che le ricchezze sieno tanto belle e desiderabili, se è vero che conviene cercarle con delitti, e lasciar d’essere innocente, per divenir ricco.
Veggo benissimo, che la fatica, a cui la vostra povertà inevitabilmente vi obbliga, è la vostra maggior afflizione.
Io credo che in compagnia di tanti Eroi e di sì illustri Autori non vi vergognarete di esser povero, e che non farete più stima di que’beni, di cui essi fecero sì poco caso.
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Exemplo
Valerio Publicola, uno de’liberatori della Repubblica, e Menenio Agrippa che fu il mediatore della più bella pace, di cui Roma abbia goduto, non avendo di che farsi tumulare dopo una vita tanto gloriosa, furono sepolti a spese pubbliche. Paulo Emilio, quel gran vincitore de’Re di Macedonia, quel famoso distruttore d’un Regno sì antico e celebre, fu altrettanto colmo di gloria, che scarso di beni, di modo che dopo la sua morte non li potè restituire la dote alla moglie, che col vendere un picciolo campo che sì grand’uomo avea lasciato. Attilio Regolo, Gneo Scipione, e Quinto Cincinnato, gran sostegni dell’Impero Romano, erano tanto poveri nella lor Casa particolare, che i due primi furono già in procinto di abbandonar Roma per liberarsi da’loro debiti. Ma il Senato giudicò che non si dovessero perdere sì nobili Cittadini, se essi dalla fortuna erano stati mal trattati; e con ricchi regali ricompensò la loro povertà gloriosa. Per quanto spetta a Quinzio, non ebbe egli forse un assoluto comando sopra tutta la Repubblica, quantunque di proprio non avesse che soli quattro campi di terra? Alla memoria di questi Eroi può aggiungersi quella di Curio, le cui ricchezze consistevano in un giardino; e di Fabrizio, ch’era più possente con quel poco che aveva, di quello che gli altri co’loro tesori, e con le loro ampie possessioni. Tanto era lungi che desiderassero le ricchezze, che anzi le rifiutavano qualor venivano nelle loro mani; e non avendo che il loro braccio, la loro spada, e il lor coraggio, domarono il più possente Rè della Grecia, e il popolo più feroce d’Italia. Questi gran cuori non più cedevano alla gloria dell’oro, che a quella del ferro; e riputavano cosa migliore il trovare de’nemici da sconfiggere, che tesori da accumulare.
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Exemplo
quando Nerone fu giudicato l’obbrobrio del Mondo, e della Natura, quantunque non potesse tener conto delle sue ricchezze a cagione della loro quantità immensa. Eliogabalo, l’uomo il più effeminato che siasi veduto su la terra, e il di cui solo nome copre di vergogna l’Impero Romano, come pur tutto il Mondo, non volea sputare se non nell’oro, benchè in altri tempi i sagrifiizj si facessero a Roma con vasi di creta. Ecco in poter di chi la Capitale del Mondo sia caduta, ed ecco pure il successore di tanti illustri Eroi.
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Exemplo
Ma a questo io vi dico, che Cleante fu costretto di trarre l’acqua da un pozzo per innaffiare un giardino, e Plauto di girare una mola in tutta la sua vita. Questi nulladimeno era un gran Poeta, e l’altro un gran Filosofo. Questo bravo Giardiniere, e quel Mugnajo incomparabile dopo aver il dì soddisfatto a’lor Padroni, impiegavano la notte in comporre Opere eccellentissime. Flacco nacque in grembo ad una povertà estrema. Pacuvio visse in necessità, come pure Stazio; ed ambidue fecero de’versi per guadagnarsi il pane. Virgilio stesso fu lungo tempo assai povero.