Il Socrate Veneto: N. XXV
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N. XXV.
Delle ricchezze, delle miniere d’oro, e de’tesori.Level 2
Io vi ho sentito a dire altre volte che avete molti Amici; ma non mi maraviglio, veggendo che vi vantate di avere molte ricchezze. Non è una cosa straordinaria che gli adulatori frequentino le case di coloro che li pagano per essere ingannati; e che molti ad essi dieno apparentemente il lor cuore per ricevere de’veri beni. Questo vantaggio nulladimeno, che a parer vostro vi fa molti Amici, vi fa un maggior numero d’invidiosi; e posso dire che questa è una felicità assai pericolosa, e che vi può cagionare molti dispiaceri per un picciolo contento che in fatti non vi dà, ma sol vi promette. Le vostre ricchezze vi arrecano più danno, che utile; e quantunque esse abbondino in Casa vostra, non ne segue però che la quiete e l’allegrezza altresì vi si trovino. Difficilmente troverassi un uomo ricco, il quale non confessi che sarebbe stato più felice con una mediocre fortuna, o con una povertà onesta. Perciò dovete credere che quanto sono cresciute le ricchezze vostre, altrettanto la sicurezza, la gioja, e la tranquillità del vostro spirito visibilmente si sono diminuite. Che se esse capaci fossero d’un medesimo accrescimento, non solo io non vorrei che odiaste le ricchezze, ma vi esorterei ancora ad amarle. Ma per parlare con aggiustatezza, quando mi dite di possederle, io m’immagino che abbiate acquistato una cosa, la cui ricerca è difficile, la conservazion molesta, e la perdita deplorabile. Non è ella una strana cosa, che con possiate nè custodire i vostri beni, nè spargerli tra gli altri senza rendervi infelice? Se li volete dividere, si sminuiscono; se li ritenete, vi occupano, non vi arricchiscono; e non tanto ne siete il Padrone, quanto il Depositario. Non vi gloriate adunque di avere molte ricchezze; avvegnacchè forse voi non le possedete, ma siete posseduto da esse. Così i beni vostri non sono più di voi, ma piuttosto voi siete de’vostri beni. Essi non vi servono, ma voi li servite con affetto. Per ciò un gran saggio chiama alcuni, uomini delle ricchezze, in vece di dire le ricchezze degli uomini. Così la cupidigia, e una certa viltà di cuore, di Padrone ch’eravate, vi rendono schiavo.
Ciascuno fa qual sia l’uso del denaro. Egli serve piuttosto al superfluo, che al necessario della vita. La Natura si contenta di poco, non dimanda rarità alcuna, ed ogni eccetto ad essa è insoffribile. Laonde le ricchezze male impiegate sono piuttosto catene, che beni; nè si devono già chiamare ornamenti del corpo, ma lacci dell’anima, e principj di tutti i fastidj, e di tutti i timori. Sappiamo bensì che le ricchezze hanno cagionato la morte a molte persone, ma non sappiamo ch’esse abbiano mai dato quiete a’lor possessori. Oltre a ciò i beni del Mondo sono d’ordinario contrarj a’buoni costumi, ed i comodi eccedenti guastarono la Città di Roma, dopo aver corrotto alcuni particolari. Che più? Superarono quella virtù ammirabile, che tanti nemici aveano trovata invincibile. Per fine il Popolo Romano fu giusto e celebre fin che fu povero. L’indigenza lo fe vincitore di tutte le Nazioni, e quel ch’è più glorioso, vincitor di se stesso, e domator de’vizj; ma l’abbondanza lo condusse alla sua rovina. Dovete adunque considerare quali vantaggi possiate attendere dalle ricchezze, quando il più felice Popolo del mondo n’ebbe tante disgrazie. Vorrei piuttosto vedervi proveduto di virtù, che di questi beni; i quali sono veramente mali. È vano quel che voi dite di riposar dolcemente tra i vostri tesori: voi per certo dormite sopra le spine, e il vostro sonno è veramente un letargo, poichè non ne sentite le punture. La morte verrà ben tosto a svegliarvi, e a farvi conoscere con l’esperienza che erano vuote le vostre mani.
Ma forse voi non stimate tanto le ricchezze presenti, quanto quelle che sperate di avere in avvenire. Credete che il denaro non vi mancherà mai, poichè avete trovato una miniera d’oro. Sappiate però che questa speranza di arricchirsi ha impoverito molte persone, e ha tolto la vita ad altre dopo aver loro rapito tutte le possessioni. Per ciò furono assai stolte a trascurare tutti gli altri affari per addossarsi un’occupazione che apporta loro molta pena, e poco profitto. Hanno abbandonato il Cielo, e il Sole stesso, per seguir nelle tenebre i trasporti della lor cupidigia. Non pensate adunque di avere incontrato una cosa assai preziosa, quantunque abbiate ritrovato una miniera d’oro. Essa non può far altro, che distogliervi dalla contemplazione delle cose celesti per farvi aderire a quelle della terra.
Ciò nulla ostante, io vi veggo ad entrare in quella fatal miniera, e a cercar nelle viscere della terra il cammino di andar ben presto al suo centro.
Eppure senza essere spinto da alcun timore voi ve ne andate sotterra come una talpa per seguir ciecamente la vostra avarizia; ed il Cielo non ha vaghezza alcuna per trattenervi, nè gli abissi della terra orrore alcuno per distogliervi. Ma non conviene istupirsi che gli uomini cerchino le ricchezze in tutto il Mondo visibile, veggendo che vanno a cercarle anche nell’invisibile. Non sono contenti, dice il Poeta, di metter sossopra la superficie della terra, ma vanno ancora esaminando le sue viscere. Si è prodotto alla luce quel che la natura avea occultato tra l’ombre, e si giudicano veri beni le sorgenti di tutte le nostre disgrazie.
Se poi siete lieto per aver ritrovato un tesoro, guardatevi dall’imboscate e dagl’inganni della Fortuna, che qualche volta ci favorisce per perderci più facilmente. Si copre l’amo coll’esca; e un laccio di seta soffoca con più facilità e sicurezza. I tesori hanno fatto morir molte persone in vece di arricchirle; e quand’anche non esponessero il corpo a gravi pericoli, gettano però sempre l’anima in qualche disastro. Per altro le ricchezze non sopiscono il desiderio, nè rallentano la violenza; all’opposto infiammano maggiormente l’ardore in luogo di estinguerlo. La sete dell’oro si accresce a misura ch’esso cresce tra le nostre mani; con più sollecitudine si cerca quando minore è il bisogno: la Virtù frattanto si diminuisce; e l’anima insensibilmente manca quando pensavasi di vivere con più comodo. Per ciò se la Fortuna vi ha regalato d’un tesoro, persuadetevi ch’essa vi ha dato un peso assai pericoloso, e contrario alla moderazione. Colui che si vede felice in un momento, crede esser degno d’ogni cosa. S’immagina che quanto può desiderarsi gli sia dovuto legittimamente.
Sarebbe stato meglio per voi di abbattervi fortuitamente in un serpente, che in un tesoro. Quegli vi avrebbe colmato di paura, ma l’altro vi rende insolente. L’abbondanza dell’oro fa che vi sia mancanza di probità nel Mondo; ma se questo effetto è comune ad ogni sorta di ricchezze, è ancora più particolare a quelle, che vengono in un subito. L’altre danneggiano insensibilmente, togliendo ciascun giorno qualche poco di credito alla Verità per darlo a delle opinioni false; ma queste cagionano un certo stordimento che porta un uomo fuor di se, e per un colpo che non avea preveduto lo intorbidano in tal modo, che non essendo accostumato a vivere nella felicità, diventa malvaggio per via de’beni ch’egli possiede; e crede che non avendo acquistate col merito le sue ricchezze, non le debba il merito conservare. Conchiudo dunque col dirvi, che accumulando voi, o ritrovato avendo un tesoro, non avete conseguito altro se non che nuovi travagli per voi, e nuovo oggetto d’invidia per gli altri.
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Non avete mai sentito a dire che l’Imperador Nerone in quella notte che fu tanto a lui funesta, quanto felice a tutto l’Universo, essendo avvertito di nascondersi in qualche grotta per evitare una morte ignominiosa, rispose arditamente: che non potea andar sotto terra mentir ancor vivea.