Citazione bibliografica: Gasparo Gozzi (Ed.): "Numero LXXVII", in: L’Osservatore veneto, Vol.1\077 (1761-10-28), pp. 320-324, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.462 [consultato il: ].


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N° LXXVII

A dì 28 ottobre 1761.

Citazione/Motto► Segnius irritant animos demissa per aurem
Quam quæ sunt oculis subiecta fidelibus
.

Horat., De Arte poët.

Più debole opera fa sull’anima la cosa ch’entra
per l’orecchio, di quella che a fedeli occhi è sottoposta. ◀Citazione/Motto

Livello 2► Livello 3► Lettera/Lettera al direttore► Metatestualità► All’Osservatore.

Sono stato a vedere una e due volte la rappresentazione del Corvo. Comecchè in essa si veggano rappresentate molte cose le quali si sa che sono impossibili ad accadere, non posso negarvi che l’animo mio non ne sia rimaso ingannato a segno, che m’è convenuto a forza sentire que’movimenti che si provano al recitare d’una tragedia. Di tali componimenti io non sono punto intendente. Qualche ragione pur vi dee essere dell’effetto ch’essa fa sull’animo degli spettatori. Se non vi rincresce l’entrare in tali argomenti, favoritemi di qualche risposta, accertandovi che io ve ne sarò obbligato. Sono col cuore vostro affezionatissimo

Poligragmone. ◀Metatestualità ◀Lettera/Lettera al direttore ◀Livello 3

Livello 3► Metatestualità► Mio Signore.

La rappresentazione del Corvo ha in sè tanti e così vari artifizi, che non è punto da maravigliarsi ch’essa possa operare quanto in effetto opera sull’animo degli uditori. Voi vedete in essa congiunto insieme uno spettacolo grato agli occhi, piacevolezze comiche e passioni gagliarde da tragedia, e tutto vestito del meraviglioso ch’è l’ultima percossa sull’intelletto degli uomini. Le cose che voi dite essere impossibili ad accadere, è vero che sono tali; ma l’uomo ha un certo capo fatto a modo suo che per natura spesso crede anche le cose che non possono naturalmente avvenire. Di ciò vi potrei arrecare innanzi mille esempi da’quali ritrarreste che non sono soli i fanciulli a credere [321] le favole dell’Orco e della Befana, e altre siffatte bagatelle che sembrano pastura delle balie e delle femminette che filano. Tal debolezza della nostra natura fu principalmente conosciuta da’poeti, imitatori d’ogni cosa, per dilettare; Livello 4► Exemplum► e se notate bene, ritroverete che gli squarci più importanti d’Omero sono le Veneri e le Palladi che combattono con gli uomini, e le apparizioni di Tetide, le zuffe de’fiumi, e le dicerie de’cavalli. Ma Omero visse forse in tempi ne’quali regnava la goffaggine. E Virgilio che fece? Il quale però vivea in sul più bello del fiorire della corte romana? Empiè anch’egli il suo poema di maraviglie, fra le quali non è già piccola quella delle navi cambiate in ninfe. L’Ariosto e il Tasso hanno essi ancora empiuti i poemi loro di cose mirabili, e furono a’tempi loro graditi, leggonsi volentieri oggidì e saranno letti in avvenire; e saranno sempre testimoni che il mirabile è quell’amo che tira a sè tutta l’umana generazione. Ma voi direte: Questi che tu hai fino a qui nominati sono tutti poeti epici. Dove mi troverai tu per esempio poeti tragici o comici di buona lega che facessero fin parlare animali, come io ho udito nella rappresentazione a favellare colombe per destare la maraviglia. Se i nomi d’Eschilo e d’Aristofane vi possono essere sufficienti, io posso allegarvi questi due. Il primo nel suo Prometeo introduce Io scambiata in vacca da Giove a ragionare lungamente con esso Prometeo de’suoi travagli, ed a cui Prometeo molte cose annunzia di quelle che le doveano avvenire; nella qual scena grandeggia quel magnifico poeta quanto in altra facesse mai, ed è uno de’più tragici squarci che gli uscisse mai dalla penna. D’Aristofane poi lasciamo stare ch’egli facesse gracidare col muso fuori della palude infernale e cantare un coro di ranocchi; ma diciamo solamente ch’egli compose la sua commedia intitolata gli Uccelli con interlocutori parte uomini, parte uccelli e parte deità: e che rossignuoli, allocchi e ogni genere d’uccelli si trovano quivi in azione. Crederei che l’esempio di siffatti uomini potesse bastare per non accusare l’autore del Corvo s’egli ha introdotto nella sua rappresentazione due colombe le quali vengono dalla forza d’uno stregone obbligate a favellare. ◀Exemplum ◀Livello 4

Questa è una di quelle impossibilità che vi fanno maravigliare che vi sia piaciuta la rappresentazione. ◀Metatestualità Livello 4► Exemplum► L’altra dee essere quella del principe Gennaro tramutato in una statua, e dopo restituito alla prima forma dalla cognata di lui, che da sè s’uccide per farlo ritornare uomo. La tramutazione del principe in statua è condotta con tale e tanto [322] artifizio dall’autore che fa quel medesimo effetto che farebbe ogni altra orribilità tragica sul teatro. Non nasce la bellezza e la commozione di tale scena, se notate bene, da quel cambiamento: nasce bensì dal costume e dalla forza d’una passione naturale. Non vedete voi come fin dal principio della rappresentazione a grado a grado viene esposto e dipinto l’amore d’esso principe verso Millo, re suo fratello? Come sono descritti tutti i pericoli ch’egli corse per lui? In quanti modi palesa il suo affetto e la sua sollecitudine per quello? Egli è ripieno d’allegrezza di poterlo consolare, è per andare alla corte con quella donna che dovea essere la salute e la vita di Millo. Fra tante consolazioni ecco che muta faccia la sua fortuna, ond’egli sa dal mago vendicatore non solo che non darà al fratello quel conforto che si credea, ma che con quel dono gli arreca la morte; e vien minacciato di più che se mai farà cenno di ciò ad alcuno, si cambierà in una statua. L’orrore ch’egli ha di tal sua tramutazione, se mai avvenisse, lo mostra in mille forme; e tutte così naturali che gli animi degli uditori a poco a poco s’avvezzano senza avvedersene alla maraviglia di tale accidente. Intanto egli è obbligato per salvare il fratello a fare diverse azioni che lo fanno appresso di lui cadere in sospetto d’infedeltà, della quale non può scusarsi pel timore concepirlo della tramutazione, le quali azioni diverse sempre più muovono gli uditori alla compassione di lui, e gli si affezionano e s’intrinsecano tanto in lui, ch’esce loro dalla mente l’impossibilità del materiale cambiamento. Impunto di questo non potrebbe essere condotto con arte maggiore. E Gennaro legato in prigione, creduto da tutti reo, condannato ad una morte d’ignominia. Non gli rimane altro per fuggire l’infamia che palesare il segreto conferitogli dal negromante e assoggettarsi alla tanto da lui abborrita tramutazione. Delibera di farlo; ma con ribrezzo e angoscia naturale all’uomo. Manda pel fratello che viene. Quando è in faccia di lui, tenta ancora col ricordargli l’amor suo fin da fanciullo, le beneficenze che gli ha fatte, di farsi conoscere innocente e di moverlo con le preghiere e col pianto. L’udienza informata dell’innocenza di lui, tanto più gli si affeziona e gli s’attacca col cuore. Il fratello s’adira e con poche parole gli conferma che sempre più lo crede reo, poichè si vale di pianti e preghiere, e non dichiara qual sia la sua vantata innocenza, e movendosi per partirsi di là, lo svillaneggia e dice che lo lascia in braccio alla meritata morte. Un atto di disperazione move allora il condannato a palesare l’innocenza sua, arresta il fratello, e risoluto di soggiacere alla destinata tramutazione, comincia a narrargli il fatto. In tre tempi parla e in tre tempi diventa statua. E questo anche è non picciolo artifizio; perchè tutte e tre le tramutazioni sono anticipate da un breve lamento d’orrore che ricorda agli animi degli ascoltanti il ribrezzo e l’angoscia dell’uomo, la qual cosa fa maggiore impressione d’una rigida costanza che non mostrasse l’umanità nella sua nuova miseria. Sta l’udienza divisa fra la compassione di lui e la curiosità di sapere quello che ne dirà il fratello, il quale è cagione di tanta disgrazia; e alla terza volta nasce una nuova agitazione nell’animo degli spettatori. È già il principe quasi tutto tramutato, lo prega il fratello che non dica più [323] oltre; egli piangendo e singhiozzando con pochi e compassionevoli versi dà fine al suo ragionamento, e termina di chiudersi nel sasso. Fra tanti affetti, travagli e agitazioni non ha tempo lo spettatore di ricordarsi l’impossibilità; e acquista lo stato di chi per passione indebolisce, teme, e crede possibile ogni disavventura. Aggiungete la puntuale esecuzione e maravigliosa insieme degli artisti nel cambiare il principe nella statua, che tale diventa in un modo così pronto e subitano che la vista ne rimane ingannata. Un’altra passione poi conduce di nuovo al fare tramutare la statua in uomo, e a dare agli spettatori compassionevoli l’allegrezza del vedere l’innocenza liberata da ogni male e vincitrice di tutte le calamità. Io sono dunque più che certo che la passione naturale, la quale regna dall’un capo all’altro in essa rappresentazione, sia quella che abbia tanto potuto nell’animo di voi e degli altri spettatori, che non lasci campo di riflettere all’impossibilità delle tramutazioni; onde convien dire che vi sia dentro non picciolo artifizio. ◀Exemplum ◀Livello 4

Metatestualità► Quest’è quanto poss’io dirvi intorno all’industria della soprallegata rappresentazione, ch’io volontieri chiamerei tragedia per quell’effetto che fa di muovere a compassione e ad orrore, nè mi so per tali ragioni maravigliare che piaccia, poichè sa così bene prendere e tener saldo l’animo da capo a fondo. Avendovi tocco nel principio del mio ragionamento il punto della estrema credulità degli uomini, a’quali si può dare ad intendere lucciole per lanterne quando altri il voglia, vi narrerò a questo proposito una novelletta che spiegherà spezialmente l’inclinazione umana al persuadersi che possano avvenire le cose impossibili.

Livello 4►

Novella.

Livello 5► Racconto generale► Nella città di Londra nacque un giorno quistione fra due celebrati filosofi, i nomi de’quali sono a tutta la repubblica delle lettere notissimi. Era l’uno di loro il Pope e l’altro lo Swift, autori tuttadue di chiara fama, il primo di nobili e massicce scritture, il secondo di piacevoli, e per altro ripiene tutte di verità filosofiche. Sosteneva il Pope che fra tutte le cose difficili, difficilissima era quella di dare ad intendere al popolo le invenzioni teatrali, e condurre tanti cervelli dovunque il poeta avesse voluto. Affermava all’incontro lo Swift che nessuna cosa era più facile, essendo l’uomo per sua natura inclinato alla credulità e al persuadersi d’ogni più strano avvenimento. Molte furono le ragioni dall’un lato e dall’altro, e tanto si riscaldarono entrambi nella loro ostinata disputazione, che lo Swift giuocò non so quante ghinee contra il suo avversario, che sarebbe bastato l’animo a lui di mostrargli in sul teatro quanto fosse vera la sua proposizione. Qua la mano; disse il Pope, vediamo. Aveano i comici del teatro in Londra nella compagnia loro un facitore di giuochi e saltatore così gagliardo e perito nell’arte sua, che facea strabigliare il popolo di maraviglia. Per la qual cosa accordatosi lo Swift col condottiero della compagnia di quello che avesse a fare, e promessogli una buona mancia, se n’andò a vedere [324] lo spettacolo. Quando questo fu terminato, il capo della compagnia uscì: sulla scena con una boccia in mano piuttosto grande e cominciò il suo ragionamento in tal forma: “Stimatissima udienza, noi siamo grati e pieni d’obbligazioni al continuo favore che ci vien fatto da questa nobile corona di circostanti; ma fra tutti questi chi si professa il più obbligato è il nostro saltatore. Questi per dimostrare in parte la sua gratitudine come può, ha deliberato di far vedere alle Signorie loro una maraviglia che non avranno mai immaginato nonchè veduta. Egli promette di qui a due giorni oltre agli altri salti non più veduti, di farne uno rannicchiandosi in modo e riducendo il corpo suo a così picciolo volume ch’entrerà tutto nella boccia che qui vedete e ch’io tengo in mano. Ma perchè la cosa ha in sè una gravissima difficoltà e non è anche di picciolo risico, vengono pregate le Signorie loro a pagare all’entrata quel più che sarà domani segnato in alcuni biglietti.” Così detto e mostrata più volte la boccia, entrò e fu la tenda calata.

Pensereste voi che si fece di ciò grandissimo ragionamento per Londra, che ognuno cercò di provvedersi di luogo per l’assegnato giorno? E si diceva per tutto che questa era una grande abilità d’un saltatore e degna d’essere veduta da ogni uomo. Venne il giorno stabilito; mai non si vide tanta calca, pagò ognuno quel più all’entrata, senza che vi fosse chi se ne querelasse, e parea che non potessero sofferire indugio, essendo tutti animati dalla voglia di vedere la capacità d’un uomo d’entrare in una boccia saltando. Diceva uno: “Come diavol farà ad entrare per quel ristretto collo?” E un altro: “Io avrò pur caro di vedere come un corpo d’uomo co’nervi e con l’ossa potrà starsi in una boccia? Ma come farà a non ispezzarla?” In breve ognuno diceva la sua, ma non v’era chi punto dubitasse che il saltatore non vi potesse entrare. Quando fu il tempo de’salti, il saltatore non fu veduto; ma in quello scambio si mostrò fuori il capo della compagnia e con dogliose querimonie lo scusò, dicendo ch’egli era infermo e che non avea potuto eseguire la sua promessa. “Ma che perciò?” diceva egli. “Voi non ci avrete punto perduto: imperciocchè egli vi dà parola pel tal giorno di farvi vedere una prova molto più mirabile del suo gran potere. Non salterà più nella boccia, no, ma salterà invece in questa bottiglia.” E così detto, trasse fuori un’ampolla, in cui a stento sarebbero stati due bicchieri di vino; e fatte quanto seppe le scuse del povero saltatore, rientrò e lasciò l’udienza più maravigliata di prima. E già cominciavano le nuove sollecitudini in ogni canto di Londra, e in ogni luogo si favellava di tal ◀Racconto generale ◀Livello 5 ◀Livello 4 ◀Metatestualità ◀Livello 3 ◀Livello 2 ◀Livello 1