Citation: Francesco Anselmi (Ed.): "N. XXVI", in: Il Socrate Veneto, Vol.26\ (1773), pp. 100-104, edited in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): The "Spectators" in the international context. Digital Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.985 [last accessed: ].
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N. XXVI.
Degli impieghi, e delle professioni diverse.
Level 2► La fatica, che avete sofferta, presentemente vi è aggradevole, perchè col suo mezzo avete conseguiti a larga mano titoli belli, e magnifici. Nulladimeno pensate, che la vanità non arreca frutto alcuno, benchè seco porti molte foglie. Se avete meritato l’onore, che vi fu fatto, pensate ch’e sempre un carico per voi, quantunque sia luminosissimo; e che vi farà in ogni tempo di gran vergogna, se per vie indirette, o false l’avete acquistato. Che deve mai farsi di quelle qualità, che sono sempre accompagnate o dal travaglio, o dalla infamia? La Virtù contentandosi d’un solo titolo, e per meglio dire non curandosi d’alcuno, serve a se stessa di titolo, e di dignità. Se siete tenuto per un gran Teologo, ricordatevi ch’è meglio amar Dio, che semplicemente conoscerlo col mezzo d’una curiosa speculazione. Procurato ancora di non essere del numero di coloro, i quali pare che piuttosto sieno Logici profani, che Maestri della Divinità; mentre disonorano la gravità de’nostri misterj colla leggierezza de’lor sillogismi. Se siete giudicato un gran Filosofo, non dovete ignorare che la Filosofia non promette di darci la Sapienza medesima, ma l’amore della Sapienza. Dunque non vi è alcuno, il quale voglia acquistarla, che in fatti non l’acquisti, se si risolve ad amarla. Questo titolo non è difficile a ottenersi, come molti s’immaginano; e voi sarete un vero Filosofo, purchè il vostro affetto sia altrettanto [102] vero, quanto la Sapienza che ricercate. Ma le sole anime pure possono amarla efficacemente, perchè esse sole hanno il poter di riconoscerla. Dunque non senza ragione si è stabilito per massima, che la vera sapienza consiste nella Pietà, come la vera Pietà consiste nella Sapienza. Ma la maggior parte de’vostri Filosofi dispregiano questa Scienza, o almeno l’ignorano. Si contentano di ragionare con qualche sottigliezza, senza prendersi cura delle azioni virtuose. E siccome coloro, di cui prima parlava, discorrono qualche volta di Dio temerariamente, questi pure parlano male della Natura: e pare che gli uni e gli altri si burlino dell’Onnipotenza, e vogliano racchiudere la Maestà di Dio tra i scarsi limiti di alcuni piccioli ragionamenti. Pensano di dar Leggi a quello, da cui dobbiamo attenderle, e che si deride del loro orgoglio, e della loro pazzia. I Filosofi poi disputano de’segreti della Natura, come se venissero dall’alto, ed avessero assistito al Consiglio di Dio; non considerando mai che niuno fa i disegni del Signore; e che come egli non ha Padrone alcuno, così non ha Consiglieri.
Se professate poi diversi generi d’Arti Liberali, non è già questa una cosa spregevole; ma è assai difficile che le possediate con perfezione. Il confessare che voi ignorate il tutto, sarebbe assai meglio, e più sicuro per voi, che questa profession solenne che fate dell’abilità vostra. Nel primo farebbe luminosa comparsa l’umiltà; ma nell’altro campeggia l’insolenza, e una vana presunzione. Più facilmente si perdona ai difetti de’Principianti, che agli errori di quelli che si amano per Maestri. E poi a qual fine vantarsi d’un vano titolo di sapienza, quando non ha bisogno d’un carattere straniero per farsi riconoscere, mentre di sua natura è assai considerabile? Si deve forse porre una fiaccola dinanzi al Sole, perchè si miri quel bell’astro, che ci fa vedere ogni cosa? Vi furono molte persone, il di cui nome restò sepolto tra le tenebre, quantunque per i loro titoli fossero risplendentissimi; ed altre pure vi sono state, che non avendo lustro alcuno esteriore, riscossero una gran stima. Alle buone mercatanzie non si mette alcun segno, ma solo alle cattive, per dar loro coll’arte un pregio, che non potrebbero avere per altra strada. Chi è nobile per sua natura, non ha bisogno di prendere imprestito altrove la sua nobiltà.
Oltre il vanto di essere Filosofo, voi vi pregiate di esser Poeta, è di portare la corona laureata, e la toga. Crescono in proporzion e la vostra felicità, e la fatica vostra. Era vostro scopo di cercare sol-[103]tanto la verità; ora conviene che dopo averla ricercata, diate ornamenti a chi non può riceverne senza degenerare dalla sua purità naturale. Dovete ancor trasformarla per renderla più aggradevole all’orecchie del Popolo, e fingere con grand’arte per ingannarlo con piacere. In questo s’impiegano i veri Poeti, e non in vani ornamenti; come fanno coloro che lasciano il corpo della Poesia per non seguire che l’ombra, e che cercano oggetti magnifici, in vece di renderli tali colle loro invenzioni. Quindi ne nasce che un vero Poeta è tanto raro, quanto è comune nella maniera ordinaria. Vi sono molti, che compongono versi; ma i Genj di Parnasso sono in picciol numero. L’arte di questi appellasi Divina, per mostrare ch’è assai difficile agli uomini di arrivarvi. Si scorgono molti arditi, ma pochissimi che colpiscano nel segno. Quest’impiego nulladimeno, per quanto bello egli sia, non lascia di essere svantaggioso; e questa corona laureata apporta molti travagli. Volete voi ch’io vi dica in una parola di che avete a gloriarvi? Di aver trovato un cammino sicuro per andar all’Ospitale, e per essere giudicato un furioso, e uno stravagante.
Voi non siete solamente Poeta, ma ancora Oratore. Assai mi alletta il vedere che l’Eloquenza, la quale pareva che avesse perduto il suo concetto per lo spazio di tanti Secoli, divenga florida a’tempi nostri. Erasi abbandonata a motivo della difficoltà che trovavasi in riuscirvi: il che facea dire che i buoni Oratori sono ancora più rari de’buoni Poeti. In fatti essendo uffizio dell’Oratore il parlare ornatamente e con affluenza in ogni argomento, ove troveremo noi una Scienza così universale tra l’ignoranza di ogni cosa particolare? E ancorchè si restringesse questa estensione così generale del dovere di un Oratore; è certo con tutto ciò, che se non deve parlar d’ogni cosa, deve parlar di moltissime con tanto artifizio e sapore, che la profession sua sembra piuttosto un’idea, che un’arte, la quale si posse ridurre alla pratica. Or se considerete assai bene tutte queste difficoltà, prenderete maraviglia di essere stato tanto audace di chiamarvi Oratore; e in luogo di lusingare la vanità vostra, vi stimerete un temerario. E molto più vi vergognerete di chiamarvi ancora Professore di tutte l’Arti Liberali. Per certo questo esercizio è spesso un argomento di pazzia, più tosto che di capacità. Come? La vita è troppo corta per ciascun’Arte in particolare, e voi credete di avere tempo sufficiente per acquistarle tutte? Pensate di poter far voi solo quel che tutti gli uomini insieme non potrebbero fare? Uno spirito per una sola professione è assai occupato; e per quanto pro-[104]penso sia ed assiduo, durerà sempre una gran fatica. Egli è assai limitato, ed infinite sono le cose, che saper si possono. E perciò, che dovrà mai dirsi di que’Professori, che non si contentano d’una sola Arte; anzi credono che tutte insieme non possano sufficientemente occuparli? Di là nasce che si rendono ridicoli; e in vece di profondare ne’misterj del sapere, null’altro fanno che rendersi superfiziali. La confidenza che hanno in se stessi sarebbe incredibile, se non fosse pubblica.
Per quanto appartiene alla Giurisprudenza e alla Medicina che professate di sapere, io non dirò nulla, ma mi riporterò o agli infermi che curate, o a’clienti che difendete. Essi potranno dire se queste due qualità abbiano servito ad essi per la salute del corpo, o per il guadagno della loro lite, come hanno servito a voi per accumular del danaro. Per conchiudere io dirò esservi alcune persone elette, i di cui studj sono sodi insieme, ed onesti, perchè esse non hanno altro fine che la cognizione della Verità, e la pratica della Virtù. Ma i Genj di tal carattere sono assai rari. Questa però è la vera strada, che convien battere per giungere all’acquisto d’una Scienza, che serve d’ornamento in questa vita, e di adito a quella che si aspetta. Conviene attendere nel tempo stesso allo spirito, e a’costumi; e non solo imparare a ben discorrere, ma ancora a bene operare.
Quelli che si allontanano da questa via sono in gran numero, perchè la moltitudine degl’insensati è infinita. Cercano alcuni la vanagloria, ch’è un prezzo tanto più dispregievole, quanto sembra più luminoso. Altri stimano più lo splendor dell’oro, che quello della lor fama. Ora non solo è sordida cosa ed indegna d’un uomo onesto, ma ancora è moralmente impossibile che coloro quali amano tanto un po’di terra, amino poi veramente la Scienza, ch’è una delle più ricche produzioni del Cielo. I titoli e l’impostura sono propri a’disegni di costoro, e il popolo che ha la vista assai corta, facilmente è ingannato da sì belle apparenze. La maggior parte delle cose si fa per opinione. Il Mondo farebbe assai bello, se gli uomini fossero in fatti, quali dimostrano di essere in apparenza; e se facessero con tutto l’impegno quel che fanno per lor professione. ◀Level 2 ◀Level 1