Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CCLXXIII", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.5\273 (1729), S. NaN-126, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4843 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

Lezione cclxxiii.

Agli umori benefici, e generosi.

Zitat/Motto► At quodcunque mea poterunt audere Camene,
Seu tibi par poterunt, seu, quod spes ab-
nuit, ultra;
Sive minus; certèque canent minus, omne vovemus
Hoc tibi, nec tanto careat mihi carmine
Charta.

Tibul. L. 4. Eleg. 1. 24. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► L’Amore delle Lodi è una passione profondamente radicata nel cuore di tutte le persone distinte. E quelli, che ne sono più toccati, pare abbino maggiore porzione di questa particola della Divinità, che ci distingue da tutte le Creature di ordine inferiore. Dio stesso si compiace nel ricevere le nostre lodi, ed i nostri ringraziamenti, perche allora adoriamo li suoi attributi divinj, e adempiamo buona parte del nostro dovere, mentre dall’altra parte deploriamo i nostri vizj, ed i nostri errori. E’ giustissima riflessione, [120] che non si dispregiano gli Elogj, se non quando si cessa di meritarli. Abbiamo, per anco due Panegirici, l’uno di Cicerone, e l’altro di Plinio a favore de’ più illustri Imperadori dell’Antica Roma. Questi non poteano, che gustare un estremo piacere nell’udire ciò, che le persone più disinteressate non ponno, oggi dopo tanti Secoli, leggere senza grande ammirazione. Cesare non cercava, che di farsi approvare da tutto il mondo, mentre computò d’essere abbastanza vissuto, quando ebbe acquistata abbastanza di gloria. Altri hanno sagrificata la vita per ottenere una riputazione, che non dovea incominciare, se non dopo la morte. Il più alto grado di felicità, a cui si possa, qua giù, aspirare, egli è non solamente di acquistare universale la stima col proprio merito, e colle qualità superiori, ma eziandio il goderne in questo mondo. Se il numero deviziosi supera, di molto, quello de’ buoni, mi lusingo, che le pene ordinate dalle Legge civili, sì copiose, minaccino gl’infrattori più tosto per distogliere gli uomini dalla colpa, che per castigarne i rei. Questo in oltre, puole venire dalla carestia di buoni esempj, ò dalla perversità della nostra natura, che c’impegna più tosto a seguire il male, che il bene; il vizio che la virtù. Che che [sic] ne [121] sia, non è meno giusto, che gustoso, quando non fosse, che per lo bel piacere della varietà il rappresentare qualche volta la natura umana per lo suo bel verso, in ciò che ha di brillante, come pure la sua cattiva parte in ciò, che ha del fosco, e dell’odioso. Forse la stima di ciò, che è degno nostri Elogi produrrà più effetto sopra di noi, di quello facesse l’avversione a ciò, che è biasimevole; quella ci indrizza [sic] subito a ciò che dobbiamo fare: questa solamente ci mostra ciò che dobbiamo evitare.

Metatextualität► Io non saprei offrire alla nostra immaginazione un esempio di mio gusto maggiore, che quello di Manillio. Cercherò di fargli la dovuta giustizia, ma i termini, che mi sono prescritto, non mi permettono di seguirlo in tutti li differenti stati della sua vita illustre. ◀Metatextualität Ebene 3► Fremdportrait► Dopo avere lasciate in disparte le maniere, destre, polite, sincere, ed insinuanti, che ha poste in uso per innalzarsi agli Impieghi de’ quali è stato onorato, e che servono oggi di rilievo all’aggio, ed all’abbondanza che gode, non lo considererò, che nella sua vita privata. Da questa egli rimira, con piacere le tempeste per le quali è gionto a quel felice Porto, dove si occupa alla pratica di tutte quelle virtù, che colla grande notizia acquistata degli uomini, vede essere loro più vantaggiose. Così non è meno glorioso nel suo presente stato, di quello fosse nell’altro; in pri-[122]vato, di quello fosse in pubblico; benche sia più difficile il risplendere nella ritiratezza, che negl’imbarazzi, e nelle aggitazioni degli affari. Quelli, che si ritrovano impegnati nelle mondane facende, a guisa di certi corpi aggitati con violenza, acquistano dalla rapidità del loro moto, un nuovo splendore; e sovente lo perdono, quando cadono in riposo. Ma se lo splendore continua, è un argomento del loro intrinseco valore, che per comparire non ha bisogno di ajuto esterno.

La Liberalità di Manillio tanto si avvanza, che in un altro quasi passerebbe come una gran profusione. Pare dia in eccesso; e che si rassomigli ad un Fiume, il quale quanto più si allarga, rende più fertile la Campagna. Ma è troppo grande il piacere, che ha nel beneficare, per mettersi fuori di stato di continuare. Per questo osserva una saggia Economia, ch’è la sorgente copiosa di tutti que’ Ruscelli, che per ogni parte fà scorrere. Rimira, con dispregio, quelli che aspettano in morte ad esercitare la loro generosità, gode nel vedere egli medesimo ciò che dona, e nell’essere esecutore della propria benevolenza, mentre i da lui consolati, protetti, e sollevati, porgono voti per ottenergli longa la vita, e per la continuazione del loro bene. Nessuno è al [123] coperto de’ servigj, ch’egli puol fare; conosce le strade proprie per mettersi al livello delle Persone di Rango più alto, ed è obbligato dal suo buon naturale a famigliarizarsi colle più basse, ed a provvederle ne’ loro bisogni. Si puole dire di lui ciò che Pindaro esorta la propria Musa a pubblicare di Therone. Giura, che Therone ha giurato, che nessuno di quelli, che a lui si accostano, sarà povero. Giura, che nessuno mai ebbe tanta grazia, nè arte in distribuire i Doni della Fortuna. Attico non riescì meglio di lui nel guadagnarsi la stima, e l’amicizia di tutto il mondo, ne osservò un più esatto Equilibrio frà due partiti opposti. Benche non abbracci, con ardore nè l’uno, nè l’altro, egli è non solamente ammirato, ma ciò, ch’è molto più raro, amato, ed accarezzato da tutti due. Non ho fin ora, veduto Persona di qualsivoglia età, ò Sesso, che non sia rimasta subito colpita dal merito di Manillio. Ve ne sono molti approvati da alcuni in particolare, mentre tutto il rimanente dell’umano Genere li rimira con freddezza, e con indifferenza. Ma egli può dirsi solo nella felicità di piacere a tutti; di farsi ammirare da per tutto, e di essere bramato non si ritrova. Il di lui merito è come il credito de’ Quadri di Raffaele, che non si [124] ponno vedere senz’ ammirarli; ò almeno nessuno, che voglia comparire di qualche gusto nella pittura, ardisce disapprovarli.

La invidia, e la malizia non ritrovano il loro conto nell’oscurarlo. E’ tanto difficile ad un Nemico il calunniarlo, quanto ad’ un Amico il troppo applaudirlo. Il voler’ attaccare la di lui riputazione, è cercare non sicurezza di perdere la propria. Il solo mezzo di fargli torto è il tacere gli Elogj, che merita.

E’ cosa indegna di lui l’applicarsi ad abbagliare la vista colla magnificenza degli Abiti. Il di lui ornamento è onesto, e semplice, senza affettazione; è l’Emblema del suo Animo. Sà, che l’oro, ed i riccami non ponno aggiugnere niente alla idea del suo merito; e ch’egli dà lustro al più semplice abito, senza poterne ricevere dal più fastoso. Egli è sempre il principale Personaggio nelle Compagnie. Si attrae subito gli occhi di tutti, come se la luce, che cade sopra di lui, fosse più di quella, che attornia gli altri.

Questo mi fa sovvenire l’avventura del famoso Bussj di Amboise, che in un giorno di Cerimonia alla Corte, dove tutti vollero comparire, con tutta la magnificenza, negli abiti, egli non ne vestì, che uno affatto semplice, ed or-[125]nò i suoi staffieri della più ricca Livrea potesse ritrovare, sulla speranza di così distinguersi, con vantaggio, da tutti gli altri Signori di Corte. Di fatto il successo corrispose all’aspettativa. Si attrasse gli occhi di tutti, e gli altri pareano sua Gente di seguito, mentr’ egli solo avea l’aria d’uomo di qualità, e distinzione.

In qualsivoglia stato, ò in qualsivoglia occasione, che Manillio comparisca, ad esempio di Aristippe, è sempre lo stesso, quieto, contento, ed uguale. Ma se la estesa de’ suoi disegni và del pari colla sua fortuna, vi è una cosa, in cui smentisce il proprio Carattere. La desterità cioè del suo spirito ha corretti i suoi ambiziosi desiderj, e si restringe a godere, con tranquillità, ciò che possiede.

Da per tutto l’accompagnano mille obbliganti maniere, sì naturali, e giuste, ch’è impossibile il credere abbi addoprato dello studio nell’acquistarle. Le sue occhiate sono un tacito Elogio, di ciò ch’è buono, e sodo, ò una segreta disaprovazione di ciò, ch’è cattivo, ò impertinente. Sà l’arte di comparire libero, e famigliare, senza arrischiare di rendersi incommodo; e di avere prudenza, senza che si possa tacciare d’astuzia. Il serio della sua Conversazione è sempre ingajosito da qualche trat-[126]to di ingegno; e la sua giovialità è sempre framischiata con qualche cosa di istruttivo assieme, e di grazioso. Siete dunque, con lui, sicuro di non istare allegro a spese della Ragione, nè di essere serio, a pregiudizio del buon umore. Ma con una felice mescolanza del suo temperamento, vanno sempre assieme, ò succedono a vicenda, la serietà, e la giovialità. In poche parole, tutti i suoi passi sono ugualmente lontani dalla repugnanza, e dalla negligenza, e respira del rispetto, anche nel guadagnarvi il cuore.

Egli è si affabile, e dolce, che non si puole credere soggetto a violenti passioni, le quali non lasciano di traspirare da per tutto, dove si ritrovano. Il suo temperamento tiene un giusto mezzo trà la indolenza, e la sensibilità. E’ civile, e rattenuto, allorche i suoi interessi gli permettono di seguire la propria inclinazione; ma si vede sempre fermo, e vigoroso, quando si tratta di servire il suo Principe, la sua Patria, ò i suoi Amici. ◀Fremdportrait ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1