Sono così comuni le lamenta matrimoniali che, or mai non vi si fa più attenzione; ma non avviene però, che sieno le medesime meno afflittive. È pur qualche cosa il poter sollevare il proprio cuore; e almeno otterrò questa consolazione confidandovi le mie pene. Io sono un mercante; la mia fortuna ed il mio stato sono abbastanza considerabili, e vivo in un modo proporzionato alla mia situazione. Sono già quindici anni da che ho sposato una donna che colla sua mano io credo mi abbia dato il suo cuore. Durati i primi dodici anni noi abbiamo condotta una vita dolce, innocente, ed economa. Ammassai del denaro, e quantunque abbia quattro figlie e due maschi, io posso dare a ciascuna di elle cento cinquanta mille lire; ma oh Dio! che sono mai centocinquanta mille lire per sostenere il treno di vita che la cara mia moglie giudicò a proposito di far loro adottare?
Ella è continuamente impegnata. Sono immense par quanto ella dice le sue conoscenze, e può appena vederne la metà; ella corre incessantemente per le conversazioni e per le case di giuoco, ovvero fa della casa sua un eterno rendez-vous di tumulto e di confusione. Il suo spirito non è più occupato che di abbigliamenti, di piaceri, di carte, e di frivolità. Dalle orgie sue notturne ritorna a due, tre, o quattr’ore della mattina: i miei domestici sono rivolti a questo genere di vita che mi mette in confusione, e sparge il disordine in tutta la mia famiglia. Voi potete immaginarvi che non si leva di buon mattino: a mezzo giorno è vestita per metà, e appena ha il tempo di ricevere alcune visite dei frivoli, e delle pettegole, ovvero corre per le botteghe o ai passeggi, e che so io. Si sollecita finalmente di ordinare la sua testa per non scomparire al pranzo, e si mette a tavola facendo qualche scusa ad alcuni amici che avrò invitati: ella è stata tanto prodigiosamente occupa-
Siccome il mio caso non è unico, e questo gusto sregolato per i piaceri fa ogni giorno dei nuovi progressi, io vi prego, Signora di far presente alle Dame quanto questa condotta sia contraria alla felicità conjugale, e ad ogni virtù sociale, considerando altronde che le conseguenze che risultano da questo treno di vita potrebbero molti distogliere dal matrimonio. Io confesserò francamente che se fossi libero dal giogo sotto di cui gemo, tutto l’universo non potrebbe persuadermi a sagrificare la mia libertà. Vedo la mia famiglia allevata con principj falsi e rovinosi, e sento la mia fortuna danneggiata per tante spese, a cui non posso nè oppormi, nè acconsentire.
Sono ec.
Si abbrucci del legno di rosmarino, e si getti il carbone bragiato nell’aceto rosato: vi si lasci stem-
La pietra pomice due o tre volte arrovventata nel fuoco, quindi estinta nel vino bianco, poscia seccata e ridotta in polvere sottilissima, rende semplicemente fregandoli con essa i denti bianchissimi.
Prendasi un bocale per sorte di vino di Spagna, e di acqua di foglie di rovo distillata, mezz’oncia di canella, una dramma per sorte di chiodi di garofano, e di scorza di arancio amaro, una dramma di gomma lacéa, di alume calcinato; il tutto si riduca in polvere sottile, vi si aggiunga due once di miele di Narbona; si metta il tutto in una bottiglia di vetro, per collocarla sopra la cenere calda, lasciando ogni cosa infondere per quattro giorni; Nel quinto si passerà un tal liquore per un fino pannolino, conservandolo in una bottiglia ben chiusa per l’uso desiderato.
Prendansi delle rose seccate all’ombra, dei chiodi di garofano acciacato, e dei fiori di muscada. Il tutto si mesce insieme, e si pone nei sacchetti.
Una giovine Villanella correva presso una sua asinella che pascolava in una campagna vicino ad una pubblica strada: un gentiluomo passando di colà, e trovandola molto bella le domandò di qual villaggio si fosse; al che rispose coraggiosamente ed a proposito, nominando il luogo ove abitava: dunque soggiunse, dovete conoscere la figlia di messer Ambrogio, farem’il piacere di portarle un bacio per parte mia, e nello stesso tempo tentò di abbracciarla, ma questa giovine respingendolo gli disse: Signore se avete tanta premura datelo alla mia asinella, che arriverà a casa più presto di me, e così dicendo li venne di scampare delle di luimani.
Venendo poi agli effetti o facoltà del Caffè ne
Può dirsi del Caffè quello che si dice del vino,
L’esperienza, sopra tutte le ragioni teoriche, ed a priori, decide sopra l’uso, che ne possano fare i diversi Individui di qualunque complessione e temperamento si sieno. I sottoposti alle vigilie, all’abbondante transpirazione, al sudore, e alla copia d’orina se ne devono astenere; chi poi non prova mutazione sensibile in simili cose se lo beva pure ogni giorno, specialmente dopo il cibo, come porta ormai l’introdotto costume.
Certo è che questa bevanda, essendo di sua natura alcalina e domatrice dell’acido, e buona a chi soffre indigestioni acide, ed è di fibra, e ventricolo debole, siccome a chi si nutrisce molto di vegetabili, di farinate, e di paste poco o niente fermentate; a questi non solo dopo il pasto, ma anche a stomaco digiuno può esser giovevole. Per questa ragione i Turchi, cibandosi molto di riso, di pane poco lievitato e mal cotto, di latte, di
Ma senza riandare tutte quante quelle malattie e indisposizioni alle quali può esser giovevole o contrario il Caffè, si può esser giovevole o contrario il Caffè, si possono rilevare le sue facoltà compilate nei seguenti quattro Distici del dotto Sig. Habersaco, e riportati anche nella sua Operetta sul Caffè dal Sig. Gio. della Bona Veronese.
Viscida dissolvit Caffee, pigra lotia pellit,
Suscitat; & vigiles absque labore facit.
Hinc cephalalagiae viscosae, coma, catharri,
Ebrietas, colicus pellitur bocce dolor.
Digerit & crudam stomachis languentibus esc am,
Plus juvat a pastu, quam juvat ante cibos.
Plus quoque flegmaticis & laxo corpore obesis,
Quam calidis, macris, mobilibusque quadrat.
Finalmente il Caffè, secondo me, quando non essave quelle facol’analisi à t, che l’è l’osservazione gli ha fatte assegnare dai Fisici, si può dire, che tra le bevande ormai dal lusso e dalla volutà introdotte, egli abbia certamente alcuni vantaggi sopra quella del vin, o sebbene generalmente abbracciato, reso familiare, e meno redarguito dai Medici dietetici. Questi vantaggi del Caffè sono di lasciare la bocca e le fauci di chi lo beve assai più contente di quello che faccia il vino, il quale anzi le lascia sempre sitibonde, e non alterare o offuscare come quello la mente, ma anzi di renderla più chiara ed allegra, e di essere rimedio per la medesima ebrietà: perchè operando per mezzo di un sale alcalino volatilizzato dallo zolfo combinato, e reso attivo dalla forza del fuoco, si oppone appunto all’offensiva azione dell’acido volatile e vaporoso del vino produttivo l’ubriachezza; di esser in somma una bevanda molto propria, usata sobriamente, per le Persone deboli, e affaticate, ricreandole, e dissipando in esse acilmente la noja, che procede dalle lunghe apspicazioni, dalle fatiche, dagli affari, e dalle af-
Carlo IV. Duca di Lorena trovandosi a Brusselles s’innamorò perdutamente della figlia di un Borgomastro. La madre, ch’era una donna di onore, vegliava si da vicino alla figlia, che il Duca non potè mai trovare occasione di vederla. Finalmente la madre, la figlia, ed il Principe essendosi un giorno trovati ad una festa di ballo con diversi altri Signori, essendo nota a tutto il mondo la passione del Duca, cadde la conversazione sull’oggetto del suo amore; il che lo indusse a pregare alcuni degli invitati a chiedere per lui alla madre il permesso di dire due parole a sua figlia nella stessa Sala, ed in presenza di tutto il concorso. Avendo ciò ricusato la madre si offrì di non parlare che per il tempo che avrebbe potuto tenere in mano un carbone ardente. Questa condizione parve sì forte che fu accettata. Il Duca si ritirò in disparte, e si pose in mano un carbone acceso. Cominciò la conversazione e la prolungò a segno, che la madre giudicò a
Quale vasto campo a’Giornalisti somministra in Venezia la stagione Autunnale, ed il susseguente Carnovale! Il nostro Libretto, che si denomina erudito, e galante dovrebbe certamente parlarne più d’ogni altro, ma per mala sorte ragionandosene a lungo, il frutto altro non è fuor che quello d’incontrarne disgustosi imbarazzi. Se non si seconda l’altrui parere (e sogliono essere questi opposti, e tanti quanti ne sono le teste de’Spettatori), se non si adula l’Autore, o se non si va, per così dire, a seconda della popolare decisione, eccoci o pungenti riflessioni, o fors’anco in periglio di servire di ridicolo. La prova è certissima. L’anno scorso s’è fatta qualche osservazione sopra certe Composizioni Teatrali; alcuno degli Autori mi ha favorito di qualche Lettera Carlo VIII, ossia Lodovico il Moro, bene rappresentata, e decorata dalla Compagnia del Pelandi, e comprovante esser ben differente cosa l’esercitare la Comica, ed il voler farsi Autore d’una Tragedia. Confusione di carattere, anacronismi imperdonabili, dialogo basso, e non eroico, quale a tali composizioni conviensi, avvilimento de’personaggi i più rispettabili, in somma quanto v’ha d’incongruo, tutto vi abbonda.
La seconda è Teresa Vedova, Commedia, come suol dirsi, che seguita il Claudio, e Giulia dataci nell’anno scorso. Nel suo genere è assai bene condotta, ma resta a decidersi, se il genere Romanzesco sia confacente a Commedia, e molto
La terza è il Coriolano Tragedia. Chiunque erudito nella Storia Romana, ed a portata di ben’intendere quel fatto storico di uno de’più singolari di que’Cittadini, il loro carattere, ed in particolare quello del Conquistatore di Coriolo, e la situazione delle sue passioni, ha giudicato eccellente la Tragedia, ed ottima la esecuzione della medema, singolarmente dai due che rappresentavano il Protagonista, e la di lui Madre. Chiunque poi null’altro ha in testa, che scusciti Romanzi, Commedie da bordello, e forse le più scurrili, non può sicuramente rinvenirci sennon caricatura, e burberi modi non che repubblicani, o sia patriotici modi. Ho udito esclamare uno de’più celebri Tragici (Oh mi fosse permesso palesarne il nome!) Avessi io scritta questa Tragedia! oh quanto ne anderei superbo!
In fine la quarta è il Pittore Naturalista, ossia Vero Ritratto dell’Umana Società. Lo credereste?
Sarebbe stato molto sorprendente che
Noi dovremmo fare un rimprovero agli Autori delle mode, non nominando essi mai la nuova moda col nome della persona che lo porta nel Dramma, o nella Commedia, dandogli in vece il nome generico della stessa Commedia. Per esempio nel Tarare la divina Alpasia è quella che avrebbe dovuto dare il suo nome al Cappello, poichè n’è l’Eroina come nel Figaro avrebbe dovuto essere Susanna, siccome negli Amori di Bayard, avrebbe dovuto essere la Signora di Randan; perciò tutto al contrario sono gli Eroi delle Commedie, o dei Drammi da cui si prende il nome per darlo alle mo-à la Tarare, i bonnetti à la Figaro, le acconciature à la Bayard: Questi uomini, o questi Eroi sono forse comparsi sulla scenacon bonnetti, o cappelli di donna? Questa è un’inconseguenza che ci dispiace. Non è poi tanto difficile di conservare anche in questi casi la convenienza.
Non facciamo però mostra di risentimento sul timore che non si sdegnino gli autori delle mode, che non cessino di creare, e che non ci gettino in un imbarazzo più grande. Il più savio partito sarebbe di pregarli di nominare in tal guisa le loro mode, sembrando noi che una tale denominazione sarebbe la più acconcia, e la più graziosa.
La Dama quì rappresentata è vestita con un mezzo redingotto di taffetà a righe violette e gialle color di coda di canarino incrocicchiato ed abbottonato al petto con dei bottoni assai larghi di madreperla, in cui sono delineati in oro le lettere majuscole dell’alfabetto. Sotto al suddetto mezzo-redingotto ha una sottana di taffetà bianco frastagliato nelle estremità, e con cappello in testa alla Tarare.
I cappelli alla Tarare sono in taffetà: i loro bordi non sono troppo larghi essendo di quattro o cinque polici al più; ma la loro testiera è mol-
Il Cappello alla Tarare di questa Dama è di taffetà verde pomo. La sua testiera è cinta di tre larghi nastri verde pomo con larghissimi ricamini gialli d’oro. La scala è composta di nastri gialli coda di canarino; e nel mezzo di questa scala sono collocate tre grosse rose finte. Sotto a questa scala si alzano, e giuocano per così dire insieme quattro grosse penne di zefiri bianchi coi bordi color di rosa e gialli; e dal centro della testiera sortono delle larghe, e lunghe barbe di garza d’Italia che cadono, si ripiegano, e vanno di dietro attaccandosi come sopra.
Tiene al collo un fazzoletto semplice assai gonfio ed aperto alquanto presso la gola. I fazzoletti a camicia, ed i fazzoletti a gala sono totalmente
L’affetto della testa è a grossi ricci, quattro dei quali a due giri cadenti par parte sul seno. I capegli di dietro sparsi alla senatoria.
Tiene in mano un lungo ventaglio, ed ai fianchi due orologi guarniti di catene e bijoux d’oro.
Gli orecchini sono di grossi granelli bianchi collegati con dei piccoli anellini d’acciajo lucido.
Le scarpe sono di taffetà color di rosa con falbalà di nastro bianco.
In fede mia che non si trova or più maniera di poter giustificare la moda della sua leggerezza e della sua incostanza. Non potrebbe essere più variabile, e dirò anche più inconseguente, se non fosse proprio della sua natura di cangiare, d’inventare incessantemente di nuovo; e ritornare sovente al primo grado. Nello stesso anno prendere, lasciare, riprendere le pistagne! Ben si vide
Comunque sia: eccola. L’uomo qui rappresentato ha un abito di Chyprienne a righe verdi violette e gialle d’oro guarnite di una pistagna bianca. La fodera è della medesima stoffa
Gli abiti rigati di Chyprienne non sono i soli che ci apportò la Primavera; si porta pure il gragramo rigato, le stoffe di seta rigate, le serpentine rigate, i panni Casimir rigati, i panni di Slesia rigati, ed anche i panni di Louviers rigati. Non si portano più che abiti rigati, ammenocchè non siano essi di velluto di Primavera o di cotone.
È tale il furore delle righe che si portano i gilet rigati, le calze rigate, i calzoni rigati; i calzoni neri però figurano egualmente come i calzoni rigati, come i calzoni gialli, ed i calzoni verdi. Noi abbiamo preferiti i calzoni neri, per levare in qualche parte la troppo, e insipida uniformità, che avressimo sparso in questa tavola.
L’uomo rappresentato porta sotto il suo abito un gilet ad immense righe rosa e bianche, guarnito di bottoni bianchi. Vi sono delle stoffe per gilet con delle righe che hanno sino a due pollici di larghezza.
I gilet rigati sono la maggior parte di panno
I calzoni sono di seta nera: e le calzette di seta a righe rosa e bianche: le righe di esse sono di otto o nove linee: le righe sono contradistinte e decise, e non più.
Il colore maggiormente usitato ed adottato da tutti è il blò mischiato col bianco: avrebbe qui prodotto all’occhio minor buon effetto.
Nelle scarpe ha desse fiubbe ovali larghe. Nelle fiubbe domina adesso più la larghezza che la longhezza: discendono quasi tanto in largo sul piede in quanto altrove volte lo coprivano al lungo curvato sul collo del piede. Son esse molto variate nella fattura. Le une sono guarnite di grani d’India blò, rossi, o verdi: le altre sono composte di rami lisciati in argento, o con intrecciature pure in argento: altre sono tutte lavorate greggie, cioè non lustrate.
La pettinatura è a sei ricci in due giri per parte; (altra nuova moda). I capegli di dietro sono uniti in una sottile e lunga coda.
Ha in testa un cappello Jockei a lunghi bordi, con un cordone in oro all’estremità della testiera come si portava cinque anni fa. Non sarebbe stra-à la Suisse.
Tiene in mano una canna naturale guarnita d’un pomolo a guisa di fungo.
Nel dito auriculare di una mano ha un anello nel di cui castone è montato un bel rubino.
Porta due orologi d’oro larghi alla Svedese con due catene d’oro e biyoux pure d’oro.
La gala della camicia sembra essere tutta intiera nel mezzo del gilet per metà abbottonato.
Quante nuove mode in una stessa tavola! O piuttosto qual cangiamento dall’attuale moda. Tutto in tutto. Cambiamento nell’abito, nel gilet, nelle calzette, nelle fiubbe, nella figura, nell’ornamento del cappello, negli annelli, e nel modo con cui porta la gala della camicia.
Ci rammentiamo di aver menzionato in uno dei passati quaderni il lungo sfilato di seta, che gli uomini portavano ai loro gilets di diversi colori: bisogna dire che le nostre Dame abbiano
La Dama qui rappresentata è vestita con un mezzo redingotto di taffetà a righe verdi e coda di canarino fatto a due colletti con maniche a gala, e bordato di un lungo sfilato bianco. La sottana a simile ritagliata a scacchi nella sua estremità.
Molte Dame portano addesso
Ha questa Dama in centura un largo nastro color di fuoco, avvinto davanti con un fermaglio
Al collo un fazzoletto gonfio, e come si è detta altre volte aperto vicino al mento.
Guanti di pelle bianchi.
Scarpe di taffetà color di rosa con falbalà di nastro bianco.
Manichetti di garza frastagliata solia a due giri.
Ad una mano una leggier cannetta sormontata d’un piccolo pomo d’oro altrimenti detto d’un piccolo dado d’oro.
Tiene in testa un cappello alla Spagnuola di taffetà coda di canarino, la cui testiera molto gonfia è di taffetà color di rosa. Questa testiera è cinta con un largo nastro verde, formando di dietro un grosso nodo colle sue estremità prendenti. Sul prospetto del cappello invece del groppo di nastro è fissato un grosso mazzetto di fiori finti: sotto a questo si alzano isolate due lunghissime penne color di coda di canarino palido moschettate a nero.
La pettinatura è a ricci staccati: quattro mezzani collocati a tre giri le pendono per parte sul seno: i capegli di dietro sciolti alla Senatoria.
Una nuova moda stata adottata da molte Dame, e che veramente non si confà loro di troppo, si è quella istessa degli uomini di cinque ricci, due di sopra e tre di sotto a guisa di un’ala di piccione, colla diversità che gli uomini riducono tale loro pettinatura all’orecchio, e le donne fino al mento. Non portano ormai più i ricci ondulanti sul seno; i loro capegli di dietro sono intrecciati e rialzati come le treccie dei Svizzeri. Sopra una simile pettinatura portano un piccolo berrettino, ovvero un piccolo bonetto di garza solia; ma tutto questo unito somministra loro un’
Delle Materie contenute in questo Numero XXIV.
Lagnanze Matrimoniali Pag. 355
Toletta. 358
Aneddotti. 360
Fine della Memoria Storica, e Medica sopra il Caffè. 361
Altri Aneddotti. 366
Teatro. 369
Epigramma. 372
Spiegazione delle Tavole XLVI. XLVII. XLVIII. Fig. 58. 59. 60. 374. 377. 381.
Sono pregati li Signori Assocciati a volerci favorire le loro anticipazioni per il secondo Anno.