Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CCCLIII", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.6\353 (1730), S. 318-325, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4781 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

Lezione cccliii.

A’ medesimi.

Zitat/Motto► Ubique
Luctus, ubique pavor.

Virg. En. I. 368. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► A Misura dell’avvanzata età, ho contratto l’abito di avere per me certe indulgenze, che non volevo permettermi in gioventù. Tal è il costume di dormire dopo il Pranzo, da me incominciato nell’ anno cinquantacinque di mia vita. Per questo provo il piacere di vedere, dirò così, una doppia aurora, e mi levo due volte al giorno pronto a trattenermi [319] nelle mie speculazioni. E felicemente accaduto per me, che alcuni miei sogni hanno servito d’ istruzione a’ miei Leggitori, e si può dire, che io dormo, e veglio per lo pubblico bene. Occupato jeri a meditare sopra la Caverna di Trofonio, descritta nella già passata Lezione, appena fui affiso sulla mia Sedia d’appoggio, per sonnacchiarvi all’ ordinario, Ebene 3► Traum► credetti avere quell’ Antro in mia custodia, di avere avvisato il pubblico della sua meravigliosa essicacia, e di avere seriamente esortato chi desidera per lo rimanente de’ suoi giorni di essere Serio, acciò venga a farne la prova. Subito accorse una infinità di Persone. Il primo, che ne sè la sperienza era Arlichino, posto nelle mie mani da persona di sfera, per distaccarlo da quell’ indegno mestiero. Il povero Trufaldino, non ebbe fatto più d’ un giro dentro la mia Caverna, che n’e escì, come una Gallina bagnata, con una mina la più mesta ed afflitta [320] del mondo. Vi posi indi un Fatuo, il quale non pensava, che a ridere. Lo aspettai al suo ritorno, e gli dimandai con un lieve sorriso, come gli aggradisse quel luogo. Lasciate, mi rispose, le vostre impertinenze, e se n’ andò bruscamente, così grave, come un Senatore. Un Cittadino mi priegò di accordare l’ingresso, e la escita libera a sua moglie, ch’ era adornata, con i più vaghi, e vivi colori. Vi entrò, e dopo avere fatto l’esercizio del suo ventaglio, con aria gajosa e disinvolta, ne escì di poi così pensierosa, come una vedova, a cui fosse veramente spiaciuta la perdita del marito; pronta a spogliarsi di tutte le sue pompe, e rissoluta, per quanto mi disse, con un sospiro, di mettersi nel rimanente de’ suoi gironi in duolo. Vi furono molte Civette, che i Padri, e le Madri, i Sposi, ò i Gallanti mi avevano raccomandate. Le introdusi tutte in una volta, e le pregai a divertirsi, alla meglio, che po-[321]tessero, fra di loro. Quando ritornarono alla luce del giorno, non ho termini da esprimere la loro serietà, la loro compostezza, e la loro modestia. Mentre mi consolavo nel rimirarle, intesi venire come di lontano una grossa truppa di Uomini, e di Donne, che ridevano, cantavano, e ballavano, con tutta allegria. Al loro avvicinarsi, dimandai al condottiere della Banda, chi fossero, e da dove venissero. Mi risposero tutti ascieme che erano … giunti da poco in Italia, e che parendo il loro umore un poco troppo gajoso per questi Paesi, ricorrevano a me, acciò li mettessi in istato di potere trattare co’ miei Compatriotti. M’ impegnai di buon cuore a prestare loro questo servigio, ed a ribattere ben tosto la loro vana allegrezza. Ne ammisi dunque buon numero, e dopo avere passeggiata la mia Caverna, n’escirono coll’aria del tutto Italiana. Vi fu indi un … il quale aveva gran desiderio di veder il mio Kelder, [322] così la chiamava, ma non m’ accorsi producesse in lui cambiamento veruno.

Un Comediante, che si era acquistata molta riputazione nelle parti comiche, ed allegre, mi disse, che desiderava con grand’ ardore di rapprensentare Alessandro il Grande; e che spererebbe di ben riescirvi, se potesse scancellare dal suo viso uno, ò due tratti, che gli davano un aria buffonesca. Ne sè la sperienza, e ne contrasse un aria sì brusca, che vi è da temere, non sia mai in istato di fare altra parte fuori di quella di Timone d’ Attene, ò d’ un muto ne’ Funerali.

Dopo questo bell’ Attore v’ infornai un Cittadino bizarro, di poco talento, per disporlo ad’ ottenere una Carica. Vi fu seguito da un Giovane, che studiava la Legge, condottomi da sua Nona, ma rimase sorpresa, e mortificata nel vederlo escire come un uomo selvaggio. Circondato da una Truppa di pretesi spiriti forti, che si bes-[323]savano della Religione, e si divertivano nel vedere l’aria seria, e pensierosa di quelli che erano stati nella mia Caverna, ve li gettai tutti l’ uno dopo l’altro, e chiusi loro la porta in faccia. Quando l’aprii, mi parvero oppressi da grande spavento, in procinto di cadere svenuti, e camminarono in fretta verso un Bosco vicino, ed a capo chino. Ritrovai da principio, che non potevano sostenere le loro prime serie idee; ma persuaso, che queste daranno loro ben presto una nuova tempra, li rimisi in custodia a’ loro stretti parenti, fino che la loro mutazione sia divenuta intera.

L’ ultimo soggetto, che mi sa presentato, era una Giovane, la quale appena vista la mia faccia corta si pose a scoppiare nelle risa, e fu obbligata a cuoprirsi il volto per tutto il tempo, che parlava a meco la Madre. Quindi interruppi la buona Dama, e pigliata per mano la Figlia, le dissi: Signorina, abbiate la [324] bontà di ritirarvi nel mio Gabinetto, fino che vostra Madre abbia terminato d’ istruirmi circa il vostro stato. Allora la feci calare nella mia Caverna; e la Madre, dopo avermi fatte molte scuse sopra la inciviltà della Figlia, aggiunse, che faceva sovente lo stesso verso il Padre, e verso i suoi più gravi Parenti; che affisa colle sue camerate all’ opera, ghignava dal principio fino al fine; che le accadeva eziandio, qualche volta, di scoppiare nelle risa in Chiesa, in mezzo alla Predica, e di attraorsi le occhiate di tutta l’udienza. La Madre continuava sù questo tuono, quando la Giovane escì dalla Caverna, e con modestissima aria, ci onorò d’ una riverenza profonda. Era stata d’ umore sì allegro, che la vista di Trofonio non servi, che per indurla alle creanze, un poco più delle ordinarie, ed a renderla una gallante Astuta.

Dopo avere fatte moltissime cure, rimirai con molta mia soddisfazione [325] d’ intorno, e vidi tutti i miei Pazienti passeggiare, ciascheduno in disparte, sì pensierosi e sodi, che parovano tanti Filosofi. Finalmente risolvetti di calare, io stesso, nella Caverna, per esaminarvi quale cosa avesse prodotti sì meravigliosi effetti sopra tante persone; ma essendo la porta un poco bassa, necessitato nel primo ingresso a chinarmi, ne riportai sì fiera botta col capo, che in un subito mi risvegliai. ◀Traum ◀Ebene 3 Rivenuto ben tosto dal mio primo spavento, mi rallegrai dell’accidente leggero, che mi era accaduto, incerto se un più lungo soggiorno fra quelle tenebre, non avesse sconvolto l’ordine delle mie speculazioni. ◀Ebene 2 ◀Ebene 1