Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CCCXXXI", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.6\331 (1730), S. NaN-162, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4759 [aufgerufen am: ].


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Lezione cccxxxi.

Alle Vedove sopra le ragioni, che hanno, di non afligersi per la morte de’ loro mariti.

Ebene 2► Metatextualität► La Lettera, che ho pubblicata sopra la Società delle Vedove, me ne ha attratte molte altre in particolare una della Signora Presidente; voglio qui regalarne i miei Leggitori. ◀Metatextualität

Ebene 3► Brief/Leserbrief► Sig. Satirico.

Avete ben passata la malinconia nel censurare noi altre Vedove, perche cerchiamo di consolarci si presto, dopo la morte de’ nostri carissimi Sposi, e di assaggiarne anche degli altri; ma non ponete veruna attenzione alle debolezze de’ Mariti, che abbiamo sepolti, ne alla poca afflizione, che dee naturalmente cagionarci la loro perdita. Per me, che sono, come vi piace [148] intitolarmi, la Presidente, avevo un Zio tutore, il quale, come ho dopo scuoperto, in età di quattordici anni, mi diè, o più tosto mi vendette ad un uomo, che mi accettò col terzo della mia Dote. Questo Facchino mi trattò subito da fanciulla, e s’immaginò di allevarmi a suo modo. Se bacciava la Cameriera, in mia presenza, mi credeva sì ignorante, che non vi ritrovassi malizia. Quando ritornava a casa la mattina satollo come un Tordo, non dovevo parlare, quella era la usanza de’ buoni compagni. Il Danaro mi era incognito, e che ne dovevo fare, povera Innocente! non sapevo spenderlo. Pigliò anco di più in Casa una sua gentile Cugina, sotto pretesto, che avrebbe cura del maneggio, e governerebbe i Domestici, essendone io incapace; e mentr’ ella aveva a sua disposizione quanto danaro voleva, il che era ben giusto, stante il servigio che mi prestava, io non dovevo essere tanto maligna [149] di biasimare la famigliarità fra due persone si congionte di sangue. Non avevo coraggio per contrastare, ma non ero tanto novizia per lasciarmi così ingannare. Fui sensibile al suo dispreggio nella maniera, che dovevo, e quanto la maggior parte delle povere ubbidienti, e cicche Mogli, o sono in simili casi; fino che piacque al Cielo di liberarmi dal mio Tiranno, che mi lasciò assoluta Padrona della mia Dote, con una grossa contradote.

Giovane, ricca, non ebbi carestia di sospiratori. Ve ne furono anche molti, che cercarono d’ insinuarsi nella mia grazia, in tempo dell’ultima infermità del mio povero Sposo. Il Signor Costantino, avvistato da una sua Cugina, mia considente amica, la quale sapeva fino in un soldo tutta la facoltà, che mi perveniva, fù il rimo a fare sopra di me i suoi conti. Questo è un Uomo assai grazioso, e tutto il mondo lo stimerebbe, quando non s’ accorges-[150]se, che nel proposito, è impossibile il superarlo, e ch’è unicamente occupato alla propria cara persona. Non dubitava di non arrivare a sposarmi, in cinque, o sei mesi. Mi assalì da principio con aria sí libera, che la mia superbia, vi mancò poco, nollo ributasse sul fatto. Ma con un principio, lo confesso, di malizia, ascoltai la sua prima dichiarazione con tanta simplicità e sorpresa, e sì gentilmente ne arrossi, che n’ebbe penetrato il cuore, e mi considerò, come la più innocente Creatura del mondo. Quando un uomo si forma questa idea d’ una Donna, ha per lei più amore di quello s’ immagina. Allettata di vendicarmi contro di lui, suo pensiero che’ egli non aspirasse, che alle mie richezza; e persuasa, che fosse in mio potere l’inquietarlo, risolvetti di accompiere l’opera, si che trattenni diversi sospiratori. La mia aria semplice e naturale sé sì grande impressione sopra il suo Cervello, che [151] attribuiva i corteggi de’ miei Amanti alla innevitabile forza de’ miei vezzi, ed alla vista del rossore, che alle volte mi compariva sul viso, e di certe occhiatelle, che io gli davo si credeva il solo favorito da vero. Quando anche lo trattavo, come un Cane, per divertirmi, s’immaginava, che la prudenza vi avesse la maggior parte.

Questo non è il tutto, quando Sposai il Cavallier Amusone, che aveva sessant’ anni, ebbe pietà della violenza, che mi facevo, per compiacere a miei parenti. Sapete, Signore, il Caso della Signora Neffliera, ne voreste sanza dubbio, che io mi fossi disperata per la morte d’ un tale Sposo. Versai abbastanza lagrime, nel vedermi vedova una settimana dopo il mattrimonio. Così da che il Cavalliere fù nella Tomba, computai che fosse morto già due anni, e mi rimaritai al fine di tre settimane, col Signor Robusto suo Erede. Ebbi, [152] per verità, qualche pensiero di ammettere il signor Costantino, ma vedendo ch’egli poteva aspettare, e che pure credeva indecente il dimmandarmi, prima, che l’anno della mia Vedovanza fosse spirato, lo riserbai in petto per lo quarto, e mi fissai al mio Robusto. Il credereste Signore! Benche questo Giovane non avesse, che venticinque anni, e fosse il più vigoroso Cacciatore del Paese, mi sono augurata mille volte, il mio Vecchio Cavallier Amusone. Seguia tutto il giorno i suoi Cani, e la sera di ritorno a Casa gli teneva anco tutta la notte a Tavola, pure sono loro obbligata d’ averlo guidato a rompersi il collo.

Il Signor Costantino non mancò di subito rinovare le sue visite, e veramente credo che allora l’avrei Sposato, se non avessi ricavata qualche vanità, da cui non mi fu possibile il difendermi, dal vedermi ricercata da un officiale, che aveva sviate tre mie Amiche. Il Signoro [153] Costantino, avvertito di quest’imbroglio, mi se una sì dura Lezione sopra la condotta delle Donne, che nello stesso giorno, colla sola mira di fargli dispetto Sposai il mio Giovine dissoluto. Una mezza ora dopo questo passo, ricevetti dal Signor Costantino una Lettera molto sommessa, chiedendomi perdono d’ avermi offesa, ed attribuendo la sua mercuriale alla violenza del suo amore Triomsai alla lettura del suo ribrezzo, e piena di vanità, non seppi trattenermi di farla vedere al mio Sposo, col quale me né divertì di buon cuore. Ma ahi! la mia allegrezza non fu di lunga durata; il mio Giovine marito, benche indebitato fino agli occhi pensò subito di pigliare una bella Carozza dorata con sei Cavalli superbamente forniti. Mi ero sposata sì presto, che non ebbi la prudenza di riserbarmi il possesso della mia roba. Tutto il mio danaro fù perduto in due sere nel giuoco, ed incontrai Gianetta [154] Finamosca ornata del mio giojello di Diamanti, che mi era stato non so come involato. Tutta la mia argenteria spirava a pezzo a pezzo; e mi sarei ben presto ridotta a valermi dello stagno, se il mio svaporato Giovine non si fosse battuto in duello con un giuocatore, che gli aveva truffate cinquecento doppie, e che diè soddisfazione, ed a lui, ed a me passandolo da parte a parte con un colpo di spada.

Il Signor Costantino sempre di me innamorato, ritornò alla carica, ed acciò non temessi, che’ egli mi dovesse trattare poco bene, mi priegò a riserbarmi l’intero ossesso di tutto il mio. I miei Parenti si congratulavano di già meco della sua fedeltà a tutte prove, quando, malgrado la diminuzione de’ miei vezzi, non seppi resistere al piacere di mostrare a tutte le Civette della Città, che stava in mio potere il cagionare della inquietezza ad un uomo di buon [155] senno. Questo unito alla speranza segreta, che il mio amante s’ impiccherebbe, alla gloria, che me ne risulterebbe, ed alla invidia, ch’ ecciterei nelle accenate Civette, sé che io mi determinai a doventare la terza moglie del Marchese Ratello. Elevata a questo nuovo grado d’onore, e ad una più alta fortuna, credetti vivere in tutti i piaceri del bello e grande mondo. Ma quanto mi ritrovai lontana dal mio conto! Il Marchese non era né prodigo, né di cattivo umore, né dissoluto, non ostante patj più con lui, di quello avessi fatto, con verun’ altro degli altri miei Sposi. Egli era Ippocondriaco, e bisognava, che l’udissi giorni interi a lagnarsi de’ suoi mali immaginarj. Non vi era mezzo d’ incontrare il suo gusto; ciò che bramava quando faceva bel tempo, lo rendeva infermo quando pioveva; non aveva propriamente indisposizione alcuna, ma le temeva tutte, e stava contro di tutte, in perpetua [156] guardia. Finalmente il mio buon Genio mi dettò di fargli conoscere il Dottore Grua, e dopo visse al quanto in calma, perche il buon medico gli somministrava nomi, ragioni, rimedj per tutte le di lui fantasie stravolte. Ne grandi calori viveva di Giuleppi, e si faceva cavare sangue per diffendersi dalla Febbre. Quando i Cielo si annuvolava, d’ ordinario temeva di cadere in deliquio. In somma per abbreviare il racconto della mia infelice sorte, in questo frammezzo rovinò una sanità vigorosa a forza di volerla ristabilire, e pigliò quantità di Rimedj, fino che venne all’ Ermetico, quel grande, e meraviglioso Rimedio, che cii guari e l’uno, e l’altra di tutte le nostre inquietezze.

Dopo la sua morte non aspettavo più di rivedere il Signor Costantin, sapevo, che mi aveva interamente abbandonata, che l’aveva dichiarato a tutti i suoi Amici, e che si era eziandio [157] divertito a schernirmi sora la mia ultima Elezione, di cui affettava il parlarne con differenza. Non pensai dunque più a lui, sapendo altresi che sì era impegnato, con una Giovane bella, e ricca: n’ ebbi qualche dispetto, ma non tanto per farmi trascurare l’ aviso della mia Cugina Bondesia, che si portò da me nello stesso giorno che il marchese fù posto in sepoltura. Mi parlò da Donna sperimentata, e mi disse, non esservi cosa, che bandisse più presto dalla mente un infedele amante, o un buon marito, quanto l’elezione d’ un altro, indi mi propose un suo Parente. Il mondo, aggionse, vi è abbastana noto per sapere, il danaro essere il motivo più sodo, che porta a maritarsi. Il Gentiluomo che vi propongo è assai ricco, ed ha una tosse crudele, che ve ne libererà presto. Intesi poscia, che aveva data la stessa idea di me al Signore di cui mi parlava. Ma mi guadagnò si bene, che affrettai il mattri-[158]monio di paura che morisse prima della conclusione; lo pressò anch’ egli dalla sua parte prevenuto dal medesimo timore verso di me, di maniera che si sposammo nel termine di quindici giorni, rissoluta di tener’ l’ affare segreto due, o tre settimane di più.

Allora il Signor Costantino si portò a visitarmi, e mi assicurò, che non avrebbe mancato di adempire più presto il suo dovere, se on fosse stato il timore di reccarmi disturbo ne’ primi giorni della mia aflizione: Che all’ udire la mia ultima perdita, da cui venivo lasciata in libertà di eleggere un nuovo Sposo, aveva rotto un per lui avvantaggiossimo matrimonio, benche sul punto di concludersi; e ch’ era cento volte innamorato di me più di quello fosse mai stato. Provai in questa occasione un’innesprimibile piacere, e dopo essermi alquanto composta, gli dissi, con aria ben grave, che il suo impegno mi [159] aveva cagionato tale dispetto, che mi ero maritata con un’uomo, a cui non avrei, in mia vita, pensato se non avessi perduta la speranza di lui ottenere. All’ udire questa nuova il buon Costantino seppe cadere svenuto; e quando si congedò vidi benissimo alla di lui aria, che se ne attribuiva tutta la colpa: e che malediva gli Amici, per averlo impegnato in un passo tanto per lui funesto. Il dire la verità, il mio nuovo Sposo mi dava motivo di pentirmi di non averlo aspettato, mi aveva pigliata per la mia roba, e scuoprj, ben presto, che n’era impazzito, non v’ era niente, che non mettesse in opera per acquistarne, e niente, che non soffrisse per conservarla; la minima spesa lo teneva risvegliato le notti intere; ne mai pagava un conto se non con grandi sospiri, e dopo infinite longhezze, avreste detto, che se gli stacava una parte del corpo. Io non udivo se non de’ rimproveri sopra [160] le mie inutili spese, per quanto fossero mediocri. Facilmente m’ accorsi, che mi avrebbe quasi ridotta a morire di fame, se non fosse stato il timore di perdere le mie Contradoti, e che pativa mortali angoscie frà l’afflizione di vedermi a magnare di sì buon appetito, ed il timore di rovinare la mia sanità se tropo mi sparagnava il vitto. Non dubitai più, ch’ egli non mi cagionasse la morte, se io non contribuivo alla sua, il che mi era permesso dalla Legge, la quale vuole si diffenda la propria vita; e mi era possibile; e prima che prevedesse il colpo gli comparvi dinanzi con Collaro di Diamanti, che valeva due milla e più Scudi. A tale vista Estatico non disse parola, ma ritiratosi nella sua Camera, pigliò, per quanto si crede, una sì buona dosa di Opio, che addormentato isi pose per sempre in calma. Io mi portai sì be-[161]ne in questa occasione, che ho sempre crednto [sic] fino al presente, fosse morto d’ Appoplesia.

Il Signor Costantino rissoluto, questa volta, di non arrivar tropo tardo, in capo di due giorni venne a ritrovarmi. Nell’ ora in cui scrivo è quasi passato il rermine del mio Duolo, con tutto ciò sono in certa di sposarlo, o nò. Se vengo al settimo, non sarà per la impertinente ragione, che voi adducete; ma più tosto per un principio di equità naturale la quale pare essiga, che si abbi riguardo ad una perseveranza si lunga, benche forse non ne farò niente allo stringer de’ conti. Io non credo, che tutta la ingiusta malizia del Genere umano possa mai sostenere, che dovessi conservare più lungo tempo la memoria de’ miei Sposi; o mostrare più ribrezzo per la perdita d’ un Insolente, d’ un Innutile, d’ un Negligente, d’ un Dissoluto, d’ un Ippocondriaco, e d’ un Avaro. Il primo [162] m’ insultava, il secondo non mi servia a niente, il terzo mi disgustava, il quarto tendeva a rovinarmi, il quinto mi tormentava, il sesto mi faceva quasi morire di fame. Se le altre Dame, delle quali parlate, dassero così in dettaglio il ritratto de’ loro Sposi, vedreste, ch’ ebbero quanto io, poco motivo di perdere il tempo nel gemere, e nel piangere. ◀Brief/Leserbrief ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1