Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CCCXXV", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.6\325 (1730), S. NaN-105, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4753 [aufgerufen am: ].


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Lezione cccxxv.

A quelli, ce con troppa facilità parlano anche bene degli altri.

Zitat/Motto► Adsit.
Regula, peccatis que poenas irroget aquas.
Ne scutica dignum, horribili lettere stagello.

Hor. L. I. Sat. III. 117. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Il dovere d’ un Filosofo è l’esercitarsi ogni giorno nel vincere le sue passioni e nello spogliarsi de’ suoi pregiudizj. Cerco almeno di considerare tutti gli uomini, e tutte le loro azioni, da Filosofo giusto senza riguardo veruno a me stesso, e senza esaminare, se favoriscono, o attraversano i miei particolari interessi. Occupato in tal’ esercizio, non posso non a osservare in quale maniera quelli, che mi attorniano si lascino accecare da loro pregiudizj, o dalle loro inclinazioni, [98] con quale vivacità, pronuncino sopra i loro vicendevoli caratteri, e decidano in due parole, che uno non è buono da niente, o proprio in tutte le cose. Se esaminiamo, da vicino, la Natura umana, vedremo, ch’ egli è difficilissimo, per non dire impossibile sillare il giusto valore di ciascheduno; e che gli uomini non debbono essere caratterizati in generale, né all’ingrosso. Io fatti, non ve n’è uno solo, che sia buono, o cattivo, per tutti i versi. Il vizio, e la virtù sono si amischiati più o meno, insieme, in ciascheduno individuo della nostra specie; e se ritrovate qualche bella ed iminente qualità in una persona, vi è sovente oscurata, e quasi ecclissata da moltissime irregolarità.

Ebene 3► Zitat/Motto► Gli uomini non hanno caratteri, dice un celebre Autore, o se ne hanno, è quello di non averne alcuno, che sia durevole, che non smentisca, o in cui sieno riconoscevoli… Costa meno il giognère all’ estremintà, ce l’ avere una condotta, di cui una parte nasca dall’al- [99] tra. ◀Zitat/Motto ◀Ebene 3 Si può vedere un esempio assai riguardevole di tale incostanza dell’animo umano nella Cyropedia di Xenofonte. Ebene 3► Exemplum► Questo storico ci dice, che Ciro, dopo vinta una Battaglia, ritrovò frà le Prigioniere Pantea Dama di singolare Beltà, e Moglie di Abbradato Rè di Susiana, che non volle rattenere presso di se, e la consegnò da custodire ad Araspo Giovane Medo, il quale aveva sostenuto alla sua presenza, ce la beltà d’ una Donna non poteva mai costringere un’uomo d’onore a mancare al suo dovere, quando avesse fatta una buona rissoluzione di adempierlo. Pure il Giovane Medo, appena ebbe la bella Schiava in sua custodia, ne diventò amante, e mise tutto in opera per subornarla; e disperato di ottenere l’intento, si apparechiava a qualche estremità, quando Ciro n’ebbe l’avviso. Questo Principe, che l’amava fino dalla sua fanciullezza, lo mandò a chiamare in fretta, gli rappresentò, con molta dolcezza il suo fallo; e gli arricordò, [100] ciò, che aveva egli stesso, nel proposito, detto. Araspe mosso da vivo dolore, e pieno di rossore versò un torrente di lagrime, e ne’ seguenti termini gli rispose: Volete Signore, che vi dica la verità: Io provo sensibilmente, che ho due anime: questa è una nuova Filosofia, che l’ amore quel grande sofista mi ha insegnata. In fatti, se io non avessi, che un’ anima, ella non potrebbe essere tutta in una volta buona, e cattiva, né amare allo stesso tempo il bene, ed il male: né volere tutto assieme fare una certa cosa, e non farla. Tutto ciò prova, che io ho due anime: quando la buona è più forte, ella fa bene; quando la cattiva ha l’avantagio, ella intraprende le azioni viziose. Ora che voi siete venuto al mio soccorso, la mia buona anima riesce la più possente. ◀Exemplum ◀Ebene 3

So che i miei Leggitori non ammetteranno questa chimerica scoperta di Filosofia pagana; bisogna però confessino esservi delle passioni, tanto differenti, in una sola anima, [101] quanto ne possano essere in due. Appena leggiamo la vita di qualche grand’ uomo della Antichità, o pratichiamo qualche nostro celebre contemporaneo, che non ci somministri un’esempio di ciò, ce io avvanzo.

Non ho, fin qui combattuto, se non la parzialità, e la ingiustizia, con cui pronunciamo all’ ingrosso sopra ciò, ce vagliono gli uomini, benchè siano una mescolanza di virtù, e di vizj; di bene, e di male. Ma potrei via più estendere la mia considerazione, applicandola a tutto ciò, che si dice o a favore, o contro le loro azioni. Se da una parte pesassimo, con ingenuità, tutte le circostanze, dalle quali sono accompagnate, ritroveremo sovente, che si sono indotti a fare quel passo, da cui a primo aspetto restiamo offesi, per evvitarne [sic] un altro, che ci arrecherebbe maggior dispiacere. Se da un’altra arte esaminassimo, con rigore quelle che tramandano più splendore, e ci abbagliano, le ri-[102]trovaremmo quasi tutte difettose; scuopriremmo, che zoppicano per qualche verso: che debbono la loro origine, o il loro progresso a qualche desiderio ambizioso, e reo; o che tendono a qualche fine cattivo. La medesima azione puol’ essere vestita di circostanze sì bizzarre, che riescha difficile il determinare, se meriti premio, o pena. Molte Leggi sentono sì bene quest’ imbarazzo, che pongono tra le principali massime: essere meglio tollerare un’inconveniente, che permettere un gran male: Che, cioè, in altri termini; già che niuna Legge può abbracciare tutti i Casi, e provvedere al tutto, è meglio, ce i particolari patiscano qualche ingiustizia, di quello sia il non rimediare ad un pubblico male. Questo perciò, è quello che d’ ordinario si adduce, per iscusare le turbolenze, nelle quali cadono alcuni membri della Società in certe occasioni, ce non si potevano prevedere da Legislatori. Ed a fine di rimediare a tale difetto si stabiliscono de’ Ma-[103]gistrati, che sovente mitigano, e addolciscono i rigori degli altri. La Repubblica di Venezia è un singolare esempio di questa delicata, e soave, giustissima condotta, perche convenientissima al ben pubblico.

Con tutto ciò in un governo di grand’ estensione, riesce quasi impossibile il distribuire le pene, e le ricompense, con tutta la precifisone. Bisogna confessare, che i Lacedemoni erano, nel proposito, d’una grand’esatezza. Ne sò d’avere ritrovato, in tutte le mie Letture, un esempio di Giustizia pari a quello, che si racconta Plutarco, e che servirà di chiusa a questa Lezione.

Ebene 3► Exemplum► La Città di Lacedemonia investita d’improviso da una possente Armata de Tebani, correva grande rischio di rimanere preda de’ suoi nemici. Gli abbitanti, attruppati, corsero alle armi, e combatterono con tutto il vigore, che si poteva aspettare dall’emmergente in cui si trovavano; ma non ve ne fù al-[104]cuno, che tanto si distinguesse, con istupore dell’ una, e dell’ altra Armata, quanto Isada figlio di Phoedida allora nel fiore della sua gioventù, e singolare nella bellezza, escì dal Bagno, quando fù attizzata la Zuffa, nè avendo tempo di vestirsi, ne di portarsi a ricercare le proprie armi; pieno di zelo, per servire la Patria, in sì dura estremità, strappò dalle mani la Lancia ad uno, e la Spada ad un altro, e corse a testa bassa, nel più solto de’ suoi nemici. Niente potè resistere al suo ardore; e da per tutto, dove si rivoltò, pose il nemico in fuga senza ricevere alcuna serita. Io n non determinerò, aggiugne Plutarco, se qualche Deità, per ricompensare il suo valore, ne avesse particolare cura in quella giornata, e lo cuoprisse colla sua protezione; o se i nemici, sopresi dalla singolarità del suo equipaggio, e dalla beltà della sua persona, credessero in lui qualche cosa di sovraumano.

Le Ephore, o i principali magi-[105]strati della Città ritrovarono tanta nobiltà, e tanta braura in questa azione, che gli determinarono una Ghirlanda, ma lo condennarono allo stesso tempo allo sborso di mille Dramme, per essere comparso in Battaglia senza tutte le proprie armi. ◀Exemplum ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1