Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CCXXX", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.4\230 (1728), S. 221-225, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4570 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

Lezione ccxxx.

Agli Parlatori eloquenti, mancanti però di grazia.

Zitat/Motto► abest facundis grazia dictis. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► FRà le altre osservazioni da me fatte quando visitai l’Inghilterra, come la principale sorgente delle scostumatezze che passano a’ nostri paesi, è stata la freddezza per non dire insipidezza nell’azione di que’ Oratori, e profani; e sagri; se pure questi ultimi meritano si bell’eppiteto. Eglino la cuoprono al solito col manto di virtù, battezzandola per modestia. I loro Predicatori stanno quasi immobili sopra il Pulpito; non muovono un dito, per dare qualche grazia a loro anche più ben’orditi sermoni. Si osservano le medesime statue parlanti nel Foro, ed in tutti i luoghi, dove sono ammesse le dispute. Pronunziano i loro discorsi sul medesimo tuono, senza quelle mutazioni di voce, que’ movimenti del corpo, e que’ nobili gesti della mano, tanto applauditi negli Oratori antichi, e Romani, e Greci. Parlano a sangue freddo e della vi-[222]ta, e della morte; conservano la loro calma anche in un discorso sopra ciò che hanno di più caro al mondo. Benche il zelo gli ecciti ad impiegare le più belle figure della Retorica, è incapace di risvegliare in loro una parte del corpo. Veramente l’azione propria viene da tutte le Nazioni accordata all’Italiano. Chi non ha veduto un Italiano in Pulpito non iscoprirà mai la nobiltà del gesto, che Rafaele dà all’Appostolo nel quadro, dove lo rappresenta nell’Adunanza di Filosofi Pagani colà in Attene, annunziando loro il Santo Vangelo, colle braccia alzate, come in atto di fulminare i strali della sua eloquenza. È vero, che un pubblico oratore non puole, con esatezza studiare i gesti, ed i Tuoni di voce proprj al sogetto, che tratta. E i gesti, ei tuoni sono una specie di commentario sopra ciò ch’egli dice, e fanno più impressione sul grosso de’ suoi uditori di quello facessero gli argomenti più sodi: Si tengono risvegliati; fissano la loro attenzione; ed insinuano, che lo stesso oratore è penetrato dalle verità, che, con tanto zelo, annunzia. La impetuosità del gesto, e della voce muove gl’Ignoranti, e li riempie d’un santo orrore. Non vi è niente di più ordinario del vedere le Donne gemere, e tremare alla vista d’un Predicatore, che grida e si agita con gran violenza, benche non l’inten-[223]dano. Accade pure sovente, che gli Ascoltatori si addormentano nell’udire anche i più sodi, ed elaborati discorsi, proferiti senza il dovuto calore; la dove rimarebbero accesi, per così dire, rapiti in estasi dalle contorsioni, e dagli urli, che acompagnassero anche una mal composta declamazione.

Ora se le smorfie del corpo, e della voce hanno tanta influenza sopra il cuore umano, che non si dovrebbe aspettare da certi meravigliosi discorsi, se venissero pronunziati con un moderato fervore, e colle proprie grazie della voce e del gusto?

Ebene 3► Exemplum► La storia ci dice, che l’Oratore Romano si alterò molto la sanità l’azione, e per le veemenza, con cui declamava. L’Oratore Greco Demostene era, nel proposito sì famoso, che un suo Antagonista, da lui fatto scacciare di Attene, leggendo la orazione, con cui avea ottenuto il suo esilio, e vedendo l’ammirazione, che cagionava ne’ suoi amici non seppe trattenersi di loro dire, che se rimaneano commossi all’udirne la semplice lettura, ne farebbero stati assai più, se l’avessero inteso a tuonare egli medesimo, ed unire l’azione al torrente della sua eloquenza. ◀Exemplum ◀Ebene 3

Se si paragona, per ritornare agl’Inglesi, un loro Oratore, non già alli due accennati, ma ad’un Veneziano di mediocre talento, non si puole esprimere la sciocca e ridicola figura, che fà [224] particolarmente nel foro. Ve ne sarà tal’uno, che, con aria insipida, e grave, và passando la mano sopra le code d’una lunga perucca, che gli arriva sino alla cintura. Alcuni altri imbarazzati dalle proprie mani, le cacciano, quanto ponno, in giù dentro le loro sacoccie. Altri rimirano, con attenzione, un pezzo di carta bianca in cui non vi stà scritta una sola parola. Ne vidi uno, per latro buon Retorico, tenere il suo capello in mano, girarlo da tutte le parti, rivoltarlo in diverse maniere, esaminando ora il cordone, ora il Bottone, mentre proferiva, melenzo, la sua Arringa: qualche sordo avrebbe creduto cercasse di venderlo, per altro discorrea con fondo sopra un essenziale affare della sua Nazione, mi portavo sovente alla sala di Westminster, dove sì trattano le cause civili: Vi osservai un Avvocato, il quale mai placitava se non avea un pezzo di cordoncino in mano, rivoltandoselo d’intorno al Pollice, o a qualche altro dito, in tutto il tempo che parlava.

I Beffeggiatori diceano, che quegli era il filo del suo discorso, un suo Cliente più buffone, che assennato, pensò di fargli perdere il cordoncino nel tempo che placitava; ma con suo danno avvegnache tal burla gli fè perdere la causa.

Io mi sono sempre riconosciuto per [225] un vero taciturno, e perciò poco proprio a prescrivere metodi all’oratoria, non ostante mi lusingo, si verrà me co d’accordo, che tutti dovremmo, o non parlare in pubblico, o parlandovi, parlarvi in maniera, che non ci attragga dispregio. ◀Ebene 2 ◀Ebene 1