Saggio X. Luca Magnanima Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Johanna Waldner Editor Angelika Hallegger Editor Andrea Kaser Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 20.12.2016 o:mws.5576 Magnanima, Luca: Osservatore toscano. Livorno: Carlo Giorgio 1779-1783, 120-136 Osservatore Toscano 1 10 1783 Italien Ebene 1 Ebene 2 Ebene 3 Ebene 4 Ebene 5 Ebene 6 Allgemeine Erzählung Selbstportrait Fremdportrait Dialog Allegorisches Erzählen Traumerzählung Fabelerzählung Satirisches Erzählen Exemplarisches Erzählen Utopische Erzählung Metatextualität Zitat/Motto Leserbrief Graz, Austria Italian Andere Länder Altri Paesi Other Countries Otros Países Autres Pays Wissenschaft Scienza Science Ciencia Sience Italy Pisa Pisa 10.4036,43.70853 Haiti -72.29616,19.07582 France La Rochelle La Rochelle -1.15222,46.16308 Norway 10.0,62.0 Denmark 10.0,56.0 Pacific Ocean -132.1875,3.51342 Italy 12.83333,42.83333 Iceland -18.0,65.0 United Kingdom England England -0.70312,52.16045 Norway Bergen Bergen 5.32415,60.39299 United Kingdom London London -0.12574,51.50853 Germany 10.5,51.5 France Aix-en-Provence Aix-en-Provence 5.44973,43.5283 Fiume Reno 12.24443,44.57883

Saggio X.

Metodo pratico dal Capitan Cook per mantener sane le sue genti nel secondo suo viaggio intorno al Mondo.

Fra gli uomini più rari del nostro tempo si dee contare senza fallo il capitano Iacopo Cook. Questi è quell’uomo stupendo che nato nel paese il più libero, ha cancellato finora la memoria de’navigatori che lo precedettero, e che erano grandi a’nostri occhi. Questi è quel solo che ha tolte affatto le speranze di scoprire nuove terre australi, perchè non ha trovato che esistano veramente, ma in lor vece ghiacci eterni insuperabili ovunque. Noi però non vogliamo scrivere le lodi di quest’Uomo grandissimo; ma solo mostrare per quali mezzi egli ha conservato in sanità il suo equipaggio per tre anni, e diciotto giorni dal grado 52 di latitudine settentrionale fino al 71 di longitudine meridionale, senza perdere altro che un uomo; e ciò affinchè si vegga quanto possano giovare anche in terra le regole della salute che si son trovate le più sicure, e le sole conservatrici di essa in mare, sotto tutti i climi. Il celebre dottor Pringle, quell’uomo che per le sue cognizioni ha meritato di esse presidente della Società reale di Londra, ha già fatto lo stesso; ma noi diremo quel che pensiamo su questo argomento, osservando che può esser tuttavia illustrato di più, e lo diremo alla nostra maniera.

Due grandi oggetti, non meditati abbastanza per l’innanzi, furon presi di mira dal nostro illustre Navigatore nel suo secondo viaggio, la natura de’vascelli per certe spedizioni, e la salute dell’equipaggio; perchè nè il taglio de’vascelli ordinari è proprio, nè tutti gli alimenti sono i migliori. Ed ecco quanto è vero che la scienza è il conoscere, per quanto si può, la natura delle co-se, e non più. Parliamo solo di quel che riguarda la sanità presente. In mare dunque, e nelle lunghe navigazioni tutti i preparativi, che si fanno per guardare la sanità, altro non riguardano che lo Scorbuto. Questo si teme, e questo è quasi sempre inseparabile da un numeroso equipaggio. Descriviamolo brevemente per quelli che non lo conoscono; perchè a vero dire ha delle somme differenze da quello di terra. Lo Scorbuto pertanto si va manifestando con una prostrazione generale di forze, e massime nelle gambe, ne’piedi, talchè l’infermo è obbligato a fermarsi, a sedere, stanco, rifinito e come oppresso da insolito pesi del suo corpo. Il respiro comincia tosto a farsi difficile, l’oppressione si aumenta, le forze diminuiscono di più nelle gambe, nascono alcune macchie gialle, rosse, fosche, turchine a bruttare la superficie del corpo; il fiato si fa puzzolente, le gingive putride, stillanti sangue, i denti si nudano in conseguenza, e vacillano tutti. La faccia comparisce pallida, scura, e gli occhi affondati. Sopravvengono dolori acerbi che trafiggono tutto il corpo, ora in una parte, ora in un’altra, e lo stomaco specialmente, cui attaccano furiosi. Il capo non è fermo, l’emorragie son frequenti, e spesso ostinate.

Prevenuto a questo grado si fa anche più maligno. Sopravvengono dunque sempre maggiori i descritti accidenti. La bocca, le gingive si fanno putride affatto, ulcerate, i denti, gli ossi cariati, ed il sangue che ne gronda, è sciolto, tetro e seten-te. Seguono svenimenti, tremori, convulsioni, paralisi, emoragie da ogni parte, dolori più atroci, ulceri che passano alla cancrena nella bocca, nelle gambe, ed in altre parti, spasimi più fieri, letarghi, apoplessie. In ultimo febbri di vario genere, putride, ardenti, lente, continue, dissenterie, vomiti, itterizie, difficoltà orribili, per dir tutto, nelle funzioni del corpo, ed infine la morte.

Questo è il quadro terribile di questa malattia, osservato in molte navigazioni, e massime in quella del capitan Anson. I medici antichi non ne anno potuto parlare; perchè la navigazione era forse anche nella infanzia. Oltre di che quando fosse stata anche adulta, come la veggiamo fra noi, non erano scoperte le contrade le più remote che ci siamo aperte, quasi volando, sul mare.

Le cause dello Scorbuto di mare sono varie, e tutte micidiali. Son dunque l’immondezza della nave, che rende l’aria maligna, l’acqua non fresca, le provisioni viziate, le carni salate. Il signor Addington aggiunge l’aria marina, la ripienezza de‘marinari, e la loro stitichezza. Tutte queste cause, quando congiurano insieme, ad altro non tendono che alla putrefazione nel corpo umano. Ella comincia nel primo periodo, è molto avanzata nel secondo, ed è all’ultimo suo grado nel terzo, vale a dire nell’ultimo disfacimento di tutte le parti. Le cause poi dello Scorbuto di terra sono la privazione assoluta de’vegetabili per lungo tempo, o per lungo assedio nemico, o per verni che uc-cidono gli ortaggi, o per altre malattie, a cui è stata necessaria una lunga astinenza. Son dunque ad esso soggetti coloro che si cibano di molte carni, e di tutto quel che compone le nostre mense, senza che vi siano nè insalate, nè erbe cotte nè brodi, nè radici, nè fiori di buone piante, nè aranci nè limoni col loro sugo, nè altre frutta che gli anni fertili sogliono darci in abbondanza. Queste cause sono le sole, anzi le uniche ricavate dalla sperienza de’tempi, e dall’autorità di medici prudentissimi approvate. Avviciniamoci ora ad osservare quel che ha operato il Capitan Cook per farsi incontro a questa terribile malattia. Dalle diligenze usate con tutta la costanza di un Uomo che pensa, e con tutta la passione di un altro che ama di veder sani i suoi compagni, esposti ogni momento a mille pericoli, pare che egli non abbia fatto questo secondo viaggio ad altro fine che per guardarli da quel male orribile; ed in ciò se è stato il più diligente degli altri navigatori, è stato anche il più felice. Le sue mire dunque furon rivolte all’aria, agli alimenti, alle bevande, alla pulizia generale, e particolare, come se fosse stato un medico di professione; giacchè son esse le sorgenti della salute, e delle malattie.

Per correggere l’aria, la quale non può non essere sempre cattiva, ove sia molto equipaggio, il Capitan Cook non trovò rimedio più efficace del fuoco. Soleva dunque far bruciare della polvere, far girare attorno un fornello, ove ardesse la fiam-ma sotto i ponti della nave, ove l’aria ristagna il più. Si servì non di rado anche di un Ventilatore per averne della nuova. Nella sentina poi, che è il centro delle esalazioni pestilenti, fece calare un vaso di ferro, ove fosse gran fuoco, temendo assai di esse, perchè subito uccidono. Son simili a quelle di alcuna sepoltura profonda, in cui resta morto chi per disgrazia vi cade. Noi stessi vedemmo cadervi un fanciullo che restò morto in un tratto, e restarvi subito pur morto chi vi si calò sconsigliato per dargli soccorso. Pare che in natura non siavi un veleno più pestifero di questo. In somma costanti furon le sue cautele per tener pulita la nave in tutte le sue parti, sapendo i mali che ne vengono anche in terra da un’aria corrotta. Vegliò pure che alla pulizia della nave si unisse quella dell’equipaggio, facendolo cambiare spesso di vesti, e massime ne’tempi umidi e piovosi. Non son certo nuove sì fatte cautele per conservare la sanità presente; ma è forse nuova la costanza nel volere che fossero secondate. Così tutti gli uomini che le anno intese, e che non sono stati afflitti dalla pallida miseria, si son veduti sempre con vesti semplici e monde. Pitagora, quel saggio della nostra antica Italia, n’è un ricordevole esempio. L’illustre Antonio Cocchi, che l’ha descritto, era pure un altro esempio d’insigne pulizia, cambiandosi ogni giorno di vesti che più a noi sono accoste. Che anche sì fatta diligenza sia un elemento, per così dire, della sa-lute, ognuno può restarne convinto dalla vista di quegl’infelici che sono nella povertà la più nuda. Il puzzo che forte dalle loro lacere vesti, è capace di offender chiunque; e le putride malattie, a cui son pur soggetti, è una prova della necessità della maggior pulitezza. Oltre di che l’infezione si prende ancora per esse. È dunque sempre più manifesto quanto vi guadagni la sanità.

Ora in niun luogo è più soggetta a corrompersi l’aria che in una nave, ove sia una moltitudine. Inspirata e respirata perde la sua naturale attività. Impregnata spesso delle esalazioni che vengono da acque morte, da immondezze, e da’luoghi del naviglio, ove ristagna e si fa veleno, ha bisogno di esser cambiata; e le attenzioni usate dal Capitan Cook nel far uso più del fuoco, che di altro, ne mostra l’importanza, e l’efficacia. Ma quel che segue assai volte nelle lunghe navigazioni di essere attaccati dallo scorbuto, da febbri putride, è avvenuto similmente nelle prigioni, ove sieno state piene di rei, ed ove l’aria non abbia potuto rinnovarsi abbastanza. È dunque vero pur troppo che ella è il balsamo della vita, e che quanto ella è più vergine, tanto è più dolce, e generatrice di sanità. Testimoni quelli che vivono nelle campagne, sulle colline, e su’poggi. Godon questi fortunati sempre di un’aria nuova, di un’aria mista di tutte l’esalazioni che sortono dalla terra, dalle piante, da’fiori; e questo balsamo è il primo conforto che ricevono le nostre forze. Troppo felici costoro se sapessero tutti i loro beni!

In quanto agli alimenti, egli fece gran conto di certe tavolette fatte di brodo, ridotto alla durezza di una colla. Tre volte la settimana ne facea cuocere co’piselli, ed ogni uomo ne avea un oncia. Pare veramente che quest’alimento fosse molto sano; perchè può supporsi benissimo che in quella colla non fossero più le particelle putrescenti della carne, e che all’incontro ve ne fossero delle acide, come pensa anche il dottor Pringle; ma comunque sia la cosa, l’equipaggio n’era molto ben sazio, nè se ne videro mai tristi effetti. Anzi assicura il nostro Navigatore che tutte le sue genti con questo mezzo fecero un uso maggiore di legumi di quel che avrebbero fatto. Ma il più bello del suo accorgimento fu che approdati appena a qualche isola, d’altro non ricercò se non d’erbe fresche, e di carni. Allora volle che per la colazione, e pel desinare si facessero cuocere insiem di quell’erbe co’ legumi, e che questo fosse l’alimento giornaliero. Così fece, a cagion d’esempio, all’Isola sua favorita d’Otaiti, ove trovò l’innocenza, e la virtù. In questa, grande fu il consumo che egli fece di frutti, d’erbe, e di carni fresche, e spezialmente di Maiale, che sembra esser là un cibo riserbato per le persone distinte, e per la casa del re. Questa carne, che presso alcuni ha tanta mala voce, non produsse mai verun principio di malattia nel suo equipaggio, sebbene in quell’Isola fortunata molti ne comprasse per lui, e molti ne avesse in dono. È assai probabile che sotto questo clima, ed in terreno così fertile non si cibi quest’animale se non di cose assai pure.

Quel che fece de’vegetabili, e delle carni, lo fece ancora dell’acqua. Essendo nell’Isole del Mar pacifico, sempre usò di quella che veniva dalla sorgente, sebbene ne avesse nelle sue botti della buona, nè permise che di altra mai bevessero le sue genti. All’occorrenza fece stillare anche della marina; ma non potè averne in quella quantità che sarebbe stata opportuna. Oltre di che questa distillazione è un compenso forzato, nè tale acqua spogliata di sale può mai esser quella che fu addolcita dalla Natura, e che viene giù dalle fonti, e da’ massi limpida e fresca. Sapea il Capitan Cook gli effetti sul corpo umano delle acque non buone; e lo fanno tutti que’popoli sventurati che abitano le maremme, ed i luoghi umidi, e bassi, ove l’acque non possono scaturire dalle fonti. Ma se si prevalse delle acque sempre nuove in mezzo al Mare pacifico, non trovò più questo bene in mezzo alla Zona gelata australe. Quì stette più di quattro mesi senza veder terra, e finì il suo giro del globo in alta latitudine, senza trovar più nè un fonte, nè un rivo. Dovendo combattere con que’ghiacci eterni, ed essendo impossibile l’aver acque di terra, sciolse di que’ghiacci stessi, da’quali ricavò un’acqua dolce, senza indagare il perchè l’acqua marina, ridotta in ghiaccio, e scioltasi di nuovo in acqua, non sia più falsa come prima. In tutto quel giro questa sola servì, nè fece alcun male a veruno.

È tempo ora che favelliamo de’rimedi che usò il Cook, per farsi contro alle prime apparenze dello scorbuto; poichè son forse inseparabili da certi viaggi, anche dopo tutte le cautele più rigide per non esserne attaccati. Il primo rimedio, e forse l’unico, fu il mosto di birra. Egli ne dava non pure a quelli che visibilmente sentivano le lor forze mancare, ma eziandio a coloro che osservasse esservi in qualche modo disposti. Non credea già che questo fosse un rimedio per guarirlo, ma solo il migliore per opporsi a’suoi principj. Su di ciò nondimeno non si anno da esso maggiori sperienze. È però da credersi che uno scorbuto avanzato, non dirò all’ultimo grado, che allora non sembra avere alcun rimedio, non possa guarirsi da una semplice bevanda, sebbene appropriata. Fa però meravigliare che non facesse uso degli estratti di limoni, e di aranci, come neppure dell’aceto, i quali son tutti valenti rimedi contra quel male. Ma o sia che non ne avesse sufficienza, o che non ne vedesse subito l’effetto che desiderava, come egli ci fa sapere, mostrò di non tenerli in quel pregio che anno. Con tutto questo l’efficacia degli aranci, e de’limoni nello scorbuto, descritta da medici attenti, è mirabile; nè l’esempio del Capitan Cook, potrà farla mai decadere. Il dottore Antonio Cocchi nel suo bel libro de’ Bagni di Pisa, non fa pensare ad altri rimedi in questa malattia. Egli si appoggia alla propria sperienza, ed a quella di altri savi medici. Si protesta egli di aver veduto guarire in breve tempo colla sola dieta fresca, ed acida, cioè d’erbe e di frutte tenere e grate nella maggior copia che si possa mai, adattate coll’arte ad una conveniente base delle consuete materie alimentarie d’acqua e pane, e di qualche giovine carne d’animale che d’erbe si pasca. Cita Balduino Ronsseo che fu il primo a scrivere un trattato particolare sullo scorbuto, il celebre Martino Lister, medico della Regina Anna d’Inghilterra, e Guglielmo Pisone nella sua opera bellissima de Medicina Brasiliensi. Or tutti questi valenti Autori son sì concordi nell’esaltare l’efficacia del sugo di limoni, e di aranci, che sembra uno aver copiato l’altro; il che si potrebbe dubitare se non parlassero per propria esperienza. Per dir tutto, non pare che in tutta quanta la Natura vi sia rimedio più conveniente. Anzi l’ultimo di quegli Autori assicura di non avere in tutta la sua pratica osservato da alcun altro rimedio effetti così felici, quanto da quel sugo prezioso. Il Cocchi medesimo dice quasi le stesse cose a questo proposito nell’altra sua bella Operetta del Vitto pitagorico. Il che si accorda co’rimedi prescritti ancora dal Boerahave ne’suoi aforismi, i quali rimedi il più delle volte chiama col nome di specifici. Or se quì aggiungasi l’autorità del dottor Pringle, che non fa approvare la poca opinione che ne ha avuta il Cook, saremo appieno convinti che se vi sono de’mali terribili, che nascono da maggiori, o minori gradi di corruttela negli umori, si anno anche de’rime-di e che mai non si son veduti fallire, usati che sieno a tempo, e con senno. Dice dunque questo Medico illustre che le testimonianze delle qualità salubri di questi acidi sono si numerose, e persuadenti che se ci fossero pure altri esempi della loro poca efficacia, non servirebbero per torli dalla classe de’migliori antiscorbutici.

Il mosto di birra creduto dagl’Inglesi il migliore specifico in questo male, intanto è si fatto, perchè contiene molt’aria fissa. Bisogna confessare che il dottore Macbride fu il primo a scoprirne le virtù. E non solo ve n’è molta in questo mosto, ma anche ne abondano gli altri liquori fermentati, come il vino, le varie sorte di birra, il sidro, i vini della Rochelle, e del Reno, nominati dal Boerahave. Ma quest’aria fissa sì prodigiosa contro la putrefazione, che ha ella di comune coll’efficacia degli agrumi, dell’aceto, de’frutti, e di tutto il gran regno de’vegetabili, che si oppongono essi pure alla putrefazione? Conterrebbe ella un acido più forte, più attivo? Avrebbe egli solo un’efficacia sostentatrice, e conservatrice delle sostanze viventi contra certi gradi di materia putrescente? Questo è quello che dovrebbe mettersi in maggior lume; giacchè la sperienza di molti secoli assicura agli aranci, a’limoni, all’erbe, a’frutti di una grata acidità un primato ne’mali che nascono da corruttela negli umori dentro certi gradi, quando non voglia dirsi che la stessa aria fissa altro non sia che un acido più attivo, come pare che ne sia persuaso il Priestley, dicendo il delicato ed aggradevole acidetto comunicato dall’aria fissa all’acqua, appena si potrà scorgere nel vino, e negli altri liquori che anno un forte gusto lor proprio. Il Pringle afferma su di ciò che prima della scoperta dell’aria fissa, si attribuiva quest’effetto alla virtù de’frutti, de’vegetabili, ed all’acido de’liquori fermentati, e non ostante abbiam sempre luogo di credere che l’acido sia capace di tanto.

Comunque la cosa sia, i liquori fermentati sono stati trovati efficacissimi nelle malattie che nascono da umori corrotti. Il dottore Addington nel suo Saggio sullo scorbuto di mare, benché lodi l’acqua pura, non lascia di approvare che vi si aggiunga qual che sorte di vino, dicendo che ella sarà allora di una maggiore attività, benché non sempre necessaria. Stima egli che possa corroborare il corpo, assicurarlo dalla corruzione, senza troppo riscaldarlo. Crede di più che in ogni caso possa farsi uso dell’acquavite, e del rum mescolati coll’acqua, come del vino. Ma la maggiore attività che possa ricevere l’acqua pura, secondo il parer suo, nasce dall’infusione di qualche acido vegetabile o fossile; ed a qualunque egli non dubita di anteporre lo spirito di sal marino. Il Cocchi nondimeno è sempre attaccato al più naturale, e nello scorbuto dà la palma all’acido de’vegetabili, non facendo conto di alcuna farmacia le di cui preparazioni portano piuttosto ingombro, e ritardo all’ottima cura dietetica dello scorbuto. Ma quì bisogna osservare che il Cocchi sembra sempre intendere dello scorbuto di terra, ove si possono avere in tutti i tempi gli acidi dell’erbe, e de’frutti. Il che non può avvenire ne’lunghissimi viaggi di mare, ed in climi affatto remoti dal nostro. Sicchè bisogna ricorrere agli altri che si conservano per molti anni, e sotto tutti i climi.

Dalle cose dette fin qui nel riferire quel che ha operato il nostro Navigatore, per tener lontano lo scorbuto dal suo equipaggio, ed i rimedi usati alle minime apparenze, ricaviamo, se Dio ci aiuti, qualche istruzione, benchè la nostra vita non sia navigatrice. Noi veggiamo dunque che i mali i più terribili sono quelli che vengono dalla infezione degli umori. I gradi ne son diversi, così diverse le speranze e i timori. Non sembra perciò che i nostri alimenti dovessero esser mai d’altra qualità che la più naturale, semplici e forse uni. La moltiplicità delle vivande, de’lor fughi si sa che brutti effetti produca nello stomaco nostro. Non sono tutte capaci ad essere egualmente digerite per la loro qualità, e per la loro varietà che io direi sempre nociva, se non funesta. Il sale, convien dire ancor questo, ha in se una qualità putrescente. Bisogna dunque temerne alla fine, come ne debbono temere tutti coloro che o per una trista situazione di fortuna, o per ignoranza di alcune verità naturali debbono alcuni mesi dell’anno nutrirsi di carni salate. In questo numero son tutti coloro che vivono vicini alle spiagge del ma-re, che veggono dal gelo ben presto uccise l’erbe salubri, che sono perciò necessitati a quel nutrimento. Le coste della Norvegia, e della Islanda, e massime i distretti di Bergen, e di Romsdalem, ove sono acque stagnanti, e l’aria densa e nebbiosa, ne sono un testimone. Quelle genti abitatrici, che si cibano di grasso pesce, sono afflitte da affezioni scorbutiche, da eruzioni in tutto il corpo, e fino dalla brutta elefantiasi.Histoire de l’Elefantiasis par M. Raymond Anche la Danimarca vede frequenti casi di scorbuto nel basso popolo, per esser uso a nutrirsi di robe salate, di pesce secco, di carne, e d’altri pesci affumicati.Lestres sur la Danemare. Vol. 2. In somma per tutte le contrade della terra, ove non sia aria pura, ove non ridano l’erbe ed i fiori, ove non sian cibo comune le carni fresche, il pane ottimo, ed ogni sorte di radici e di frutte, ove non siano fonti purissimi, si vedranno comparire le affezioni lebbrose, scorbutiche, maligne, desolatrici, che si veggono ancora in molte parti dell’antico, e del nuovo mondo là dove non è anco passato l’aratro, ed ove gli aliti salutari dello stesso terreno non assicurino la vita del Bisogno.

Ecco dove conducono i beni dell’agricoltura sempre viva, e fiorente. Non solo ci dà i necessari alimenti, ma ci preserva dalle più dolorose, e dalle più immonde malattie, che pur troppo anno desolato la terra. Questi son fatti, e contra i fatti sempre li stessi mal si ragiona. Che cosa dovette esser la terra quando gli uomini privi delle arti, e degli opportuni ripari si videro abbandonati al caldo, al gelo, ed a tutte le loro più terribili conseguenze? Se la terra era quasi tutta una foresta, come vi è luogo di credere, se il sole ed i venti non potean dissipare un’aria nebbiosa e stagnante, se le acque dovean precipitarsi ne’seni più bassi, ed ivi imputridire, è da stimarsi che gli abitatori fossero insetti dalle stesse, o simili malattie che regnano anche a’nostri giorni in certe parti del globo.Vedi M.Raymond. Grazie dunque alla cultura de’campi, e degli orti, grazie all’arte di regolare i fiumi, diradar le foreste, ed aprire scaturigini di acque, noi siamo molto più felici de’nostri antichissimi padri. Senza la coltivazione saremmo anche nello stato il più deplorabile; e senza quella della vite, e de’frutti tutto sarebbe perduto. Il vino, come si è già osservato, è un sicuro rimedio contro le affezioni della cute, ed in generale contro le malattie putride. Nella Provenza ov’era frequente per le acque morte il Carbone, si vede ora molto raro è ciò a motivo che il popolo minuto breve a lunghi sorsi questo prezioso liquore. Nella Germania parimente non è più frequente lo scorbuto, da che questa bevanda si è renduta comune. L’Inghilterra stessa è libera affatto dalle affezioni cutanee, e dalla lebbra, per l’uso generale che vi si fa del sidro.Raymond Hist. de l’Elephantiasis in fine. In ulti-mo tutte le contrade della terra, anche le più lontane, saranno sempre sane, se asciugheranno i laghi, i paduli, se saranno promotrici della coltivazione, se l’incoraggiranno a segno da vederla per ogni parte fiorire. Questa è la base della sanità, come ognuno può pensare. A lei dunque bisogna ricorrere, e lei mantenere.

Saggio X. 1783 Saggio X. Metodo pratico dal Capitan Cook~i per mantener sane le sue genti nel secondo suo viaggio intorno al Mondo. Fra gli uomini più rari del nostro tempo si dee contare senza fallo il capitano Iacopo Cook~i. Questi è quell’uomo stupendo che nato nel paese il più libero, ha cancellato finora la memoria de’navigatori che lo precedettero, e che erano grandi a’nostri occhi. Questi è quel solo che ha tolte affatto le speranze di scoprire nuove terre australi, perchè non ha trovato che esistano veramente, ma in lor vece ghiacci eterni insuperabili ovunque. Noi però non vogliamo scrivere le lodi di quest’Uomo grandissimo; ma solo mostrare per quali mezzi egli ha conservato in sanità il suo equipaggio per tre anni, e diciotto giorni dal grado 52 di latitudine settentrionale fino al 71 di longitudine meridionale, senza perdere altro che un uomo; e ciò affinchè si vegga quanto possano giovare anche in terra le regole della salute che si son trovate le più sicure, e le sole conservatrici di essa in mare, sotto tutti i climi. Il celebre dottor Pringle, quell’uomo che per le sue cognizioni ha meritato di esse presidente della Società reale di Londra, ha già fatto lo stesso; ma noi diremo quel che pensiamo su questo argomento, osservando che può esser tuttavia illustrato di più, e lo diremo alla nostra maniera. Due grandi oggetti, non meditati abbastanza per l’innanzi, furon presi di mira dal nostro illustre Navigatore nel suo secondo viaggio, la natura de’vascelli per certe spedizioni, e la salute dell’equipaggio; perchè nè il taglio de’vascelli ordinari è proprio, nè tutti gli alimenti sono i migliori. Ed ecco quanto è vero che la scienza è il conoscere, per quanto si può, la natura delle co-se, e non più. Parliamo solo di quel che riguarda la sanità presente. In mare dunque, e nelle lunghe navigazioni tutti i preparativi, che si fanno per guardare la sanità, altro non riguardano che lo Scorbuto. Questo si teme, e questo è quasi sempre inseparabile da un numeroso equipaggio. Descriviamolo brevemente per quelli che non lo conoscono; perchè a vero dire ha delle somme differenze da quello di terra. Lo Scorbuto pertanto si va manifestando con una prostrazione generale di forze, e massime nelle gambe, ne’piedi, talchè l’infermo è obbligato a fermarsi, a sedere, stanco, rifinito e come oppresso da insolito pesi del suo corpo. Il respiro comincia tosto a farsi difficile, l’oppressione si aumenta, le forze diminuiscono di più nelle gambe, nascono alcune macchie gialle, rosse, fosche, turchine a bruttare la superficie del corpo; il fiato si fa puzzolente, le gingive putride, stillanti sangue, i denti si nudano in conseguenza, e vacillano tutti. La faccia comparisce pallida, scura, e gli occhi affondati. Sopravvengono dolori acerbi che trafiggono tutto il corpo, ora in una parte, ora in un’altra, e lo stomaco specialmente, cui attaccano furiosi. Il capo non è fermo, l’emorragie son frequenti, e spesso ostinate. Prevenuto a questo grado si fa anche più maligno. Sopravvengono dunque sempre maggiori i descritti accidenti. La bocca, le gingive si fanno putride affatto, ulcerate, i denti, gli ossi cariati, ed il sangue che ne gronda, è sciolto, tetro e seten-te. Seguono svenimenti, tremori, convulsioni, paralisi, emoragie da ogni parte, dolori più atroci, ulceri che passano alla cancrena nella bocca, nelle gambe, ed in altre parti, spasimi più fieri, letarghi, apoplessie. In ultimo febbri di vario genere, putride, ardenti, lente, continue, dissenterie, vomiti, itterizie, difficoltà orribili, per dir tutto, nelle funzioni del corpo, ed infine la morte. Questo è il quadro terribile di questa malattia, osservato in molte navigazioni, e massime in quella del capitan Anson. I medici antichi non ne anno potuto parlare; perchè la navigazione era forse anche nella infanzia. Oltre di che quando fosse stata anche adulta, come la veggiamo fra noi, non erano scoperte le contrade le più remote che ci siamo aperte, quasi volando, sul mare. Le cause dello Scorbuto di mare sono varie, e tutte micidiali. Son dunque l’immondezza della nave, che rende l’aria maligna, l’acqua non fresca, le provisioni viziate, le carni salate. Il signor Addington aggiunge l’aria marina, la ripienezza de‘marinari, e la loro stitichezza. Tutte queste cause, quando congiurano insieme, ad altro non tendono che alla putrefazione nel corpo umano. Ella comincia nel primo periodo, è molto avanzata nel secondo, ed è all’ultimo suo grado nel terzo, vale a dire nell’ultimo disfacimento di tutte le parti. Le cause poi dello Scorbuto di terra sono la privazione assoluta de’vegetabili per lungo tempo, o per lungo assedio nemico, o per verni che uc-cidono gli ortaggi, o per altre malattie, a cui è stata necessaria una lunga astinenza. Son dunque ad esso soggetti coloro che si cibano di molte carni, e di tutto quel che compone le nostre mense, senza che vi siano nè insalate, nè erbe cotte nè brodi, nè radici, nè fiori di buone piante, nè aranci nè limoni col loro sugo, nè altre frutta che gli anni fertili sogliono darci in abbondanza. Queste cause sono le sole, anzi le uniche ricavate dalla sperienza de’tempi, e dall’autorità di medici prudentissimi approvate. Avviciniamoci ora ad osservare quel che ha operato il Capitan Cook per farsi incontro a questa terribile malattia. Dalle diligenze usate con tutta la costanza di un Uomo che pensa, e con tutta la passione di un altro che ama di veder sani i suoi compagni, esposti ogni momento a mille pericoli, pare che egli non abbia fatto questo secondo viaggio ad altro fine che per guardarli da quel male orribile; ed in ciò se è stato il più diligente degli altri navigatori, è stato anche il più felice. Le sue mire dunque furon rivolte all’aria, agli alimenti, alle bevande, alla pulizia generale, e particolare, come se fosse stato un medico di professione; giacchè son esse le sorgenti della salute, e delle malattie. Per correggere l’aria, la quale non può non essere sempre cattiva, ove sia molto equipaggio, il Capitan Cook non trovò rimedio più efficace del fuoco. Soleva dunque far bruciare della polvere, far girare attorno un fornello, ove ardesse la fiam-ma sotto i ponti della nave, ove l’aria ristagna il più. Si servì non di rado anche di un Ventilatore per averne della nuova. Nella sentina poi, che è il centro delle esalazioni pestilenti, fece calare un vaso di ferro, ove fosse gran fuoco, temendo assai di esse, perchè subito uccidono. Son simili a quelle di alcuna sepoltura profonda, in cui resta morto chi per disgrazia vi cade. Noi stessi vedemmo cadervi un fanciullo che restò morto in un tratto, e restarvi subito pur morto chi vi si calò sconsigliato per dargli soccorso. Pare che in natura non siavi un veleno più pestifero di questo. In somma costanti furon le sue cautele per tener pulita la nave in tutte le sue parti, sapendo i mali che ne vengono anche in terra da un’aria corrotta. Vegliò pure che alla pulizia della nave si unisse quella dell’equipaggio, facendolo cambiare spesso di vesti, e massime ne’tempi umidi e piovosi. Non son certo nuove sì fatte cautele per conservare la sanità presente; ma è forse nuova la costanza nel volere che fossero secondate. Così tutti gli uomini che le anno intese, e che non sono stati afflitti dalla pallida miseria, si son veduti sempre con vesti semplici e monde. Pitagora, quel saggio della nostra antica Italia, n’è un ricordevole esempio. L’illustre Antonio Cocchi, che l’ha descritto, era pure un altro esempio d’insigne pulizia, cambiandosi ogni giorno di vesti che più a noi sono accoste. Che anche sì fatta diligenza sia un elemento, per così dire, della sa-lute, ognuno può restarne convinto dalla vista di quegl’infelici che sono nella povertà la più nuda. Il puzzo che forte dalle loro lacere vesti, è capace di offender chiunque; e le putride malattie, a cui son pur soggetti, è una prova della necessità della maggior pulitezza. Oltre di che l’infezione si prende ancora per esse. È dunque sempre più manifesto quanto vi guadagni la sanità. Ora in niun luogo è più soggetta a corrompersi l’aria che in una nave, ove sia una moltitudine. Inspirata e respirata perde la sua naturale attività. Impregnata spesso delle esalazioni che vengono da acque morte, da immondezze, e da’luoghi del naviglio, ove ristagna e si fa veleno, ha bisogno di esser cambiata; e le attenzioni usate dal Capitan Cook nel far uso più del fuoco, che di altro, ne mostra l’importanza, e l’efficacia. Ma quel che segue assai volte nelle lunghe navigazioni di essere attaccati dallo scorbuto, da febbri putride, è avvenuto similmente nelle prigioni, ove sieno state piene di rei, ed ove l’aria non abbia potuto rinnovarsi abbastanza. È dunque vero pur troppo che ella è il balsamo della vita, e che quanto ella è più vergine, tanto è più dolce, e generatrice di sanità. Testimoni quelli che vivono nelle campagne, sulle colline, e su’poggi. Godon questi fortunati sempre di un’aria nuova, di un’aria mista di tutte l’esalazioni che sortono dalla terra, dalle piante, da’fiori; e questo balsamo è il primo conforto che ricevono le nostre forze. Troppo felici costoro se sapessero tutti i loro beni! In quanto agli alimenti, egli fece gran conto di certe tavolette fatte di brodo, ridotto alla durezza di una colla. Tre volte la settimana ne facea cuocere co’piselli, ed ogni uomo ne avea un oncia. Pare veramente che quest’alimento fosse molto sano; perchè può supporsi benissimo che in quella colla non fossero più le particelle putrescenti della carne, e che all’incontro ve ne fossero delle acide, come pensa anche il dottor Pringle; ma comunque sia la cosa, l’equipaggio n’era molto ben sazio, nè se ne videro mai tristi effetti. Anzi assicura il nostro Navigatore che tutte le sue genti con questo mezzo fecero un uso maggiore di legumi di quel che avrebbero fatto. Ma il più bello del suo accorgimento fu che approdati appena a qualche isola, d’altro non ricercò se non d’erbe fresche, e di carni. Allora volle che per la colazione, e pel desinare si facessero cuocere insiem di quell’erbe co’ legumi, e che questo fosse l’alimento giornaliero. Così fece, a cagion d’esempio, all’Isola sua favorita d’Otaiti, ove trovò l’innocenza, e la virtù. In questa, grande fu il consumo che egli fece di frutti, d’erbe, e di carni fresche, e spezialmente di Maiale, che sembra esser là un cibo riserbato per le persone distinte, e per la casa del re. Questa carne, che presso alcuni ha tanta mala voce, non produsse mai verun principio di malattia nel suo equipaggio, sebbene in quell’Isola fortunata molti ne comprasse per lui, e molti ne avesse in dono. È assai probabile che sotto questo clima, ed in terreno così fertile non si cibi quest’animale se non di cose assai pure. Quel che fece de’vegetabili, e delle carni, lo fece ancora dell’acqua. Essendo nell’Isole del Mar pacifico, sempre usò di quella che veniva dalla sorgente, sebbene ne avesse nelle sue botti della buona, nè permise che di altra mai bevessero le sue genti. All’occorrenza fece stillare anche della marina; ma non potè averne in quella quantità che sarebbe stata opportuna. Oltre di che questa distillazione è un compenso forzato, nè tale acqua spogliata di sale può mai esser quella che fu addolcita dalla Natura, e che viene giù dalle fonti, e da’ massi limpida e fresca. Sapea il Capitan Cook gli effetti sul corpo umano delle acque non buone; e lo fanno tutti que’popoli sventurati che abitano le maremme, ed i luoghi umidi, e bassi, ove l’acque non possono scaturire dalle fonti. Ma se si prevalse delle acque sempre nuove in mezzo al Mare pacifico, non trovò più questo bene in mezzo alla Zona gelata australe. Quì stette più di quattro mesi senza veder terra, e finì il suo giro del globo in alta latitudine, senza trovar più nè un fonte, nè un rivo. Dovendo combattere con que’ghiacci eterni, ed essendo impossibile l’aver acque di terra, sciolse di que’ghiacci stessi, da’quali ricavò un’acqua dolce, senza indagare il perchè l’acqua marina, ridotta in ghiaccio, e scioltasi di nuovo in acqua, non sia più falsa come prima. In tutto quel giro questa sola servì, nè fece alcun male a veruno. È tempo ora che favelliamo de’rimedi che usò il Cook, per farsi contro alle prime apparenze dello scorbuto; poichè son forse inseparabili da certi viaggi, anche dopo tutte le cautele più rigide per non esserne attaccati. Il primo rimedio, e forse l’unico, fu il mosto di birra. Egli ne dava non pure a quelli che visibilmente sentivano le lor forze mancare, ma eziandio a coloro che osservasse esservi in qualche modo disposti. Non credea già che questo fosse un rimedio per guarirlo, ma solo il migliore per opporsi a’suoi principj. Su di ciò nondimeno non si anno da esso maggiori sperienze. È però da credersi che uno scorbuto avanzato, non dirò all’ultimo grado, che allora non sembra avere alcun rimedio, non possa guarirsi da una semplice bevanda, sebbene appropriata. Fa però meravigliare che non facesse uso degli estratti di limoni, e di aranci, come neppure dell’aceto, i quali son tutti valenti rimedi contra quel male. Ma o sia che non ne avesse sufficienza, o che non ne vedesse subito l’effetto che desiderava, come egli ci fa sapere, mostrò di non tenerli in quel pregio che anno. Con tutto questo l’efficacia degli aranci, e de’limoni nello scorbuto, descritta da medici attenti, è mirabile; nè l’esempio del Capitan Cook, potrà farla mai decadere. Il dottore Antonio Cocchi nel suo bel libro de’ Bagni di Pisa, non fa pensare ad altri rimedi in questa malattia. Egli si appoggia alla propria sperienza, ed a quella di altri savi medici. Si protesta egli di aver veduto guarire in breve tempo colla sola dieta fresca, ed acida, cioè d’erbe e di frutte tenere e grate nella maggior copia che si possa mai, adattate coll’arte ad una conveniente base delle consuete materie alimentarie d’acqua e pane, e di qualche giovine carne d’animale che d’erbe si pasca. Cita Balduino Ronsseo che fu il primo a scrivere un trattato particolare sullo scorbuto, il celebre Martino Lister, medico della Regina Anna d’Inghilterra, e Guglielmo Pisone nella sua opera bellissima de Medicina Brasiliensi~i. Or tutti questi valenti Autori son sì concordi nell’esaltare l’efficacia del sugo di limoni, e di aranci, che sembra uno aver copiato l’altro; il che si potrebbe dubitare se non parlassero per propria esperienza. Per dir tutto, non pare che in tutta quanta la Natura vi sia rimedio più conveniente. Anzi l’ultimo di quegli Autori assicura di non avere in tutta la sua pratica osservato da alcun altro rimedio effetti così felici, quanto da quel sugo prezioso. Il Cocchi medesimo dice quasi le stesse cose a questo proposito nell’altra sua bella Operetta del Vitto pitagorico~i. Il che si accorda co’rimedi prescritti ancora dal Boerahave ne’suoi aforismi, i quali rimedi il più delle volte chiama col nome di specifici. Or se quì aggiungasi l’autorità del dottor Pringle, che non fa approvare la poca opinione che ne ha avuta il Cook, saremo appieno convinti che se vi sono de’mali terribili, che nascono da maggiori, o minori gradi di corruttela negli umori, si anno anche de’rime-di e che mai non si son veduti fallire, usati che sieno a tempo, e con senno. Dice dunque questo Medico illustre che le testimonianze delle qualità salubri di questi acidi sono si numerose, e persuadenti che se ci fossero pure altri esempi della loro poca efficacia, non servirebbero per torli dalla classe de’migliori antiscorbutici. Il mosto di birra creduto dagl’Inglesi il migliore specifico in questo male, intanto è si fatto, perchè contiene molt’aria fissa. Bisogna confessare che il dottore Macbride fu il primo a scoprirne le virtù. E non solo ve n’è molta in questo mosto, ma anche ne abondano gli altri liquori fermentati, come il vino, le varie sorte di birra, il sidro, i vini della Rochelle, e del Reno, nominati dal Boerahave. Ma quest’aria fissa sì prodigiosa contro la putrefazione, che ha ella di comune coll’efficacia degli agrumi, dell’aceto, de’frutti, e di tutto il gran regno de’vegetabili, che si oppongono essi pure alla putrefazione? Conterrebbe ella un acido più forte, più attivo? Avrebbe egli solo un’efficacia sostentatrice, e conservatrice delle sostanze viventi contra certi gradi di materia putrescente? Questo è quello che dovrebbe mettersi in maggior lume; giacchè la sperienza di molti secoli assicura agli aranci, a’limoni, all’erbe, a’frutti di una grata acidità un primato ne’mali che nascono da corruttela negli umori dentro certi gradi, quando non voglia dirsi che la stessa aria fissa altro non sia che un acido più attivo, come pare che ne sia persuaso il Priestley, dicendo il delicato ed aggradevole acidetto comunicato dall’aria fissa all’acqua, appena si potrà scorgere nel vino, e negli altri liquori che anno un forte gusto lor proprio. Il Pringle afferma su di ciò che prima della scoperta dell’aria fissa, si attribuiva quest’effetto alla virtù de’frutti, de’vegetabili, ed all’acido de’liquori fermentati, e non ostante abbiam sempre luogo di credere che l’acido sia capace di tanto. Comunque la cosa sia, i liquori fermentati sono stati trovati efficacissimi nelle malattie che nascono da umori corrotti. Il dottore Addington nel suo Saggio sullo scorbuto di mare, benché lodi l’acqua pura, non lascia di approvare che vi si aggiunga qual che sorte di vino, dicendo che ella sarà allora di una maggiore attività, benché non sempre necessaria. Stima egli che possa corroborare il corpo, assicurarlo dalla corruzione, senza troppo riscaldarlo. Crede di più che in ogni caso possa farsi uso dell’acquavite, e del rum mescolati coll’acqua, come del vino. Ma la maggiore attività che possa ricevere l’acqua pura, secondo il parer suo, nasce dall’infusione di qualche acido vegetabile o fossile; ed a qualunque egli non dubita di anteporre lo spirito di sal marino. Il Cocchi nondimeno è sempre attaccato al più naturale, e nello scorbuto dà la palma all’acido de’vegetabili, non facendo conto di alcuna farmacia le di cui preparazioni portano piuttosto ingombro, e ritardo all’ottima cura dietetica dello scorbuto. Ma quì bisogna osservare che il Cocchi sembra sempre intendere dello scorbuto di terra, ove si possono avere in tutti i tempi gli acidi dell’erbe, e de’frutti. Il che non può avvenire ne’lunghissimi viaggi di mare, ed in climi affatto remoti dal nostro. Sicchè bisogna ricorrere agli altri che si conservano per molti anni, e sotto tutti i climi. Dalle cose dette fin qui nel riferire quel che ha operato il nostro Navigatore, per tener lontano lo scorbuto dal suo equipaggio, ed i rimedi usati alle minime apparenze, ricaviamo, se Dio ci aiuti, qualche istruzione, benchè la nostra vita non sia navigatrice. Noi veggiamo dunque che i mali i più terribili sono quelli che vengono dalla infezione degli umori. I gradi ne son diversi, così diverse le speranze e i timori. Non sembra perciò che i nostri alimenti dovessero esser mai d’altra qualità che la più naturale, semplici e forse uni. La moltiplicità delle vivande, de’lor fughi si sa che brutti effetti produca nello stomaco nostro. Non sono tutte capaci ad essere egualmente digerite per la loro qualità, e per la loro varietà che io direi sempre nociva, se non funesta. Il sale, convien dire ancor questo, ha in se una qualità putrescente. Bisogna dunque temerne alla fine, come ne debbono temere tutti coloro che o per una trista situazione di fortuna, o per ignoranza di alcune verità naturali debbono alcuni mesi dell’anno nutrirsi di carni salate. In questo numero son tutti coloro che vivono vicini alle spiagge del ma-re, che veggono dal gelo ben presto uccise l’erbe salubri, che sono perciò necessitati a quel nutrimento. Le coste della Norvegia, e della Islanda, e massime i distretti di Bergen, e di Romsdalem, ove sono acque stagnanti, e l’aria densa e nebbiosa, ne sono un testimone. Quelle genti abitatrici, che si cibano di grasso pesce, sono afflitte da affezioni scorbutiche, da eruzioni in tutto il corpo, e fino dalla brutta elefantiasi.Histoire de l’Elefantiasis par M. RaymondAnche la Danimarca vede frequenti casi di scorbuto nel basso popolo, per esser uso a nutrirsi di robe salate, di pesce secco, di carne, e d’altri pesci affumicati.Lestres sur la Danemare. Vol. 2.In somma per tutte le contrade della terra, ove non sia aria pura, ove non ridano l’erbe ed i fiori, ove non sian cibo comune le carni fresche, il pane ottimo, ed ogni sorte di radici e di frutte, ove non siano fonti purissimi, si vedranno comparire le affezioni lebbrose, scorbutiche, maligne, desolatrici, che si veggono ancora in molte parti dell’antico, e del nuovo mondo là dove non è anco passato l’aratro, ed ove gli aliti salutari dello stesso terreno non assicurino la vita del Bisogno. Ecco dove conducono i beni dell’agricoltura sempre viva, e fiorente. Non solo ci dà i necessari alimenti, ma ci preserva dalle più dolorose, e dalle più immonde malattie, che pur troppo anno desolato la terra. Questi son fatti, e contra i fatti sempre li stessi mal si ragiona. Che cosa dovette esser la terra quando gli uomini privi delle arti, e degli opportuni ripari si videro abbandonati al caldo, al gelo, ed a tutte le loro più terribili conseguenze? Se la terra era quasi tutta una foresta, come vi è luogo di credere, se il sole ed i venti non potean dissipare un’aria nebbiosa e stagnante, se le acque dovean precipitarsi ne’seni più bassi, ed ivi imputridire, è da stimarsi che gli abitatori fossero insetti dalle stesse, o simili malattie che regnano anche a’nostri giorni in certe parti del globo.Vedi M.Raymond.Grazie dunque alla cultura de’campi, e degli orti, grazie all’arte di regolare i fiumi, diradar le foreste, ed aprire scaturigini di acque, noi siamo molto più felici de’nostri antichissimi padri. Senza la coltivazione saremmo anche nello stato il più deplorabile; e senza quella della vite, e de’frutti tutto sarebbe perduto. Il vino, come si è già osservato, è un sicuro rimedio contro le affezioni della cute, ed in generale contro le malattie putride. Nella Provenza ov’era frequente per le acque morte il Carbone, si vede ora molto raro è ciò a motivo che il popolo minuto breve a lunghi sorsi questo prezioso liquore. Nella Germania parimente non è più frequente lo scorbuto, da che questa bevanda si è renduta comune. L’Inghilterra stessa è libera affatto dalle affezioni cutanee, e dalla lebbra, per l’uso generale che vi si fa del sidro.Raymond Hist. de l’Elephantiasis in fine.In ulti-mo tutte le contrade della terra, anche le più lontane, saranno sempre sane, se asciugheranno i laghi, i paduli, se saranno promotrici della coltivazione, se l’incoraggiranno a segno da vederla per ogni parte fiorire. Questa è la base della sanità, come ognuno può pensare. A lei dunque bisogna ricorrere, e lei mantenere.