Zitiervorschlag: Gasparo Gozzi (Hrsg.): "Numero VII", in: Gli Osservatori veneti, Vol.1\07 (1761-02-24), S. 463-466, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.3568 [aufgerufen am: ].


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No VII.

A dì 24 febbraio 1762.

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Quello che avvenne alla compagnia degli Osservatori
negli ultimi giorni del carnovale.

Descrizione del Velluto

Ebene 3► Allgemeine Erzählung► Ebene 4► Fremdportrait► È la Taddea una giovane villanella, che se la fosse vestita a foggia delle cittadine, non le mancherebbe nulla per parere da qualche cosa; e salvo ch’ella ha due piedi un po’troppo grandicelli, per avergli lasciati ampliare e crescere per lungo e per largo a modo loro in un paio di scarpettacce fatte in villa, e talora in un paio di zoccoli, tutto il restante del corpo suo par fatto a pennello; e non è occhio cotanto acuto che le potesse apporre difetto veruno. Ella va diritta come un pavone, e sopra sè come una grua, senza essere però sostenuta dall’armatura delle balene; ha due bracciotte bianche e ritonde, che sono una consolazione a vedere; le mani che paiono fatte al tornio, dove non si scoprono nè i nodelli delle dita, nè vene appariscono, tanto ch’è però gran peccato a dire che un dì le abbiano ad essere indurate da’calli, e che quel delicato avorio abbia ad essere dalla zappa e dalla vanga contaminato. I lineamenti della sua faccia hanno tutti una così bella proporzione e grata armonia, che formano una compiuta bellezza; e sono oltre a ciò rilevati da un color bianco incarnatino e da due occhi cilestri, co’quali senza veruno studio la dice quel ch’ella vuole. Dicono alcuni che sarebbe il meglio che fossero neri; ma quanto è a me, giudico il contrario. Egli è il vero che gli occhi neri hanno una certa vivacità e un certo acuto splendore che gli altri non hanno; ma in essi si scopre una malizietta fina fina, che par che dica altrui: Guarda come ti fidi; laddove i cilestri appariscono tutti candore e semplicità, e pare che accompagnino quelle loro soavi guardature con l’innocenza. Io non dico che così sia, ma dico che pare; imperocchè non vorrei essere preso nella parola, e che alcuni mi allegassero molte astuzie usate loro dagli occhi cilestri, e che io in fine fossi un parabolano. Basta, sia come si voglia, la Taddea non gli ha neri, ed è una bella fanciulla. Fu costei conosciuta fin da puttina tant’alta, oh! che poteva ella avere? dieci anni, quando la fu conosciuta da noi in una certa villetta; e parendoci ella di spirito e una fanciulletta di buon garbo, ogni volta che fummo alla campagna, andammo a vedere la Taddea, e ragionammo con essa, e così d’anno in anno facendo, la pervenne a’diciotto anni; tanto che la ci parea a tutti nostra propria figliuola, e più volte le promettemmo, più per ischerzo che per altro, di voler essere alle sue nozze. Ella rispondea che non si maritava, e abbassando il viso tutto tinto da una [464] fiammolina di verecondia, facea atto da volersene andare. ◀Fremdportrait ◀Ebene 4 Ma che? Dálle, dálle, dálle, le si presentò un certo Ghirigoro, anch’egli un giovanotto ben tarchiato, il quale non le spiacque, e le fè tanti cenni e tanti atti, pagandole molte bagattelluzze di tempo in tempo, che la povera Taddea ne fu cotta fracida; onde il putto la fece chiedere a’suoi, e si conchiuse fin da due anni in qua che si dovessero celebrar le nozze negli ultimi giorni del carnovale di quest’anno del 1762; e fu indugiato tanto, perchè a poco a poco s’avea a mettere insieme la dote di un saccone, d’un materasso e di mezza dozzina di camice, che avendo prima a nascere ne’campi, ad esser filate e tessute, non poteano esser fatte così per fretta. Basta, che quando ogni cosa fu all’ordine, venne assegnato il giorno, ch’io non potrei dire quanto fosse dalla Taddea e da Ghirigoro aspettato; e poco prima che giungesse, mi pervenne alle mani una carta, sottoscritta dalla Taddea e dettata non so da cui, di questo tenore:

Ebene 4► Brief/Leserbrief►

Alle mani del colendissimo signor Velluto
sue proprie mani.

Venezia.

“Ogni promessa sono debito. Le mie nozze è vicine. Adesso conoscerò se il signor Velluto burlavano, quando dicevano, con quegli altri Illustrissimi, che volevano venire. Marti grasso si fanno questa festa. Dopo d’avere tanto ridesto, è stata la verità. La prego di compatirmi, e con tutto il rispetto mi dichiaro sua serva fedelissima

“Di . . . ., 13 febbraio 1762.

La Taddea . . . .” ◀Brief/Leserbrief ◀Ebene 4

Letta ch’io ebbi questa lettera, la presentai a’miei compagni, i quali ridendo e scherzando approvarono tutti la promessa, e dissero che non essendo lungo il viaggio e potendosi fare agiatamente in una barchetta, si dovesse andare alle nozze e ritrovarvisi all’assegnato dì, per non mancare di parola alla Taddea, e oltre a ciò avere in quei giorni di spasso qualche diletto nuovo. Così avendo dunque deliberato, incominciammo ad attendere il tempo; e comperate alcune cosette da fare più splendide le nozze della Taddea, volle il Rabbuiato che le fossero celebrate secondo la usanza con alquanti componimenti poetici, i quali all’arrivo nostro dovessero essere appiccati qua e colà per gli usci di quel villaggio. Piacque il parere del Rabbuiato a tutti gli altri compagni; onde così in brigata con un buon fuoco innanzi, e con certi fiaschetti di vino, incominciammo, ognuno dal lato suo, a scrivere con uno stile conveniente al suggetto: e non bastò; che le cose scritte furono mandate in fretta allo stampatore. Metatextualität► Quello che ci uscì del cervello, sarà da noi posto nella fine di questo foglio. ◀Metatextualität Intanto venne il giorno della partenza: c’imbarcammo, e via. Giungemmo alla villa della Taddea appunto ch’ella, già udita la messa del Congiunto, ritornava indietro a passo a passo, col capo chino, accompagnata da una lunga brigata d’uomini e di donne; e con esso loro ne venivano tre sonatori, uno di vivuola, uno di cetera, e il terzo di violino, i quali menavano quegli archetti [465] e quelle mani ch’erano una furia a vedergli; e accompagnavano ogni nota con visacci e bocche così contraffatte, che vi si vedea con quanto sforzo usciva loro l’armonia delle dita. Di tempo in tempo il codazzo degli uomini spalancava le gole, e cacciava fuori altissime strida di allegrezza, aggiungendovi certuni un rumore di archibusate improvviso, che le povere femmine si mettevano le dita negli orecchi, e taluna facea, un salto di qui colà, maladicendo gli archibusieri. Quando giungemmo noi dov’era la compagnia, la salva si fece più forte; e s’alzarono più gagliardamente le strida, e la Taddea fece un risolino così sottecchi che dimostrava la sua consolazione di vederci; e parea che dicesse: “Siate i ben venuti”. Intanto così a passo a passo andammo alla casa stabilita alle nozze, e vi trovammo un luogo dov’era apparecchiata una lunga tavola, alla quale dopo non molto tempo ci ponemmo tutti a sedere in due righe l’una in faccia all’altra; e la Taddea sedeva nel mezzo dell’una, e Ghirigoro dell’altra dirimpetto a lei; e si diede di mano ai cucchiai da tutti i lati con tanta furia, che avreste detto che volassero dal piatto alla bocca. Quando fu così per un pezzetto acquetato il primo desiderio del ventre, andarono intorno i bicchieri; non credeste già certi bicchierini abortiti nelle fornaci di Murano, ma de’più larghi, alti e profondi che uscissero mai di mano a’fornaciai, e fu bevuto il diluvio; tanto che non passò un’ora, che a tutti scintillavano gli occhi e si riscaldarono gli orecchi che pareano di scarlatto. Allora vi so dir io che cominciarono i motti e le burle, e che la povera Taddea udì ogni generazione di facezie; alle quali ella rispondea con l’abbassare gli occhi, quasi volesse dire che non intendeva nulla, benchè in effetto io creda ch’ella fosse una scozzonata astutaccia e che intendesse molto bene; e lo sposo ne ridea così sgangheratamente, che gli si sarebbero potuti noverare tutti i denti nelle mascelle. E tuttavia egli vi fu tra que’villani un giovanotto il quale rinfacciava gli altri, e dicea: “Io non so se voi però credete d’essere begli spiriti con queste vostre asinesche piacevolezze che fanno arrossire le nostre femmine. Quanto è a me, mi pare che se voi voleste ridere, egli si potrebbe farlo con maggior grazia. Io mi sono parecchie volte ritrovato per caso dov’erano uomini e donne ben creati, e udii ch’essi dicevano quello che dite voi, ma lo mascheravano con una certa malizietta e con un garbo che faceva ridere senza fare arrossire. Non è poi maraviglia se noi siamo da tutti giudicati goffi e grossolani, perchè non sappiamo coprire con veruna grazia queste nostre bestialità.” Il povero giovane dicea, ma non era inteso altro che da noi, i quali per assecondarlo incominciammo a scherzare onestamente, e credo che da ognuno fossimo giudicati freddi e capi rovinati. Intanto andò il pranzo verso la fine, e sopra una forchetta si fece girare un pomo intorno, nel quale ognuno de’convitati innestò una moneta; e il pomo così arricchito fu presentato alla Taddea, la quale si levò su e fece un bell’inchino a tutti con molta modestia; e allora Ghirigoro la prese per mano, e comandato che si desse negli strumenti, aperse con la sposa sua una danza, e tutti si diedero a fare scambietti, e a gambettare come cavriuoli, innalzandosi di tempo in tempo le strida, e sparandosi archibusi con tanto fracasso, che parea che il cielo cadesse. In tal guisa venne la notte; e dicendo [466] la Taddea ch’ell’era stanca, e ridendole tutti in faccia della sua stanchezza, la si diede a piangere perchè lasciava il padre e la madre, ed eglino piangevano perchè lasciavano lei; ma finalmente ell’entrò nella sua cameretta, e noi nella nostra barca, e ci partimmo. ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 3 Metatextualität► Io promisi nel principio di questo foglio che avrei pubblicate le poesie che furono fatte per le nozze di Ghirigoro e della Taddea: ora attengo la parola, e furono queste. ◀Metatextualität

Ebene 3►

Stanze dell’increspato

Di quante sono al mondo villanelle

È la Taddea la maraviglia e il fiore.

Dinanzi a lei somiglian le più belle

Davanti al sole un lumicin che muore.

Ha così bianca e morbida la pelle,

Che a vederla è una grazia e un onore.

Gli occhi suoi fóran come i punteruoli,

Ed è peccato che n’abbia due soli.

La sua gonnella non ha in sè fanciulla

Ch’abbia sol ossa e nome di Taddea;

Sicchè spogliata poi riesca nulla,

E non la vegga più chi la vedea.

Ma quello che co’denti ella maciulla,

Si cambia in polpe, e buon sangue le crea.

Vermiglia è quando a letto va la sera,

E la mattina par la primavera.

Non fu veduto mai ch’ella svenisse

Pel tremito de’nervi o altri mali.

Per lei ricetta il medico non scrisse,

Nè s’impacciaron seco gli speziali.

Fin or vent’anni su la terra visse,

E tutti in sanità furono uguali:

E se la malattia d’amor la tocca,

In breve guarirà, che non è sciocca.

Ella non vuole Ippocrate o Galeno;

Il suo dottor debb’esser Ghirigoro.

Un giovanotto anch’ei grasso e sereno,

Che per una ricetta è un tesoro.

Amor gli guarda d’allegrezza pieno,

E fra sè dice: Io vo’legar costoro;

E prende un laccio, ed ambo gli ha legati,

Onde son benedetti e accompagnati.

Solchi, fossati, foreste, burroni,

Vanghe, zappe, rastrelli, aratri e buoi

Attendon oh! quai grossi figliuoloni

Dalla casta unïon di questi duoi.

La Taddea dice: Queste son canzoni;

Fate, poeti, i versi vostri voi.

Non ha tempo a udir versi chi ben ama:

Ho costà Ghirigoro che mi chiama. ◀Ebene 3

Ebene 3►

Sonetto del Rabbuiato

Io non avrò questa volta a stordire

Apollo e delle Muse la brigata.

Ecco che la Taddea s’è maritata.

Sia col buon anno. Io non ho altro a dire.

Qui non bisogna suonar pive o lire

Per esaltar la stirpe ond’ella è nata.

Un padre ed una madre l’han creata;

Se venne al mondo, ci dovea venire.

Gli avoli suoi e tutti i suoi parenti

Furon persone tanto liberali,

Che apparecchiaron grano agli altrui denti.

Quei che di lei verran, saranno tali;

Sicchè preghin il ciel tutte le genti

Che razza sì cortese mai non cali. ◀Ebene 3

Metatextualität► Questo viaggio e la festa del passato mercoledì sono cagione ch’esce un foglio solo. Nella settimana ventura saranno compensati i lettori di quello che manca. ◀Metatextualität ◀Ebene 2 ◀Ebene 1