A dì 17 febbraio 1762.
Furono prima ispirati ingegni da me e dalle sorelle mie, acciocchè con le teatrali imitazioni alleggerissero de’pensieri le genti. Piacque l’usanza, concorsero i popoli, e dolcissime risa uscivano dalla chiusa de’denti agli spettatori.
Erano gli Zanni ed i Magnifici in pregio, i quali caricando i caratteri delle genti, ogni costume vestivano di ridicolosità; e tempo fu che l’
Generò sazietà il continuo vederne; ed essendo obbligazione dell’altissimo
Ma poco tempo giovò, perchè i molti teatri accettando le tragiche tappezzerie ed i magnifici apparati, tutti si empierono di sonori versi e di lagrimevoli avvenimenti; di che succedette che in un anno furono gli spettatori annoiati.
Inspirarono allora le Muse le commedie di carattere; ed eccoti che nel corso di pochi anni tutti i teatri si empierono di questo genere di commedia, e fummo alla noia di prima.
Ci convenne allora essere insieme a consiglio sulle cime dell’
Introducemmo in esse i vestimenti turcheschi, i chinesi, i tartari, che al primo vedere parvero belli; ma a poco a poco gli strioni gli usarono tanto, che nella guardaroba loro non v’avea più un vestito all’italiana; e sì andarono attorno continuamente, che non si potea più patire di vederne.
Non sapendo oggimai sul
Ohimè! ohimè! grida a’popoli della terra incontanente, che voce è salita quassù, che da ogni lato si apparecchiano cervelli a voler favole comporre e rappresentare?
Guai agli spettatori ed a’recitanti se da ogni lato sulle scene compariranno tali rappresentazioni! In breve saranno dalla continuazione e dalla frequenza delle favole nauseati i popoli veditori, e noi saremo in capo ad un anno obbligate a dicervellarci di nuovo a ritrovare novità, per togliere la molestia dagli animi degli ascoltanti.
Guai a’recitanti, poichè per gareggiare teatro con teatro, saranno
La mano di
Verrà il legnaiuolo, e dirà: Ecco la polizza mia; assi e travicelli ho tagliati, chiodi comperati, lavorato dì e notte io e i compagni miei. E la mano di
Verrà il pittore, e dirà: Ecco la polizza mia. Frondeggiano quegl’imitati alberi per mia cagione. E quel cartone sembra sasso altrui per averlo io colorito. Per opera mia vestito è quel monte di alberi ed erbe. E la mano di
Uomini traportati da diavoli in aria; giganti, dragoni, centauri e chimere metteranno innanzi agli occhi le polizze, e saranno saldati.
Grida, grida, o
Se vogliono l’aiuto nostro, ascoltino i consigli delle Muse.
Imitino le varietà di natura, la quale agli occhi de’riguardanti, per li suoi diversificati oggetti, è sì cara.
S’alzano di qua le altissime montagne con la sommità loro fino alle stelle, di là le profonde valli s’aprono; e presentano canne ed erbe grosse. Dall’un lato vedi l’ampio mare che sembra non avere confini, e dall’altro la terra, sopra il cui dorso un’indicibile diversità d’oggetti si vede.
Tali sieno i teatri, a’quali la sola varietà chiama gli spettatori. Ogni altro pensiero è vano a chi quella non usa.
Destatevi, o nobili ingegni, e rifrustando tutti que’generi di rappresentazioni teatrali che noi da lungo tempo in qua vi abbiamo insegnate, ricreate gli animi ora con l’uno ed ora con l’altro, imbandendo la mensa vostra con cibi diversi, che talora anche grossolani piacciono, purchè non sieno sempre quelli.
Escano una sera gli Zanni e i Magnifici con novelle invenzioni. Un’altra i sublimi fatti e i tragici sieno rappresentati; che se gran moltitudine di gente non vi concorre, acquisteranno i recitanti concetto, o con quel breve cambiamento aguzzeranno vie più la voglia del ridere nelle persone.
Mescolinsi le commedie di carattere, e dietro a quelle le tragicommedie si mostrino sulla scena: nè sieno perciò sbandite le favole, che con la loro maraviglia intrattengono molto bene i circostanti.
Ricordinsi gli strioni che quattro teatri sono in
Usciranno dalle profonde cavità de’polmoni i tediosi sbadigli, e l’orlo delle palpebre degli spettatori, divenuto pesante, si calerà allo ingiù, e diranno gli spettatori: Qual sonno è questo? Cerchiamo in ogni luogo il passatempo fuorchè ne’teatri. Sbandito è di là il passatempo, e più non vi si ritrova.
Allora l’uscio del teatro sarà pieno di ragnateli. Inutili saranno le mani de’portinai quivi mascherati per ricevere i danari. Poche file di scanni attenderanno i radi spettatori, e la voce de’recitanti risonerà ne’vôti palchetti, a guisa d’eco che dalle caverne de’monti risponde.
Solitudine e diserto saranno i teatri, e sulla scena gli attori pronunzieranno senza vigore, le mani caderanno loro sull’anche; mancherà loro la memoria, se diranno parole imparate, e la parola, se favelleranno all’improvviso.
Avranno sempre davanti agli occhi l’orrore della solitudine; e faranno loro fastidio fino i lumicini che avranno innanzi, i quali daranno anch’essi poco splendore.
Va’, o
E io allora mi levai dal letto, e con quella voce che potei, profferii quanto da