Zitiervorschlag: Antonio Piazza (Hrsg.): "Num. 71", in: Gazzetta urbana veneta, Vol.4\071 (1790), S. 561-567, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Dickhaut, Kirsten / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.2634 [aufgerufen am: ].


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Num. 71

Sabbato 4. Settembre 1790.

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Moralità.

Exemplum► L’agnavasi acerbamente un Padre di Famiglia, perchè avendo data un eguale ottima educazione a’ due suoi Figliuoli, uno vi corrisponde in modo da collocare in esso le belle speranze d’un valido sostengo di sua vecchiezza, l’altro ricalcitrante alle sane lezioni ed a’ buoni esempj batte le vie della perdizione, e lo fa disperare. L’udirono alcuni Giovinastri amanti de’ moderni sistemi, e spargendo un riso venefico sul sacro nome d’educazione, sostennero: che tutti nasciamo buoni o cattivi, che l’arte non può cangiar la natura, che le dottrine son più nocive dell’ignoranza, e simili massime dettate da quello spirito di scioltezza, che illuminato si crede dalla Filosofia a cui fa guerra. L’opposizione di qualche saggio non giunse a farli tacere; e come il vigor de’ polmoni trionfa in crocchio della tranquilla ragione, così parve che il torto stesse dal canto della lucida Verità. ◀Exemplum ◀Ebene 3

Si volle comunicare all’Estensore di questo Foglio la disgustosa questione, innocente nel suo rapporto in via di fatto, ma sempre ingiuriosa in aria di Quesito, come viene proposta.

Egli potrebbe rivolgere questi falsi oratori contro l’Educazione, ad ispecchiarsi in tanti e tanti viziosi, che sono il vituperio della loro Patria, e del loro rango, a’ quali si sciolse il freno sin dalla tenera lor età per vedere cosa sappia far la natura. Potrebbe dimostrare che il giovar a molti, senza potere giovar a tutti, non distrugge od iscema il merito di chi benefica. Così fa l’educazione, che a guisa dell’Agricoltura sparge invano talvolta i sudori suoi sopra certi ingrati terreni, quali non producono se non sterpi e pruni; ma chi potrà chiamarla inutile quando l’occhio in giro rivolga sul quadro vegetabile, che offre le sue ricchezze al sostentamento delle Nazioni?

Quello che può l’industria, e la fatica sul fisico, generalmente lo può sul morale: ma sempre non vagliono i mezzi stessi; e siccome per la varia natura de’ loro fondi esigono i piani coltura diversa, così per certe indoli rozze e maligne molto studio ci vuole onde adattare un’educazione che possa essere profittevole; e se questo non mancasse al bisogno, e rinforzato venisse da un affetto paterno, non vi sarebbe forse un esempio che dar potesse qualche apparenza di ragione all’errore de’ Libertini per i quali sarà necessario ripetere con Seneca: che biso-[562]gna imparar la virtù, e che la bontà è un effetto dell’arte.

Discenda virtus, ars est bonum fieri.

Ebene 3► Exemplum►

Discordia famigliare e sua origine.

Godono due Fratelli in eguaglianza perfetta d’una pingue eredità, opera del loro Padre, che visse povero per morire ricco, ed altri beni non ebbe che quello di accrescere le sue facoltà con una vita delle più attive ed affaticate. Tronerebb’egli a morire d’affanno, se rialzando il capo dal suo sepolcro vedesse gli ornamenti della moda, e del lusso ove regnava la più incomoda antica semplicità, e comparire in piatti di porcellana certi pesci, che giusta la frase di Giovenale, costano più dei pescatori che li vendono, sopra una mensa la quale, sinch’egli visse, stette ne’ limiti della più frugale schiettezza, e mai cibi non ebbe che mascherati fossero dall’arte della cucina. Preferirebbe le tenebre del suo avello all’attuale splendidezza della sua abitazione, e chiamerebbe i suoi Figlj tralignati, prodighi, sconsigliati, e vacillanti forse sull’orlo d’un precipizio immaginato dalla ristrettezza delle sue viste economiche.

Essi pregando pace eterna all’anima sua vivono a modo loro, e potendo molto spendere senza incomodarsi son degni di lode se splendidamente mantengonsi, e danno sussistenza a de’ poveri artisti, che mai non ebbero neppure occasione di conoscere il loro Padre. Sinora son iti in tutto d’accordo; l’uno vuol ammogliarsi con una povera Giovine, che gli reca in dote bellezza, e onestà, l’altro vi acconsente: si mostrano più amici che fratelli, espressione convenevole a dinotare un’affezione reciproca, giacchè le leggi del sangue son l’ultime ad essere rispettate nel disordine de’ costumi. Ma è venuto il caso di turbare quest’armonia, e di sentire la minaccia d’una divisione per un puntiglio fieramente sostenuto d’ambe le parti.

Tra i recenti acquisti fatti da essi per adornare un Palazzino di campagna, che và rendendosi l’ammirazione di que’ contorni, vi son quattro antiche statue giudicate da alcuni di greco scalpello; e da tutti gl’intendenti, di sommo pregio. Il Fratello maggiore vorrebbe farle ritoccare da qualch’abile Professore dietro l’esempio di certi Signori il cui buon gusto fa grand’autorità appresso di lui; protestando che la ruggine de’ secoli le deturpa, e ne rende ingrata la vista. Il minore acconsentire non vuole all’operazione, ch’egli chiama barbara, e per cui sostiene, che que’ capi d’opera della scoltura perderebbero tutto il loro pregio. Si sono riscaldati talmente nella lor contraria opinione, che l’uno, e l’altro vuol vincerla; niuno vuol cedere; le mediazioni non vagliono, ed è prossima una rottura dove speravasi la più forte alleanza fraterna. ◀Exemplum ◀Ebene 3

Metatextualität► Un loro Amico, nel parteciparci questa contesa, ci onora lodando la nostra buona intenzione di giovare al Pubblico; dandoci eccitamento a dichiarire da qual canto stia la ragione, da quale il torto. Forse, dic’egli, potrà più l’articolo d’una Gazzetta, che le amichevoli frapposizioni.

Noi tentiamo di farlo col dare in luce tradotta di nostra mano la seguente Lettera scritta ai Giornalisti di Parigi da un tale che segnasi il Sognatore. ◀Metatextualität

Ebene 3► Brief/Leserbrief► Signori.

“Voi avete veduto, ch’io ho lo spirito conservatore. Come non possiamo sperare per le opere del pennello la durata de’ monumenti della Scoltura, prolunghiamo almeno la fragile esistenza de’ primi, quanto è per noi più possibile, e non permettiamo che si acceleri la rovina de’ nostri capi d’opera di pittura. Ecco quale fu l’oggetto della precedente mia lettera.

[563] Li quadri di Apelle non esistono più mentre le statue di Fidia instruiscono ancora li nostri artisti, ed incantano i nostri sguardi. Se noi dobbiamo sparire dalla superficie della terra, come li Greci e i Romani; se le opere de’ nostri Zeusi devon essere distrutte dal tempo, procuriamo almeno che quelle de’ nostri Prasiteli giungano con tutti i loro pregj alla posterità, e le attestino la nostra antica gloria. Tale è lo scopo di questa Lettera.

Avventuratamente formate di bronzo, voi che da un vano desio di nitidezza esser non potete alterate, statue de’ nostri Sovrani, voi brillerete certamente agli occhi degli ultimi nostri discendenti in tutta la vostra bellezza; ma voi, che decorate in gran copia i giardini, e gli appartamenti de’ palazzi de’ nostri Re, superbe figure di marmo, voi che siete lavate continuamente, per levarvi la lordura di cui la polvere vi ha coperte, voi che per un insensibile strofinamento perdete grado a grado le grazie ed i tocchi spirituali dello statuario, per non serbare che il caput mortuum; monumenti ammirabili agli occhi nostri, lo sarete ancora a quelli della Posterità?

Ha qualche tempo, Signori, che condurre io mi feci alle Thuileries, e sostenuto alle braccia da’ miei due lacchè, mi assisi colla loro assistenza appresso il pietoso Enea che porta in ispalla suo Padre. Era io in estasi dinanzi a questo gruppo sublime: non poteva saziarmi di contemplare le belle opposizioni tra le forme d’Anchise, d’Enea, e del piccolo Ascanio. La dotta e preziosa esecuzione di tutto questo pezzo mi faceva rimanere estatico quando il mio gaudio fu turbato da un’apparizione assai dolorosa. Vidi scalare questo gruppo da due artefici, e fremeva ogni momento dal timor che rompessero una mano, un braccio, o una gamba; eran essi provveduti di suggelli, di spugne, e di spazzole; parevami di vedere de’ carnefici armati degli strumenti del mio supplizio. Preso da impazienza mi feci alzare, e mormorando tra i denti andai lontano di la ad esalare il mio tristo umore.

Mi si può certamente rispondere, che sotto le macchie del sucidume spariscono le bellezze; e ch’oltre a ciò si veglia, perchè gli Artefici nettino colla maggior precauzione. Io sò tutto questo ma só ancora che la più leggiera confricazione rotonda e pulisce alla lunga i corpi più duri. Veggo dunque nell’avvenire, col dolor d’un Amatore sincero, i più be’ pezzi degradati dalle cure medesime d’una nociva proprietà. In conseguenza fò de’ voti, perchè sia proposto un premio a quello che troverà il secreto di cavare alle statue di marmo le macchie di pioggia e di lordura con semplice aspersione, irrorazione, finalmente in qualunque altra maniera purchè l’operazione si faccia senza strofinamento propriamente detto. Morrei contento se questo secreto fosse scoperto, e ne credo la ricerca utile e degna dell’attenzione, e della sollecitudine del Ministro dell’Arti.

Scusate, ed inserite, se lo potete, la cicalata d’un ottuagenario che ha l’onore di essere ec.

Il sognatore. ◀Brief/Leserbrief ◀Ebene 3

Matrimonj Illustri.

Posdomani giorno sei del corrente Settembre in Villa di Carnepedo seguiranno i fausti Sponsali della Signora Idalia de Nirenheim figlia del Signor Barone de Nirenheim col Sign. Conte Armand di Polignac filgio del signor Duca di Polignac il quale dotò quattro Contadine, perchè sotto gli auspizj delle splendide Nozze della sua rinomata Famiglia seguano quattro Matrimonj di povera gente soccorsa all’oggetto lodevole d’aumentare la popolazione solennizzando nel rango villereccio un gran Matrimonio in campagna: esempio degno d’essere secondato.

[564] Terrà le veci di Padre alla nobile giovine Sposa S. E. il Sig. Ambasciatore della Corte Reale di Francia appresso questa Serenissima Repubblica.

Metatextualität► Riserbiamo al Foglio venturo la descrizione della festa nuziale, che molto interessa la pubblica curiosità. ◀Metatextualität

Ebene 3► Brief/Leserbrief► Sig. Gazzettiere.

Conselve primo Settembre 1790.

“Venerdì scorso cominciò la sempre encomiata Fiera di Conselve utile per varj rapporti allo Stato, ed alla Nazione particolare. Non vi dirò che questa sia la più bella del Mondo, ma soltanto m’azzarderò di dire che una simile può portare in trionfo l’eminenza in materia d’Animali sopra tutte quelle d’Italia. Fra gli spettacoli, che formavano il compimento dell’opera, v’era a bella posta formato un Teatro, in cui ogni sera s’affollava a migliaja il Popolo per vedere le Marionette maneggiate con grand’abilità. La quantità di gente, le vaghe risplendentissime Loggie, i divisi illuminati Palchetti, formavano un ben degno spettacolo. Quivi in gran gala concorrevano li Presidi del Teatro, le Signore della Città, e le Forestiere adornate di tutti quegli abbellimenti, che danno un maggior risalto alla di loro avvenenza. Inserite questo articolo nella vostra Gazzetta, e credetemi.”

Vostro Amico. ◀Brief/Leserbrief ◀Ebene 3

Metatextualität► Un giovine tedesco, che non si nomina nel Biglietto indirittoci, brama che la Gazzetta pubblichi la seguente traduzione poetica, come da lui fatta per dare un saggio a’ nostri Leggitori del gusto moderno della sua Nazione nella lirica Poesia, che a torto (dic’egli) si crede ancora da molti Italiani dura e resistente al divino linguaggio delle Muse.

Servendolo ci sia lecito d’avvisarlo, (giacchè non essendo noto, la sua vanità non può farlo ridicolo, e la scoperta può correggerlo per l’avvenire) che sappiamo essere l’Autore della Canzonetta il Zaccaria, ma che la traduzione non è sua, bensí del Signor Abbate D. Aurelio de’ Giorgi Bertola fu Monaco Olivetano, ed ora Professore nell’Università di Pavia. Egli nel suo Saggio sulla Poesia Alemanna inserì alcuni pezzi tradotti del Zaccaria, del Gleim, e d’altri celebri Poeti tedeschi, tra i quali v’è ancora quello ch’ora riportiamo.

Ogni soffio di vento contrario spoglia le cornacchie, che al paro di quella d’Esopo vestonsi delle altrui penne. ◀Metatextualität

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Canzonetta
Di Zaccaria.
Traduzione dal Tedesco.

O de’ miei sfoghi teneri

Amabil eco, o Lira,

Lira fedel sù destati;

Dopo i lunghi dì torbidi

Ch’io vissi al Cielo in ira,

La notte alfin sen viene

Termine alle mie pene.

O dolce suon! tu docile

Alla mia man ti presta:

Per te la rea vuò struggere,

Del mio soffrir memoria . . . .

Ah che diss’io! t’arresta,

Lasciami la mia ambascia,

Il mio languir mi lascia.

Benchè la speme a perdere

Foss’io già presso; il duolo,

E le frequenti lacrime,

E la dimora tacita,

In cui m’avvolsi solo,

Pur mi spargeano il petto

Di non sò qual diletto.

[565] Compagni dello strepito,

Piaceri del gran mondo;

Vane cure, e non abili

Vero a nutrir nell’anima

Sentimento giocondo,

Di voi vaglion più oh quanto

Il mio duolo, il mio pianto!

Lira, o tu, che l’interprete

Della mia fiamma sei,

Apri i tesori armonici,

Tronca dell’arte i vincoli,

Erra co’ pensier miei;

E alla mia tenerezza

Sia egual la tua dolcezza.

Spiega quell’aria languida

Cara agli spirti mesti;

Le corde tue mi rendano

Suon sino ad ora incognito,

Suono, che manifesti

Il Nume ispiratore,

Che ha regno entro il mio core

Un contrattempo Amoroso

Di cui gli Attori

Hanno ancora viva memoria . . ◀Ebene 3

Originale.

Il caso, che narrasi, è seguito in una Città dove l’amabil Sesso donnesco, nel corso di non molt’anni, ha potuto ammansare la rigidezza de’ cuori umani, e a poco a poco usurparsi sopra di loro un impero poco men che assoluto. In grazia di questa bella metà del mondo, colà non regnano più le prepotenze, le sfide, le vendette, gli odj, i furori: e con un freno soave stabiliscon le Leggi la pubblica tranquillità. Se fosse meno nocevole la passata austerità, o la corrente mollezza, questo poi si lascia pesarlo alle aeree bilancie della oculata Politica. Un Signore di mediocri ricchezze, colto di spirito, nè giovine nè vecchio, nè bello nè brutto: ma che fa piacere alle Donne senza fare il vezzoso o il cascamorto, s’accese perdutamente d’una bellissima Giovinetta nominata Arpalice, che ai doni della natura, in sè quelli univa della più ridente fortuna. In uno stato d’indipendenza, ed arbitra de’ proprj affetti, non consultava che il genio suo nello scegliere gli amici, o gli amanti: e si rendeva a tutti grata, e benefica, collo splendido impiego delle sue considerabili rendite.

Era ella indifferente, e tranquilla nella felice sua situazione quando il Sig. accennato, che appellavasi Ugone cominciò ad invaghirsi di lei. Pochi non erano quelli, che alla conquista del suo cuore aspiravano: ma tutti senza riuscita. Lo sdentato . . . . . che fischia parlando, storpia la gente a forza di complimenti, e per farsi il campion delle mode si rende una caricatura da scena, non giungeva che a farla ridere. Il sofista . . . . . i cui discorsi sono labirinti di digressioni, che levano il fiato a chi ascoltati, e non tornano a bomba che dopo un giro di mezzo miglio, poteva annojarla bensì, non piacerle. Il fulminante . . . . . . . .  che prender vorrebbe tutte le Piazza d’assalto, e scarica al primo abbordo tutta la batteria della sua altitonante eloquenza, la stordiva senza sedurla. Il decrepito . . . . .  la cui estrema lindezza forma un punto essenziale della sua esistenza civile era stimato, non amato da lei. Il panciuto . . . . . . . che vive sol per mangiare, e non adora che il suo sferico ventre, se talvolta d’amor le parlava, le faceva torcere il capo per non restar affogata dai nauseanti vapori dei cibi inconcotti.

Il solo Ugone sapeva insinuarsi al suo cuore. Studiò sì bene il di lei carattere, lo secondò con tant’accortezza, e tale fu l’impegno con cui s’accinse all’amorosa impresa e sostennela, che gli bastò poco tempo per in-[566]vaghirla quant’ei bramava. Ella però seppe lunga pezza resistere alle tentazioni del raffinato suo spirito; perocche lo conosceva pirata nell’Oceano d’Amore, e sapeva, che da lui non aveva franchigia alcuna bandiera. Non si abbandonò, che dopo un reciproco giuramento di eterna fede succeduto al breve seguente dialogo.

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Dialogo

Trà Ugone ed Arpalice.

Dialog► Arp. Non posso negare, che mi piacete. Confessovi ancora, che sento d’amarvi: ma conosco il mio pericolo nella vostra incostanza, e questo lume sarà che del mio genio io trionfi.

Ug. Io incostante? Quali prove ne avete?

Arp. Se non ne ho io ne hanno avuto di sufficienti la Ballerina, che per voi ruppe il trattato di Londra, e si trovò abbandonata, nel colmo de’ suoi amori: la Cantatrice, che piantò il marito per istare con voi, di cui vi siete annojato dopo tre mesi: quella Francese, che sciolse un contratto di nozze, per certa speranza, che alimentaste nel di lei seno, e distruggeste con un improvviso distacco: quella Damigella, che disperatamente si chiuse in un chiostro quando s’accorse, che soffiate nella face d’Amore per ravvivarla, e in quella d’Imeneo per estinguerla: oltre certe altre che non vi nomino, e quelle poi, che a mia cognizione non sono.

Ug. Non vi credeva sì bene informata delle amorose mie tresche.

Arp. Vi difendete così da un processo?

Ug. Se v’alletta udire le mie discolpe, incomincio. Le donne di Teatro, che vendon gli affetti, non hanno diritto alla nostra costanza. È bene, che talvolta paghino il fio dell’impero tirannico, che sui cuori umani s’usurpano, e che non restino sempre invendicati i torti, i tradimenti, gl’inganni che riceviamo da loro. Io non ho consigliata la Ballerina a ricusare il trattato di Londra, nè la Cantatrice a dividersi dal marito. Se di loro mi sono disfatto aveva il gius de’ padroni, che licenziano i servi quando ben serviti non sono.

Arp. Sin quì ve la meno buona: ma la Francese?

Ug. La di lei speranza era chimerica, nè mai nudrita da me. Lo sposo propostole non le piaceva, o non aveva rendite da saziare la sua vanità. Ella mise a partita di mio debito le risoluzioni dell’interesse, o del genio suo, e quando l’abbandonai per la sua infedeltà, s’inventò, che lusingata di sposarla io l’aveva.

Arp. Vorrei, che queste donne si torvassero presenti al nostro Dialogo per udire cosa dir sapessero in opposizione delle vostre discolpe: e particolarmente la Damigella, che in un Monastero si chiuse.

Ug. Verso di Lei non posso vantarmi assolutamente innocente. Il suo brio mi sedusse, la bellezza sua m’incantò: e le diedi il mio cuore prima di conoscer il suo. È meno male, ch’io sia reo d’infedeltà verso di Lei, che l’averla sposata per essere la vittima del suo genio volubile, e de’ suoi fanciulleschi capriccj.

Arp. Sicchè, o per l’una o per l’altra ragione, le donne tutte, con voi, la finiscono male, e torna meglio rispettarvi che amarvi. Se la mia diffidenza non m’avesse resa cauta, a quest’ora io pure sarei nel ruolo delle amanti da voi corbellate.

Ug. Perchè ciò seguisse, bisognerebbe che la bellezza vostra non fosse a quel colmo di perfezioni in cui, per mio tormento, brillar io la [567] veggio. Bisognerebbe, che vi mancasse quello spirito, che la vivifica tanto: e che il vostro cuore si spogliasse di quelle tare qualità, che vi rendono tanto amabile.

Arp. Chi sa a quant’altre avrete detto lo stesso?

Ug. Sò, che a Voi lo dico colla più candida ingenuità dell’animo mio: Sò, che non ho mai conosciuta una donna in cui s’uniscano, come in Voi, a tanti meriti personali, un ingegno sì fino, ed un animo tanto nobile: Sò, che la grandezza dei vostri pregj fa disperar il mio amore di conseguire il vostro: Sò, che non posso lasciar d’amarvi, benchè nulla nulla io speri: e che non ho mai desiderato d’essere qualche cosa di grande che per trovarmi degno di Voi. ◀Dialog ◀Ebene 3

Metatextualität► Il resto nel Foglio venturo. ◀Metatextualität

Si lesse alla Bottega del Sig. Andrea Camerini berrettajo a S. Bartolommeo la seguente Iscrizione per il defunto Piovano della Chiesa di S. Maria Nuova.

Obiit Reverendissimus D. Dominicus Toniutti Plebanus Eccl. Par., & Col. S. Mariæ in cœlum Assumptaeæ, vulto S. Mariæ Novæ, Confessarius Molialium S. Joannis Laterani.

In Senato

Giovedì 2. cor.

Prov. alle Artiglierie dura mesi 12.

s. Girolamo M. Dolfin.

Prov. sopra Fortezze dura mesi m. 12.

s. Franc. M. Crotta.

Sopraint. alle Xme del Clero dura mesi 24.

s. Z. Bat. Benzon.

Il Bergamasco che trattò la propria Causa a questo Consiglio Eccellentissimo di XL. C. N. nella scorsa settimana, come accennò il Foglio di Sabbato prossimo passato, è certo Signor Agostino Mojoli. Li suoi Avversarj sono li RR. D. Giuseppe Zio, e D. Bortolo, e fratello Bettoni Nipoti, figli del qu. Signor Alessandro assuntori di Giudizio il cui Interveniente fu il Signor Francesco Marchetti. Li Avvocati son già nominati nel precedente Foglio.

L’Ingresso del nuovo Piovano di questa Parrocchia di San Paolo non seguirà, per quanto sentesi, attese più recenti disposizioni, il giorno 9. del corrente, come abbiamo avvisato, ma il giorno 13.

Cambj.

Venerdì 3. corr.

Lione 55 e un 4to.

Parigi 54 e 3 4ti.

Roma 64 e 3 4ti.

Napoli 119.

Livorno 101 e 3 4ti.

Milano 153.

Genova 89 e 3 4ti.

Amsterdam 94 e mezzo.

Londra 49 e un 8vo.

Augusta 103.

Vienna 198 e mezzo.

Prezzi delle Biade.

Formento da l. 23 a 23 10.

Sorgo Turco da l. 11 a 11 10.

Segala a l. 14.

Miglio da l. 12 a 13.

De’ Risi.

Da duc. 34 a 36 al m.

Elezioni Parrocchiali.

Jeri Venerdì 3. Settembre è seguita l’Elezione di Piovano della Parrocchiale e Collegiata di S. Maria Nova.

Concorrente D. Lorenzo Bianconi, secondo Prete Titolato.

Di sì 21 di nò 1.

Arrivi in questo Porto.

Nave Cap. Simon Cossovich da Smirne, Costatninopoli, e Zante.

Checchia Cap. Cristofolo Cossovich da Corfù.

Nave Cap. Giorgio Gambillo da Salonichio, e Trieste.

Bastimenti Veneti arrivati a Costantinopoli con carico di grani.

Cap. Cosmo Buratovich da Volo.

Cap. Antonio Budenich da Salonichi.

Cap. Mattio Suffar da Salonichi.

Cap. Pasqual Molena da Salonichi.

Bastimenti Veneti partiti da Costantinopoli per le seguenti Scale.

Cap. Giuseppe Dabinovich per Salonichi.

Cap. Gio: Vuccovich per Napoli di Romania.

Cap. Michiele Beluci per Smirne.

Cap. Giuseppe Cressanaz per Salonichi.

Mercordì della presente Settimana, è partito per la sua Ambasciata di Spagna S. E: il Signor Girolamo Gradenigo.

Savio in settimana per la v. s. Francesco Foscari.

A Bergamo la mattina del 29. pross. scorso Agosto, è seguito questo funestissimo avvenimento.

Il Co: Bonioti Veronese, che fu Frate, ed era Cadetto nella Comp. Corraz. Santonini, innamorato alla follia di quella prima Grottesca Galazzi, e mal soffrendo un Rivale che gli contrastava gli affetti, risolse di disfarsene col privarlo di vita, e si credè di sorprenderlo in Casa della suddetta, ma non avendolo ritrovato rivolse tutto il suo furore contro di Lei, e per troppo amarla l’uccise con cinque ferite di coltello.

Portatosi poi all’Abitazione d’un Negoziante suo amico, gli narrò il commesso delitto, ne sentí tutto l’orrore, e non potendo sopravvivere all’oggetto delle sue pene impugnò quello stesso ferro lordo di sangue, e con mano egualmente ferma e crudele se lo immerse tre volte nel petto, e spirò vittima della sua malnata strabocchevole passione: tremendo esempio alla gioventù scostumata.1

Da Brescia nella stessa data ci viene scritto:

Ebene 3► Brief/Leserbrief► “Jerimattina, per quanto dicesi pubblicamente, fu accomodata con soddisfazione delle Parti la gran Causa Martinengo ed Ugoni coll’esborso a questi di Scudi 16. mila e 500., nel qual accordo s’è molto distinta la prudenza dell’onoratissimo nostro eccellente Signor Faustino Cirelli, soggetto di tutta probità, difensore delle Dame Cont. Marianna Martinengo e Cont. Eleonora Gambara Griffoni.

S’è posta in iscena l’Opera La Vergine del Sole. Piacque ma alcuni son di parere che la prima fosse migliore.

Egli è però certo, che tanto il signor Rubinelli che la Signora Marchetti fecero sforzi infiniti. Il Terzetto del primo Atto, il Rondò dei due soggetti indicati nel secondo, sono tre pezzi di musica distinti, eseguiti maestrevolmente. Vestiario superbo, Decorazioni bellissime.” ◀Brief/Leserbrief ◀Ebene 3

È uscita alla luce in Padova l’accennata Lettera d’un Teologo Padovano ad un Dottore di Teologia fu Parroco sulla Proposizione: Colla sola ragione naturale si può provare la possibilità, e non la esistenza della Rivelazione.

Si trova in vendita al Negozio Foglierini in Merceria. ◀Ebene 2 ◀Ebene 1

1 Variano le relazioni di questo tragico fatto ma tutte accordansi nella sua origine, e nella descritta atrocità.