Mercordì 15 Luglio 1789.
Estratto d’una Lettera di Salò
de’ 9. corrente.
fazioni alle 22 della domenica 5 corrente Elia
Melitich diede dell’asino a Gius. Gianacchi il quale offeso gli disse:
la tua parola merita soddisfazione, ma il posto ch’ora copri non me l’accorda. Son pronto anche
adesso a dartela, Elia risposegli, ma l’altro soggiunse: ora servi il tuo
Principe, poi ci vedremo.
La mattina seguente allo spuntar del Sole Elia vide Giuseppe che lavavasi al Lago, e lo rivide poi incamminato all’Appalto dell’Acquavite; gli
tenne dietro, e l’incontrò che ritornava al suo Quartiere. Gli rammentò la soddisfazione da lui
richiesta. Gianacchi era disarmato, onde chiese tempo d’ire a prendere la sua scimitarra. Ritornato
puntualmente con essa s’accordò col suo nimico d’andar insieme a bere il rosolio prima di battersi.
Gianacchi volle pagarlo. Andarono poi a lavarsi al Lago, ov’Elia chiese a Giuseppe se volesse colà duellare: egli non acconsentì
onde si avanzarono sino al sito dove si giuoca al pallone. Ivi, colla più fredda indifferenza si
trassero di testa il cappello, lo gettarono a terra, e contesero sul diritto del primo a snudare la
sciabla. Elia disse: a me non tocca, perchè non chiesi soddisfazione, onde
convenne che la snudasse in prima il suo inimico. Stabilirono di battersi sino all’ultima goccia di
sangue.
Un lontano testimonio di vista asserisce, che l’attacco non poteva essere più impetuoso. Giuseppe s’avventò come una tigre contro d’Elia, che
ritrocedendo nel ripararsi da un gran colpo vibratogli al capo si torse il suo ferro. Durò l’assalto
più di 4 minuti. Finalmente mancando il piede sinistro ad Elia essendo quasi
caduto, rimase ferito nella faccia. Il sangue che l’inondava, l’onor che spronavalo, la vergogna, il
sentimento di ven-Elia, che generosamente glielo accordò a
condizione, ch’ei gettasse le armi, come fecero entrambi, poi s’abbracciarono cordialmente,
reciprocamente ajutandosi, e prestandosi il fazzoletto per asciugarsi dal sangue. Ripreso il loro
cappello, pregarono un giovinetto, che di là a caso passava, di prendere le lor armi e portargliele
all’Ospitale ove giunsero; ma trovatolo chiuso ricoveraronsi in certo luogo vicino detto de’Castellazzi. Furono uditi a lagnarsi vicendevolmente, perch’uno fosse più ferito
dell’altro. Entrarono poi nell’Ospitale abbracciati da teneri amici, e prima di coricarsi vollero
sigillare la pace con de’bacj sinceri. Soffersero con imperturbabil fortezza la cucitura chirurgica
della loro pelle.
Son essi della Compagnia Contarini. Il loro Tenente è il bravo Mattia Radinich. Si cita per onorevole testimonianza il N. H. s. Giamb. Mora che allora si trovava a Salò.
Questo fatto ha certamente dell’eroico, e solleva due Soldati semplici alla dignità della stima pubblica. Ma non risponde agli applausi di chi ammira il coraggio e il valore, la sana Filosofia, che geme su’sacrifizj di tante vittime di questo fantasma d’onore, ch’arma l’amico contro l’amico, e in onta delle Leggi de’Principi, barbaramente si nutre di sangue umano.
Di quello di Padova si disse, che il Sig. Pacchierotti a fronte de’suoi discapiti accidentali ha
sommo merito, e da’crepuscoli si conosce quale è stato il mezzo giorno; certamente egli è stato
grande per la sua bella maniera, e non sò se sarà così facile il rimpiazzarlo. Il Sig. Maffoli non
spica abbastanza, si dice, per la sua situazione svantaggiosa, la Sig. Casentini median-Fontanesi e il Gonzaga erano i due genj del secolo, e che
da questi agli altri vi è quello spazio infinito, che posero gli Dei fra Sesto e
Tito.
Soddisfatti così tutti quelli, che ci scrissero intorno alli due Spettacoli, speriamo ch’abbia a bastare quanto s’è riferito senza ch’altri s’incomodi d’aggiunger nulla su questo argomento. Ricordisi che tutte le Lettere furono da noi riportate con fedeltà senz’accrescere o cavar parola. Che se nel vedere, e nell’udire, ingannati si sono degli occhi, e degli orecchi; se nello scrivere la penna ha secondato una prevenzione più che un sentimento, la colpa non è nostra. Abbiamo preteso, come nell’altre, anche in quest’occasione di raccogliere imparzialmente le dispute degli Avvocati prò e contra per offerirle al giudizio di quei che sanno, e son al caso di ben decidere. Un elogio, o un biasimo ingiusto, nè ingrandisce nè scema il merito altrui. Ci siamo astenuti con pena dall’apporre agli altrui scritti qualche nota di nostra mano per non dar sospetto di volere pronunziar giudizio su ciò, che da noi non si vide. Siamo però persuasissimi del buono dell’uno dell’altro Teatro, giacchè da molte disappassionate, libere, ed intelligenti persone udì dirsi: mi son bene divertito all’Opera di Padova, e a quella di Vicenza.
Lo spettacolo poi di jeri a notte della corsa del Fantino fu imponente e magnifico. Tutto il
fabbricato ed i palchi erano illuminati da torcie; tutta la vasta pianura, e l’Isoletta da infinito
numero d’assi con pece. Formaron prospettiva alla parte di S. Giustina macchine di fuochi detti all’Inglese. Infinito il numero di forastieri de’luoghi vicini. Non mi estendo di
più nella descrizione di questo spettacolo, acciò non sembri ch’io esageri, e lascio alla Fama il
parlarne.”
Nell’occasione della notturna straordinaria corsa de’Fantini a cavallo da eseguirsi nel
magnifico Prato della
Valle la notte delli 11 Luglio 1789.
Valle tremenda, e illustre in guerra
Quando al Ciel piacque io fui. Fatal ruina
Mi tolse Are
M’empì di lutto
Mio destin vendicò l’opra divina
Di un benefico Genio
Mi diede Maestà
Europa tutta
Mancava sol ch’Euganea alla primiera
Pompa tornasse ancor, da Gloria desta,
I prischi Ludi
Ma con tal fasto in me con tal splendore
Spettacolo sì novo Ell’oggi appresta
Che mi ridona appien l’antico onore.
In segno di riconoscenza
10 Luglio. S. Paterniano Vescovo protettore della Città di Fano il cui corpo ivi si venera nella Chiesa de’ Canonici Regolari di S. Salvatore.
Alla parrocchiale e collegiata di questa Città dedicata a questo Santo soggette sono 900 anime allo in circa.
Fra li suoi Parrochi si distinse Pantaleone Giustiniano nell’anno 1229
eletto Patriarca di Costantinopoli, Pietro Talonico dichiarato nel 1316
Vescovo di Jesolo, che nel 1343 dispose con testamento di tutti li suoi Beni esistenti nella Villa
di Campo Noghera Territ. Padovano ripartitamente in tre porzioni, una
a’poveri, l’altra alla Chiesa, la terza al Capitolo de’titolati. Anche Pietro
Filomaso dottissimo Teologo fu benemerito di questa parrocchia avendo eretta a sue spese sotto
il di lui Piovanato la Cappella dell’altar maggiore, e nel suo Testamento 22 Luglio 1591 in atti del
Not. Ven. Marc’ Ant. Cavanis disposto d’una Gerolamo Bressan che unì alla dignità del
Piovanato quella di Canonico di S. Marco, e morì nel 1764 avendo condotto una vita d’Apostolica
esemplarità.
Ad onta delle nostre contrarie disposizioni ricusar non possiamo di dare in luce la seguente Lettera. Offenderebbesi dell’ommissione chi la scrisse, non a torto, e potrebbe accusarci di parzialità, o d’interesse.
Vicenza addì 13 Luglio 1789.
“Veramente non ad altro grado poteva giungere la sfrenatezza d’un Fanatico, che ignora le Leggi del dovere, scrivendo una Lettera in data 6 Luglio corr. in confutazione della mia intorno l’Opera di Vicenza, tutta a dire il vero piena d’infantate tra sè discordanti idee, e che formano un ammasso di sciocche, e ributtanti bugie.
“Il nome di prudente per opinione di questo dottissimo Scrittore qui scientiam
habet
in dorso, sta solo in quello, che trasportato da un cieco amore, prende a
lodare una cosa, senza saper quello, che faccia, come fa quello, che scrisse in data 4 Luglio. Non
so, se sì belli principii facciano onore, oppure caratterizzino un cervello volante, bizzarro, e
degno di compassione.
“Or io con punti di ragione, non con sole parole, sostenterò la mia opinione sincera, e farò vedere ne’termini della convenienza, quanto colla medesima sua lettera si contraddica, e quanto sia degno di riprovazione avendo dato alla luce dopo quindeci giorni un aborto così detestabile figlio dell’ignoranza, e dell’acciecamento.
“Io scrissi nella mia lettera esservi una bellissima sinfonia, e lo scrittore lo accorda.
“Io giudicai il primo Atto buffo, poichè dal principio, sino al fine è ripieno di pezzi troppo brillanti corrispondenti piuttosto ad un’Opera buffa, che ad una seria.
“Io caratterizzai il primo ballo cattivo, e questo pure viene dal Sig. Scopino concesso, ma per sostentarlo un poco porta in campo il valore de’Ballarini, non so
poi, se la storpiata logia di questo Signore faccia venire per conseguenza, che il ballo piaccia, e
sia bello. Lo dico a sua istruzione, quando nel ballo non v’è chiarezza per distinguere cosa
significhi l’azione, senza esservi d’uopo d’interprete, la bravura de’Ballarini è quasi un
nulla.
“Dissi il secondo Atto buono, e mi viene accordato.
“Il secondo ballo passabile. Questo anzi viene dallo Scrittore peggiorato, dicendo, che la non chiarezza dell’espressione lo rende cattivo.
“Ecco tutta la mia opinione stolidamente caratterizzata per sciocca.
“Non creda il summentovaro Signore, che io sii uno di que’ genti maldicenti delle cose patrie, poichè lodo dove merita, e non sono frenetico dove non merita.
“Ammiro per altro il bello spirito dello Scopino, il quale con superflue
non meditate parole, e delle quali non ne conosce il valore abbia voluto deprimere la verità, e
portare in trionfo la bugia; attendi piuttosto alla facitura della sua cioccolata, e
Nella Chiesa di San Luca addì 1. 2. 3. Agosto.
Indulgenza Plenaria per li vivi, e per li morti, come quella d’Assisi; ed ogni Altare di essa Chiesa sarà privilegiato per qualunque Messa celebrata in quelli tre giorni; siccome nuovamente concesse Sua Santità Nostro Sommo Pontefice Pio VI. felicemente regnante alla Chiesa suddetta.
In ogni giorno poi di quel Sacro Triduo sarà esposto il Santissimo Sacramento nel dopo pranzo
prima delle ore 22 con breve Discorso fatto da tre celebri Oratori, dopo di cui cantato un divoto
Miserere etc. si darà la divina Benedizione.
Si esorta dunque ogni fedel Cristiano a partecipare di Tesori così inesausti, ed applicabili tanto a sè stessi, quanto ad altri ancora, sì in generale, che in particolare vivi, e morti, siccome ben chiaramente nota il Breve Apostolico emanato dal suddetto Romano Pontefice nel giorno settimo Aprile 1789. di nostra Salute etc.
Manca ne’giorni correnti a questa Metropoli il fiore della sua popolazione. Le villeggiature, e
gli spettacoli di Padova, e di Vicenza le hanno tolto i ricchi, e quelli che si rovinano per
gareggiare ne’divertimenti con essi. Nondimeno alcuni pochi che non vogliono, e moltissimi che non
possono andar in campagna, cercano di divertirsi con più quiete del solito, e le compagnie che
radunansi godono de’privilegj, che sono proprj della presente stagione. Il passeggio dalla Piazza a
Castello illuminato dallo splendore soave della Luna, Divinità propizia alle riflessioni de’ Young ma sfavorevole a’ disegni degli Amanti furtivi, la libertà di cui ora
godesi di poter sedere sulle panche de’ Caffè della Piazza frapposte agli archi delle Procuratie, le cene alle Osterie, il giuoco da trattenimento, le piacevoli
conversazioni, sono il sollievo di chi non vuole, o non può avere quel della villa, o della
Terra-ferma. C’è chi sospira per non poter averlo, e vede colà tutto il bene trovando quì tutto il
male; nè manca chi biasima fieramente la dimora della campagna sostenendo la disputa col flagello
delle mosche, e degli altri insetti, che succhiano il sangue, e col tormento della polvere che rode,
e degli ardenti terreni, incomodi da’ quali quì siamo esenti. Ma se la borsa non fosse vuota quanti
e quanti superarebbero il timore di tali disturbi! Il Filosofo in pratica si adatta alla situazione
in cui si ritrova, e l’arte d’ingrandir il bene, e minorare il male, lo accomoda a tutto. Uno di
questi tali, che quando ha soldi non trovasi mai in questi giorni a Venezia sostiene mirabilmente
ovunque ritrovasi, che in questa Città non si stà mai meglio che nell’estate. Egli passa da un luogo
all’altro ove trova gente; ora giuoca, ora fa all’amore, ora mangio; e quando la conversazione lo
esige pianta sistemi, s’oppone a quelli degli altri, e con molto spirito, e una fluida loquacità
alletta, vivifica le brigate, e talvolta istruisce.
Pretese che l’uomo sia buono in istato di natura; che la Società lo faccia cattivo; che l’educazione non abbia influenza veruna su’ nostri costumi. Fortificò la sua disputa riportando le pitture fantastiche della semplicità de’ selvaggj ornate dall’eloquenza degli scrittori, che per rendere più odiosa l’oppressione de’loro conquistatori arricchirono di qualità morali de’ popoli barbari, e sempre in guerra tra loro per istruggersi vicendevolmente. Si scatenò contro gli abusi del sistema sociale senza mai rivogliere un guardo a’beni che da esso derivano. L’esempio di qualche individuo, ch’educato co’principj medesimi riuscì a male a fronte d’altri di vita saggia e corretta, stabilì la sua deduzione, che tutti nasciamo buoni, o cattivi, e restiamo tali ad onta degli ottimi o pessimi esempj, e delle sane o triste lezioni.
Poteaglisi chiedere se persuaso egli fosse, che certi modi generali d’educazione convenir debbano a tutti, e se per non produrre in tutti gli stessi effetti argomentare si debba che l’educazione non fa nulla, e non piuttosto credere che l’ignoranza, o la malvagità d’alcuni giunta fosse agli eccessi se fossero rimasti privi d’ogni coltura. A fronte de’ pochi da lui citati per prova della decisa inutilità, gli si poteva schierare dinanzi la moltitudine di quegli esseri ignominiosi, che turbano, e disonorano la spezie umana, i quali o per capriccio, o per falsa massima de’loro maggiori, o per accidentale fatalità abbandonati furono alle impulsioni della natura senz’alcun freno. Quant’altre dimande, quante altre dimostrazioni non gli si avrebbero potuto fare in opposizione a’suoi sillogismi troppo vantati da certuni che si danno con essi l’aria di belli spiriti!
Noi non pretendiamo, che dare col sin quì detto un impulso agli eruditi di combattere un errore fatalmente radicato nel cuore di certi strambi, aprendo un vasto campo all’altrui eloquenza. L’innocenza degli uomini in istato di natura la lasciamo alla sognata età dell’oro quando scorreano i fiumi di latte, gli alberi stillavano miele, e gli agnelli ed i lupi tranquillamente mangiavano ad una tavola istessa. Terremo sempre per fermo che la barbarie stia coll’ignoranza, come stà questa divisa alla Società, e a chi sostiene il contrario ripeteremo con Seneca che la virtù bisogna impararla, e che la bontà è un effetto dell’arte.
Discenda Virtus, ars est bonum fieri.
Siamo avvisati da una Lettera di Padova ricevuta jeri, che il Sonetto ristampato su
questo Foglio è del Sig. Giacomo Gio. Mazzolà Dottor Padovano.
Formento dalle L. 32 alle 33.
Sorgo Turco L. 18.
Segale L. 18.
Risi da’ duc. 34. 12 a’ 35 al m.
Oglio di Corfù da’ duc. 138 ai 140.
Oglio di Zante a duc. 134.
Mosti a duc. 134.
Bergant. Il Principe del Brasil Cap. Giov.
Domenico Calvi Veneto con canoni 14 e marin. 16 per Genova e Lisbona entro il corrente Luglio.