Num. 1 Antonio Piazza Moralische Wochenschriften Julia List Editor Alexandra Fuchs Editor Kirsten Dickhaut Editor Ingrid Scherk Editor Magdalena Albert Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 28.09.2015 o:mws.3895 Piazza, Antonio: Gazzetta veneta urbana. Venezia: Zerletti 1789, 1-8 Gazzetta urbana veneta 3 001 1789 Italien Ebene 1 Ebene 2 Ebene 3 Ebene 4 Ebene 5 Ebene 6 Allgemeine Erzählung Selbstportrait Fremdportrait Dialog Allegorisches Erzählen Traumerzählung Fabelerzählung Satirisches Erzählen Exemplarisches Erzählen Utopische Erzählung Metatextualität Zitat/Motto Leserbrief Graz, Austria Italian Autopoetische Reflexion Riflessione Autopoetica Autopoetical Reflection Reflexión Autopoética Réflexion autopoétique Erziehung und Bildung Educazione e Formazione Education and Formation Educación y Formación Éducation et formation Gesellschaftsstruktur Struttura della Società Structure of Society Estructura de la Sociedad Structure de la société Italy 12.83333,42.83333

Num. 1.

Sabbato 3. Gennaro 1789.

Nel numero di quelli, che concorsero all’Assocciazione del presente Foglio, ve ne sono non pochi a’quali molto dobbiamo per un costante patrocinio, o per una efficiente amicizia; ed alcuni, che per atti di rara beneficenza meritano dall’animo nostro una gratitudine eterna. In questi giorni di lieti augurj, e di metodici complimenti vorrebbe il dovere, che a voce, o in iscritto a tutti fossero significati i sentimenti della nostra umile riconoscenza: ma stretti dal nostro pubblico impegno, e messi alla impossibilità di soddisfare a tante convenienze, preghiamo ossequiosamente chi ci protegge, e fervorosamente chi ci ama, a non ascriverci a colpa una indispensabile disgustosa mancanza. Si accertino gli uni, e gli altri, che nelle angustie delle nostre occupazioni, tra le cure domestiche, e ad onta delle frequenti combinazioni, che aggravano l’infelice nostra esistenza, la loro memoria vive nel nostro cuore sensibile ov’è indelebilmente scolpita, e gradiscano in supplimento a delle visite particolari, a delle Lettere d’uso, questo comune uffizio con cui ad essi, e a tutte le loro Famiglie auguriamo un buon capo d’anno apritore d’un nuovo lungo corso di vita favorito dal Cielo, e ricolmo di beni veri e reali. Discenda il fausto augurio sugli altri ancora, che senza i titoli di protettori, o d’amici, hanno diritto a’nostri ringraziamenti, per l’onore e il vantaggio che ci recano come Assocciati, in particolare quelli che sin dal principio di questa impresa ci fecero il dono spontaneo della loro pregiatissima grazia.

Ciò che desideriamo per gli altri non ha lusinghiere attrattive per noi; ed è ben trista la condizione di chi spingendo le sue viste nell’avvenire non è almeno allettato dalla speranza, sogno di chi veglia, bene sovente chimerico, ma sempre bene. E come sperare colla dote funesta di dire quel che si sente, d’abborrire l’adulazione, di non impiegare per migliorare il proprio stato, alcuno di que’mezzi, che degradano la nobiltà dell’animo conducendo alle blandizie dell’opulenza? Qual destino si può promettere chi arrossirebbe di trovarsi a una lauta mensa ove ospiti accarezzati fossero de’temerarj buffoni, de’parasiti insaziabili, de’messaggieri d’Amore, de’tranquilli Ateoni? Questi senza far nulla, o facendo solo del male hanno chi li veste, li nutre, li ammette a non degne confidenze: onde gonfj d’orgoglio insultano la povertà abbandonata, e il merito disprezzato. Per loro mezzo, chi ha cuore d’avvilirsi a tal segno, ottiene grazie e favori. L’uomo, che calca le rette vie, che mangia il pane bagnato de’suoi sudori, che vive alla sua Famiglia, che non fa fondamento che nelle sue onorate fatiche, ha sottoscritta la sua sentenza di viver penando onde guardare filosoficamente la morte come un sollievo de’mortali. Non s’offendano di questa declamazione i Grandi virtuosi e benefici ne’cui Palazzi asilo non hanno gli scioperati, i maldicenti, i viziosi. Sappiamo, che ve ne sono; il negare dell’umanità, della compassione, della generosità, ci porrebbe in contraddizione con noi medesimi, che ne sperimentammo un tempo gli effetti, e se fossimo in grado di coltivare certi genj parziali, certe sincere amicizie, avremmo del bene a cui la nostra situazione ci fa rinunziare. Per questo gli augurj fatti agli altri verificarsi non potranno per noi se ci venissero concambiati; e questo tristo pensiero ci ha condotti al riflesso della prosperità de’malvagj, non invidiabile certamente, ma irritante un animo travagliato, particolarmente per una recente insidia, che operar poteva la nostra rovina, se mancati ci fossero i documenti della nostra innocenza riconosciuta alle prove da’più retti ed illibati Giudici che seggano sul tribunale supremo di questa augusta Repubblica.

La seguente Causa è descritta dal cortese Forense, le cui promesse hanno il loro effetto con nostra pienissima soddisfazione. Si lusinghiamo ragionevolmente, che non farà per mancargli quella del Pubblico, giacchè la precisione, e chiarezza delle sue descrizioni le rendono molto più grate delle nostre in una materia da lui sì ben conosciuta; benchè non gli manchi eleganza ed erudizione, da brillare anche in altre, come lo ha felicemente dimostrato.

1788. 29. Decembre.

Collegio Eccell. de’XXV.

Era l’Atto . . . . . del Giudizio una Spedizione Absente del Magistrato Eccell. di Piovego, che ammetteva un ricorso a Querela prodotto sotto il giorno 1784. 27. Novembre al medesimo Magistrato dalli Sigg. Fratelli e Nipote Aliprandi ora domicilianti nell’Arcipelago; in confronto delli Sigg. Fratelli Tomasoni di Vicenza; perchè fosse levata dal Mondo una Carta privata 7. Decembre 1738. ed un relativo Istromento 4. Marzo 1739. colle quali l’Ecc. D. Benedetto Tomasoni Padre di detti Fratelli acquistò dagli Autori di essi Aliprandi due Possessioni con cose annesse nella Villa della Friola Territorio Vicentino, per il prezzo D. 2750. correnti; onde poi avessero ad aver luogo gli effetti che fossero di giustizia.

Si pretendeva dagli Aliprandi di comprovare una tal lesione colla scorta principalmente d’una Stima 5. Settembre 1731. e d’altra Stima 18. Agosto 1732.

Le difese però, adotte dall’altra parte furono: pmo Che se anche dette due Stime mettessero in essere, che nel 1731. e 1732. il valor de’Beni contenziosi era superiore; non comproverebbero però mai la lesion del Contratto, non essendo ad esso contemporanee; e molto meno trattandosi di Beni contigui alla Brenta, e sottoposti alle sue violenze: 2do Che dette due Stime non provano neppur che in que’tempi il prezzo di tali Beni fosse maggiore; perchè quelle sono Stime di un cumulo di Beni diciotto volte maggior dei venduti, nelle quali, si dà un valore in complesso a tutti i Campi, buoni, mediocri, e cattivi, senza distinguere in qual classe dovessero riferirsi quelli in contesa: 3zo Che detta lesione è riprovata e convinta da una Carta contemporanea al Contratto impugnato; ch’è una Divisione 1737. 12. Marzo, in cui a tempo innocente, dopo varj anni di possesso, si stimano dagli Aliprandi i Beni controversi a quel medesimo prezzo, per cui furono da essi dipoi venduti: 4to Che l’Acquisto fatto fu in ragguaglio di Rendita al solo quattro per cento, quando si vogliano diffalcare gli Aggravj: 5to Che tanto è lontano, che dal Tomasoni sia stato fatto un’Acquisto ingordo; quantochè nel 1742. fu da esso venduta una delle due Possessioni a certo Abbate Fachetti per il medesimo prezzo. Si rimarcava poi anco la gravità dell’effetto: e si faceva riflettere, che gli Aliprandi volevano far decidere, che il valor di que’Beni fosse stato di Ducati 5685. e ch’eglino riservavano bensì il Capitale esborsato, ed anche i frutti in ragguaglio allo stesso; ma ch’esigevano, oltre la restituzione dei Beni, anche i frutti sopra quel più di Capitale che mancava al compimento di detto prezzo. Sicchè ascendendo questo soprappiù a circa Ducati 3000. ed i frutti al quattro per cento raddoppiando in cinquant’anni il Capitale due volte; l’effetto sarebbe stato, che avrebbe convenuto perder i Beni, e il Capitale per essi esborsato; ed anche più di tre mila Ducati appresso. Resistette però a tal effetto la giustizia del Collegio Eccellentissimo, che anzi decise a favor de’Fratelli Tomasoni con uno Spazzo di Taglio di tutti i Voti.

Avvocati al Taglio Ecc. Rodella, Ecc. Gallini, Interruttor Facini, Interveniente Orsini.

Avvocati al Laudo Co: Medin, Ecc. Realdi, Interveniente Maneta

Stimatissimo Sig. Gazzettiere

Brescia 21. Decembre 1788

Egli è molto tempo che non le scrivo, perchè feci un viaggio che durò qualche mese. Ora da poco giunto, ho voluto leg-gere le passate sue Gazzette. Fra le molte cose che vi lessi quelle poche, che appartengono alla mia patria vidi essere, alterate, o mutilate, mentr’io quantunque lontano ben informato ne era; come pure non ritrovai tanti casi in Brescia successi nella mia absenza, che forse di sì singolari non occorsero da che è istituita la Gazzetta Urbane ec. Ma non badiamo a questo. Ciò che mi muove a scriverle in oggi, e che sarò per continuare in altro ordinario, si è l’aver letto in uno de’scorsi fogli espresso con una certa caricatura, che le Scuole pubbliche delle Grazie non si sono ancora incominciate forse pel cattivo tempo. Sig. Gazzettiere lo voglio rendere su di ciò informato. La cosa non è da mettersi tanto in ridicolo, come forse pretese chi in tal guisa le scrise. Io esporrò la cosa alla meglio, e son sicuro che diverrà in vece un affare serio, e di rilevanza. Le Scuole delle Grazie, sono pubbliche da gran tempo. I Gesuiti quando esistevano, erano essi che vi accudivano. Dopochè questi tali furono soppressi, l’Illustrissima Città di Brescia ottenne dalla Sovrana Clemenza il permesso di far continuare queste Pubbliche Scuole; ed a tal uopo la generosità del Serenissimo Principe, ne assegnò dei sufficienti capitali. Si principiarono, indi si proseguirono sotto l’ispezione di due Presidenti membri del Consiglio di questa Illustrissima Città, e vi sono sempre stati maestri, e Preti secolari, e Laici secolari. Avanti l’Autunno di quest’anno, stante la morte del Nob. Sig. Benedetto Ducco, e la rinunzia del Nob. Sig. Giuseppe Chizzola si cangiò la Presidenza ad esse pubbliche Scuole. Erano Maestri i seguenti soggetti: Prefetto Sig. Don Vincenzo Montini. Mae. di Teologia Signor Don Alessandro Martinengo, Mae. di Matematica Sig. Domenico Coccoli, Mas. di Filosofia Sig. Don Paolo Marini. Mas. Di Rettorica Sig. Don Domenico Colombo, Meastri di Grammatica suprema, media, ed insima li RR. Signori Don Giammaria Montini, Don Pietro Lumini, Don Vincenzo Mattanza, e Don Stanislao Palazzoli. All’improvviso terminate le Scuole in principio d’Autunno con sorpresa di tutta Brescia furono deposti il Prefetto, e li Maestri di Teologia, di Matematica, e di Filosofia, e per tal motivo si videro affisse le cedole per il concorso di altre persone, per rimpiazzare i deposti Maestri, ed anche per rimettere il Rettorico in luogo del Sig. Ab. Colombo, che molto prima aveva rinunziato, come fu questa Gazzetta a su tempo se ne parlò. Scorsi alcuni giorni, dopo tal impensata rivoluzione anche il Rettore della Chiesa e Parrocchia delle Grazie il Rev. Sig. Don Carlo Montini si portò in Cancellerìa della Città a far notare la propria rinunzia, che egli ad insinuazione d’un Gentiluomo si affrettò di eseguire acciò, come lo stesso gli confidò, non corresse rischio di esser anch’egli sì malamente trattato, come lo furono li Maestri delle Scuole. Oltre di che il povero Rettore ne fu persuaso, avendo compreso d’onde venivano le ciarle che appostatamente furono sparse, per denigrare l’onoratezza, e ferire la religione de’suddetti Maestri e Rettore come in altro ordinario le esporrò. E in tanto mi dico con tutta stima.

Breascia li 24. Decembre 1788

In seguito di quanto le scrissi lo scorso ordinario, bisogna renderlo informato, che i già citati maestri, e Rettore licenziati venivano come dissi caricati di calunnie, come per ec., che tenevano nel luogo delle Grazie (dove i Maestri vi abitano) delle conferenze sospette in riguardo alla Religione, ed al Costume; alle quali pure, secondo i calunniatori v’intervenivano dei Giovani, delle Donne, Et alia omissa ec. Ma per buona sorte la fama di que’Maestri niente da tali imposture soffri. Ben tutti se ne accorsero, essere questa una cabala ordita da certi tali individui che nella Socie-tà, si mostrarono sempre mai molesti, e maligni. Ciò poi che bene non si concepì, si fù la condotta tenuta dai Nuovi Sig. Presidenti persone veramente dabbene, ed illibate. Ma e chi non sà quanto di forza abbia la menzogna, la quale colla fina industrìa fa suoi aderenti gli uomini più probi? Sorprese anche il vedere involto in tale rivoluzione il Sig. Professor Coccoli, quale era absente da molti mosi, e che dalla Sovrana voce del Serenissimo Principe alla Dominante fu chiamato per prestare que’servigi che da’suoi talenti il Principato attendeva. Esposto il concorfo, non vi fu poi al termine prescritto chi aspirasse ad occupare i vacui impieghi. E qual uomo di senno sarebbe mai concorso all’esercizio di dette scuole, allorquando dalle medesime, per qualche maligna impostura, o per qualche capriccio di bizzarro ed inquieto cervello venga esposto ad una dimissione oltraggiosa? E a dir vero se hanno voluto empire le vacanti cattedre, furono costretti di elegger delle persone che non concorrevano. Il Reverendissimo Zamboni Parroco di Garda in Riviera Veronese, fu eletto per Maestro Teologo; questi fece i suoi ringraziamenti, e rinunzio non convenendogli lasciare un’entrata più pingue, e certa, per un tenue onorario d’un impiego forse non durevole. Certo Prete Balotta da Seniga fu eletto per Maestro di Filosofia, e questi pure nemmen si sognava di aspirarvi, e come l’altro ringraziò gli Elettori non trovandosi per quest’anno in grado di fare la Scuola. Nella Cattedra delle Matematiche fu poi confermato il suddetto Sig. Coccoli, e ciò in vista della più onorevole e pregiata testimonianza, che di tal Soggetto ne dà il Sereniss. Principe. Un altro Prete detto, se non isbaglio Margiorini, fu dalli stessi nominato per insegnare la Rettorica, ma nemmen questi si è ancor veduto. Il Maestro di Teologia doveva, a quel che si dice, essere anche Prefetto. Il Rettore della Parrocchia non fu finora eletto, ma solamente messo interinalmente come Vice Rettore un altro Prete che anche in passato s’impiegava al servizio di quella Chiesa. In somma tutto è confusione e disordine. Le Scuole di queste Classi sono ancora chiuse. Tutto dicono qualche cosa su di questo enigma. E la gioventù ne soffre danno non indifferente in quanto che la maggior parte di quelli che v’intervengono è quella che non è in grado d’intervenire ad altre scuole, poichè i più tanti alle corte sono quelli che non possono spendere. Ma è tempo di chiudere questa intricata ed insieme commovente istoria col narrare quanto in casa di un ragguardevole Cavaliere si disse in tal proposito. *MT Questi pieno di zelo per la Patria, e penetrato dai danni che ne soffre la gioventù più indigente, si era messo in capo di destinare una summa di danaro ad ogni occorrenza per fare che da Venezia venisse pressata la Città di Brescia a ripristinare le scuole, come si trovavano avanti tale innovazione. Uno dei circostanti forse più pensatore del primo, disse che solo basterebbe l’umiliare una Supplica avanti il Trono Augusto del Serenissimo Principe per ottenere un buon effetto, mentre da ciò ne verrebbe che il Magistrato Eccellentissimo de’Riformatori dello Studio di Padova, ne prenderebbe quell’amorosa e paterna cura, che gli è propria, sopra tutte le scuole dello Stato, e che in fatti ha diritto di esercitare come Conservatore e moderatore. Qual effetto abbia prodotto il sentimento di questo tale io non lo sò. Se verrà seguito il di lui parere Lei Sig. Gazzettiere, sarà forse prima di me informato trovandosi costa. Se nascerà qualche novità sul proposito gliela riferirò. In tanto la prego a credermi suo. ec.

Bre.

Sarebbe far torto alla previdenza della magnifica Città di Brescia se si credesser incaute, e parziali le sue elezioni, e non degni delle medesime que’Nobili Individui, che rappresentano la sua dignità. Per confessione dello stesso Scrittore delle due riportate Lettere gli attuali Presidenti delle Scuole sono persone rette ed illibate, è dunque da credere, senz’oltraggio della riputazione de’Professori dimessi, che la rivoluzione accaduta, sia di que’colpi politici a cui sovente son vittime i più innocenti, e de’quali ragione non rendono quei che amministrano i grandi affari.

Brescia 28 Decem. 1788

Eccovi le nuove della nostra opera andata in iscena la sera de’26. corrente. Il Dramma ha per titolo Le Trame Deluse. La Musica è buona perchè del sempre acclamato Cimarosa: Abbiamo alcune parti assolutamente senza eccezione, perchè le Signore Granati hanno certamente i primi luoghi tra le virtuose, ed il Sig. Cipriani che ora gode ottima salute non la vede che a pochissimi della sua Professione. Il vestiario è molto buono quando si voglia creder nuovo questo della Sig. Granati, che alla lontana comparisce di cattiva tela, e alquanto sudicio. Lo scenario nuovo è bello e vago, e l’orchestra secondo il solito. Contuttociò io non posso darvi che cattive nuove, perchè il tutto riesce alla prova molto male. Non vi è un’aria che fermi, un passo che meriti, e prova del vero è il continuo chiassare che si sente con sorpresa de’Signori Virtuosi medesimi, che l’hanno a dire. L’illuminazione è a cristalli, ma lascia oscuro lo scenario, e dice a chiarissime note, che si leggono caratteri cubitali su non sò qual tomba L’impresario vuol guadagnare. L’orchestra non si sente, e pochissimi sono i contenti. Li balli meriterebbero un lunghissimo paragrafo, ma perchè non ho tempo vi dirò solo, che pochi saranno i balli più cattivi, e che abbiano minor incontro. Il primo intitolato Giulietta e Romeo, ballo tragico eroico è tutto quel che volete, fu infine quali fischiato, e persuase ch’era impossibile che il secondo potesse tollerarsi intitolato il diavolo a quattro, e che si potrebbe più giustamente intitolare il diavolo a sessanta. Sul finire ebbe tutto il suo Bono. Li Grotteschi fecero la loro parte, ed il Sig. Orfi e la Signora Scardovi si distinsero, e posso dire con verità che piaquero. Quando vi siano cose manco cattive, con piacere ve le comunicherò. Intanto ec.

Vost. Umil. Associato. N. N.

All’estensore Della Gazzetta Urbana Il suo cordialissimo Amico, ed Assocciato Giuseppe Foppa

Terze rime.

Nella rinnovazione del Semestre.

Antonio amico un’Assocciato vostro Giacchè la palla al balzo ora gli viene Vuol dedicarvi un pocolin d’inchiostro. Ciò per giustizia invero vi conviene Se pel comun diletto e pel vantaggio Gravi dispendj sofferite e pene. Nel rinnovar così aspro viaggio V’auguro ma di cuor che fiavi scorta Di propizia fortuna il fausto raggio. Senza di lui la via diritta è torta; Che troppo chiaro parla l’esperienza In chi d’avversa forte i guai sopporta. Pur vince anche talor la sofferenza: E in conoscerla in Voi sì bene a prova D’un felice avvenir piglio credenza. Al Curioso, e all’uom d’affari giova L’impresa vostra; e in chi lo contraddice O pazzìa nimistà certo si trova. Oh sveller si potesse la radice Di quella trista perversa genìa Che mai non parla se male non dice! er cotestoro diviene follia, O inezia, o zero ciò che non s’adatta Alla stravolta loro fantasìa. Non fanno ravvisar come s’appiatta Prudente verità sotto d’un velo; Ma guardano ogni cosa o sola o astratta. Talun si veste di mentito zelo Onde meglio coprire il mal talento, E levar a man franca ancora il pelo. Alcun si legge la Gazzetta attento; Aggrinza il naso e dice: il Gazzettiere Mi fa restar affè poco contento. Che importa a me di leggere e sapere Di Funzioni, di Barche, d’Oglio, o vino? Queste cose mi sfiaccano il messere. Altri: mi secca più d’un pocolino Questo parlar di Commedie, e di Scene; Le appenda il Gazzettier sempre all’uncino. Uno: perchè son due facciate piene Di storielle? un altro: oh! mal la intende Questo estensor con certe cantilene! Ed il diluvio infin così si estende, Che grida il pover’uomo a gran polmoni: Deus in adiutorium meum intende. E se non fosse il numero de’buoni che lo difende e sostenerlo vuole, Quasi per lui non ci sarien ragioni. Perchè mai della testa un girasole Uuolfi far da più d’un; nè si vergogna Di sue scipite fanciullesche sole? Colla ragion considerar bisogna Del Gazzettier le mire; e vedrà allora Più d’un, che in accusarlo certo sogna. Ei lascia i Gabinetti alla buon’ora, Le battaglie, le prede, la milizia, E parla della Patria ove dimora: Ch’è più necessità l’aver notizia Di ciò che accade ove si nasce e vive Che non è dell’America, o Gallizia. Non ad uno il dover lo circoscrive; Ma alla Toga, al mercante, alla Prebenda, Alla scena, a mill’altri ei parla e scrive. Quindi è d’uopo che ovunque egli si estenda Con novelle ed Articoli per tutti Onde non siavi chi con Lui contenda. S’ei così non facesse, i visi brutti E saria giusto allora ogni reclamo; Ma s’ei lo fà non gli negate i frutti. Antonio il vostro ben di cuore io bramo E colla verità per voi favello, Per voi che come amico onoro ed amo. Suonerò sempre Campana a martello, Taglierò peggio assai di Durlindana Onde la maldicenza abbia rovello, E intisichisca con febbre terzana.
Parole del Gazzettiere.

Il tratto di parziale gentilezza, ch’jeri dopo pranzo ebbimo dal pregiatissimo Sig. Giuseppe Foppa il quale ci onora della benevola sua amicizia esige dalla nostra gratitudine qualche risposta. La riserbiamo al Foglio del Mercordì p. v. e se non potremo in essa gareggiare d’ingegno, e d’estro poetico sarà almeno pari al suo il nostro vanto di candida ingenuità.

Jeri strettamente all’ora medesima ci pervenne un Foglio occluso nel quale uno ne trovammo scritto in data de’14. Decembre dal nuovo Protomedico dell’Eccellentissimo Magistrato alla Sanità Sig. Dot. Calvi al suo Carissimo Amico il celebre Sig. Dot. Lotti. L’espressioni onorevoli riguardanti questo illustre Soggetto, che in una e nell’altra Lettera contengonsi ratificano quella vantaggiosa opinione, che abbiamo sempre avuta del sommo suo merito. Se il Foglio scirttogli dal Sig. Calvi non vede per opera nostra la luce delle Stampe dovrà scusarci chi a tal oggetto che l’ha inviato, in vista di que’riguardi, che troppo son necessarj al Compilatore della Veneta Urbana Gazzetta.

Ghiaccio.

Nel presente Secolo questa è la terza volta, che le gelate Lagune uniscono la Terra ferma alla nostra Isola Dominante. Assicurasi che il freddo del 1709. fosse maggiore di quello ch’ora sentiamo del quale però era minore quello del 1755. Lo spettacolo del transito pedestre da Mestre e Campalto a questa Città, del trasporto di viveri di ogni genere sul capo, sulle spalle, o strascinati con funi, è divenuto un oggetto di pubblica curiosità, che giornalmente chiama un folto concorso all’estremità della Capitale, ove hanno meta le venute, e i ritorni de’viaggiatori industriosi. Ve ne son molti tra questi, che passano da un luogo all’altro per puro divertimento, e non tutti di volgar condizione. Un Chierico della Chiesa di S. Leonardo Figlio del Sig. Antonio Buta Pub. Comandador jeri ebbe la fatalità di perire sotto il ghiaccio che cedette al peso del suo corpo, vicino all’Isoletta di San Secondo.

Biglietto

Scrivono da Treviso, che fra poco doveva soggiornarvi permanentemente il celebre Sig. Marzan. Se questa cosa tante volte detta, e ritrattata, si avvera, come si vuole, ritroveranno in esso i Grandi un Soggetto ornatissimo, i Letterati un Fisico profondo, e gli infermi un Esculapio in cui riporre tutta la confidenza.

Cambj.

Venerdì 2 corrente.

Parigi 59 e un 8vo. Roma 62 e 3ti. Napoli 119. Livorno 100. Milano 155 e mezzo. Genova 93 e mezzo. Amsterdam 92 e un 4to. Londra 48 e 3 4ti. Augusta 101 e mezzo. Vienna 195 e mezzo.

Morti.

La N. D. Lugrezia Cappello Martinelli.

L’Illustrissimo Sig. Valerio Bonetti.

Num. 1. Sabbato 3. Gennaro 1789. Nel numero di quelli, che concorsero all’Assocciazione del presente Foglio, ve ne sono non pochi a’quali molto dobbiamo per un costante patrocinio, o per una efficiente amicizia; ed alcuni, che per atti di rara beneficenza meritano dall’animo nostro una gratitudine eterna. In questi giorni di lieti augurj, e di metodici complimenti vorrebbe il dovere, che a voce, o in iscritto a tutti fossero significati i sentimenti della nostra umile riconoscenza: ma stretti dal nostro pubblico impegno, e messi alla impossibilità di soddisfare a tante convenienze, preghiamo ossequiosamente chi ci protegge, e fervorosamente chi ci ama, a non ascriverci a colpa una indispensabile disgustosa mancanza. Si accertino gli uni, e gli altri, che nelle angustie delle nostre occupazioni, tra le cure domestiche, e ad onta delle frequenti combinazioni, che aggravano l’infelice nostra esistenza, la loro memoria vive nel nostro cuore sensibile ov’è indelebilmente scolpita, e gradiscano in supplimento a delle visite particolari, a delle Lettere d’uso, questo comune uffizio con cui ad essi, e a tutte le loro Famiglie auguriamo un buon capo d’anno apritore d’un nuovo lungo corso di vita favorito dal Cielo, e ricolmo di beni veri e reali. Discenda il fausto augurio sugli altri ancora, che senza i titoli di protettori, o d’amici, hanno diritto a’nostri ringraziamenti, per l’onore e il vantaggio che ci recano come Assocciati, in particolare quelli che sin dal principio di questa impresa ci fecero il dono spontaneo della loro pregiatissima grazia. Ciò che desideriamo per gli altri non ha lusinghiere attrattive per noi; ed è ben trista la condizione di chi spingendo le sue viste nell’avvenire non è almeno allettato dalla speranza, sogno di chi veglia, bene sovente chimerico, ma sempre bene. E come sperare colla dote funesta di dire quel che si sente, d’abborrire l’adulazione, di non impiegare per migliorare il proprio stato, alcuno di que’mezzi, che degradano la nobiltà dell’animo conducendo alle blandizie dell’opulenza? Qual destino si può promettere chi arrossirebbe di trovarsi a una lauta mensa ove ospiti accarezzati fossero de’temerarj buffoni, de’parasiti insaziabili, de’messaggieri d’Amore, de’tranquilli Ateoni? Questi senza far nulla, o facendo solo del male hanno chi li veste, li nutre, li ammette a non degne confidenze: onde gonfj d’orgoglio insultano la povertà abbandonata, e il merito disprezzato. Per loro mezzo, chi ha cuore d’avvilirsi a tal segno, ottiene grazie e favori. L’uomo, che calca le rette vie, che mangia il pane bagnato de’suoi sudori, che vive alla sua Famiglia, che non fa fondamento che nelle sue onorate fatiche, ha sottoscritta la sua sentenza di viver penando onde guardare filosoficamente la morte come un sollievo de’mortali. Non s’offendano di questa declamazione i Grandi virtuosi e benefici ne’cui Palazzi asilo non hanno gli scioperati, i maldicenti, i viziosi. Sappiamo, che ve ne sono; il negare dell’umanità, della compassione, della generosità, ci porrebbe in contraddizione con noi medesimi, che ne sperimentammo un tempo gli effetti, e se fossimo in grado di coltivare certi genj parziali, certe sincere amicizie, avremmo del bene a cui la nostra situazione ci fa rinunziare. Per questo gli augurj fatti agli altri verificarsi non potranno per noi se ci venissero concambiati; e questo tristo pensiero ci ha condotti al riflesso della prosperità de’malvagj, non invidiabile certamente, ma irritante un animo travagliato, particolarmente per una recente insidia, che operar poteva la nostra rovina, se mancati ci fossero i documenti della nostra innocenza riconosciuta alle prove da’più retti ed illibati Giudici che seggano sul tribunale supremo di questa augusta Repubblica. La seguente Causa è descritta dal cortese Forense, le cui promesse hanno il loro effetto con nostra pienissima soddisfazione. Si lusinghiamo ragionevolmente, che non farà per mancargli quella del Pubblico, giacchè la precisione, e chiarezza delle sue descrizioni le rendono molto più grate delle nostre in una materia da lui sì ben conosciuta; benchè non gli manchi eleganza ed erudizione, da brillare anche in altre, come lo ha felicemente dimostrato. 1788. 29. Decembre. Collegio Eccell. de’XXV. Era l’Atto . . . . . del Giudizio una Spedizione Absente del Magistrato Eccell. di Piovego, che ammetteva un ricorso a Querela prodotto sotto il giorno 1784. 27. Novembre al medesimo Magistrato dalli Sigg. Fratelli e Nipote Aliprandi ora domicilianti nell’Arcipelago; in confronto delli Sigg. Fratelli Tomasoni di Vicenza; perchè fosse levata dal Mondo una Carta privata 7. Decembre 1738. ed un relativo Istromento 4. Marzo 1739. colle quali l’Ecc. D. Benedetto Tomasoni Padre di detti Fratelli acquistò dagli Autori di essi Aliprandi due Possessioni con cose annesse nella Villa della Friola Territorio Vicentino, per il prezzo D. 2750. correnti; onde poi avessero ad aver luogo gli effetti che fossero di giustizia. Si pretendeva dagli Aliprandi di comprovare una tal lesione colla scorta principalmente d’una Stima 5. Settembre 1731. e d’altra Stima 18. Agosto 1732. Le difese però, adotte dall’altra parte furono: pmo Che se anche dette due Stime mettessero in essere, che nel 1731. e 1732. il valor de’Beni contenziosi era superiore; non comproverebbero però mai la lesion del Contratto, non essendo ad esso contemporanee; e molto meno trattandosi di Beni contigui alla Brenta, e sottoposti alle sue violenze: 2do Che dette due Stime non provano neppur che in que’tempi il prezzo di tali Beni fosse maggiore; perchè quelle sono Stime di un cumulo di Beni diciotto volte maggior dei venduti, nelle quali, si dà un valore in complesso a tutti i Campi, buoni, mediocri, e cattivi, senza distinguere in qual classe dovessero riferirsi quelli in contesa: 3zo Che detta lesione è riprovata e convinta da una Carta contemporanea al Contratto impugnato; ch’è una Divisione 1737. 12. Marzo, in cui a tempo innocente, dopo varj anni di possesso, si stimano dagli Aliprandi i Beni controversi a quel medesimo prezzo, per cui furono da essi dipoi venduti: 4to Che l’Acquisto fatto fu in ragguaglio di Rendita al solo quattro per cento, quando si vogliano diffalcare gli Aggravj: 5to Che tanto è lontano, che dal Tomasoni sia stato fatto un’Acquisto ingordo; quantochè nel 1742. fu da esso venduta una delle due Possessioni a certo Abbate Fachetti per il medesimo prezzo. Si rimarcava poi anco la gravità dell’effetto: e si faceva riflettere, che gli Aliprandi volevano far decidere, che il valor di que’Beni fosse stato di Ducati 5685. e ch’eglino riservavano bensì il Capitale esborsato, ed anche i frutti in ragguaglio allo stesso; ma ch’esigevano, oltre la restituzione dei Beni, anche i frutti sopra quel più di Capitale che mancava al compimento di detto prezzo. Sicchè ascendendo questo soprappiù a circa Ducati 3000. ed i frutti al quattro per cento raddoppiando in cinquant’anni il Capitale due volte; l’effetto sarebbe stato, che avrebbe convenuto perder i Beni, e il Capitale per essi esborsato; ed anche più di tre mila Ducati appresso. Resistette però a tal effetto la giustizia del Collegio Eccellentissimo, che anzi decise a favor de’Fratelli Tomasoni con uno Spazzo di Taglio di tutti i Voti. Avvocati al Taglio Ecc. Rodella, Ecc. Gallini, Interruttor Facini, Interveniente Orsini. Avvocati al Laudo Co: Medin, Ecc. Realdi, Interveniente Maneta Stimatissimo Sig. Gazzettiere Brescia 21. Decembre 1788 Egli è molto tempo che non le scrivo, perchè feci un viaggio che durò qualche mese. Ora da poco giunto, ho voluto leg-gere le passate sue Gazzette. Fra le molte cose che vi lessi quelle poche, che appartengono alla mia patria vidi essere, alterate, o mutilate, mentr’io quantunque lontano ben informato ne era; come pure non ritrovai tanti casi in Brescia successi nella mia absenza, che forse di sì singolari non occorsero da che è istituita la Gazzetta Urbane ec. Ma non badiamo a questo. Ciò che mi muove a scriverle in oggi, e che sarò per continuare in altro ordinario, si è l’aver letto in uno de’scorsi fogli espresso con una certa caricatura, che le Scuole pubbliche delle Grazie non si sono ancora incominciate forse pel cattivo tempo. Sig. Gazzettiere lo voglio rendere su di ciò informato. La cosa non è da mettersi tanto in ridicolo, come forse pretese chi in tal guisa le scrise. Io esporrò la cosa alla meglio, e son sicuro che diverrà in vece un affare serio, e di rilevanza. Le Scuole delle Grazie, sono pubbliche da gran tempo. I Gesuiti quando esistevano, erano essi che vi accudivano. Dopochè questi tali furono soppressi, l’Illustrissima Città di Brescia ottenne dalla Sovrana Clemenza il permesso di far continuare queste Pubbliche Scuole; ed a tal uopo la generosità del Serenissimo Principe, ne assegnò dei sufficienti capitali. Si principiarono, indi si proseguirono sotto l’ispezione di due Presidenti membri del Consiglio di questa Illustrissima Città, e vi sono sempre stati maestri, e Preti secolari, e Laici secolari. Avanti l’Autunno di quest’anno, stante la morte del Nob. Sig. Benedetto Ducco, e la rinunzia del Nob. Sig. Giuseppe Chizzola si cangiò la Presidenza ad esse pubbliche Scuole. Erano Maestri i seguenti soggetti: Prefetto Sig. Don Vincenzo Montini. Mae. di Teologia Signor Don Alessandro Martinengo, Mae. di Matematica Sig. Domenico Coccoli, Mas. di Filosofia Sig. Don Paolo Marini. Mas. Di Rettorica Sig. Don Domenico Colombo, Meastri di Grammatica suprema, media, ed insima li RR. Signori Don Giammaria Montini, Don Pietro Lumini, Don Vincenzo Mattanza, e Don Stanislao Palazzoli. All’improvviso terminate le Scuole in principio d’Autunno con sorpresa di tutta Brescia furono deposti il Prefetto, e li Maestri di Teologia, di Matematica, e di Filosofia, e per tal motivo si videro affisse le cedole per il concorso di altre persone, per rimpiazzare i deposti Maestri, ed anche per rimettere il Rettorico in luogo del Sig. Ab. Colombo, che molto prima aveva rinunziato, come fu questa Gazzetta a su tempo se ne parlò. Scorsi alcuni giorni, dopo tal impensata rivoluzione anche il Rettore della Chiesa e Parrocchia delle Grazie il Rev. Sig. Don Carlo Montini si portò in Cancellerìa della Città a far notare la propria rinunzia, che egli ad insinuazione d’un Gentiluomo si affrettò di eseguire acciò, come lo stesso gli confidò, non corresse rischio di esser anch’egli sì malamente trattato, come lo furono li Maestri delle Scuole. Oltre di che il povero Rettore ne fu persuaso, avendo compreso d’onde venivano le ciarle che appostatamente furono sparse, per denigrare l’onoratezza, e ferire la religione de’suddetti Maestri e Rettore come in altro ordinario le esporrò. E in tanto mi dico con tutta stima. Breascia li 24. Decembre 1788 In seguito di quanto le scrissi lo scorso ordinario, bisogna renderlo informato, che i già citati maestri, e Rettore licenziati venivano come dissi caricati di calunnie, come per ec., che tenevano nel luogo delle Grazie (dove i Maestri vi abitano) delle conferenze sospette in riguardo alla Religione, ed al Costume; alle quali pure, secondo i calunniatori v’intervenivano dei Giovani, delle Donne, Et alia omissa ec. Ma per buona sorte la fama di que’Maestri niente da tali imposture soffri. Ben tutti se ne accorsero, essere questa una cabala ordita da certi tali individui che nella Socie-tà, si mostrarono sempre mai molesti, e maligni. Ciò poi che bene non si concepì, si fù la condotta tenuta dai Nuovi Sig. Presidenti persone veramente dabbene, ed illibate. Ma e chi non sà quanto di forza abbia la menzogna, la quale colla fina industrìa fa suoi aderenti gli uomini più probi? Sorprese anche il vedere involto in tale rivoluzione il Sig. Professor Coccoli, quale era absente da molti mosi, e che dalla Sovrana voce del Serenissimo Principe alla Dominante fu chiamato per prestare que’servigi che da’suoi talenti il Principato attendeva. Esposto il concorfo, non vi fu poi al termine prescritto chi aspirasse ad occupare i vacui impieghi. E qual uomo di senno sarebbe mai concorso all’esercizio di dette scuole, allorquando dalle medesime, per qualche maligna impostura, o per qualche capriccio di bizzarro ed inquieto cervello venga esposto ad una dimissione oltraggiosa? E a dir vero se hanno voluto empire le vacanti cattedre, furono costretti di elegger delle persone che non concorrevano. Il Reverendissimo Zamboni Parroco di Garda in Riviera Veronese, fu eletto per Maestro Teologo; questi fece i suoi ringraziamenti, e rinunzio non convenendogli lasciare un’entrata più pingue, e certa, per un tenue onorario d’un impiego forse non durevole. Certo Prete Balotta da Seniga fu eletto per Maestro di Filosofia, e questi pure nemmen si sognava di aspirarvi, e come l’altro ringraziò gli Elettori non trovandosi per quest’anno in grado di fare la Scuola. Nella Cattedra delle Matematiche fu poi confermato il suddetto Sig. Coccoli, e ciò in vista della più onorevole e pregiata testimonianza, che di tal Soggetto ne dà il Sereniss. Principe. Un altro Prete detto, se non isbaglio Margiorini, fu dalli stessi nominato per insegnare la Rettorica, ma nemmen questi si è ancor veduto. Il Maestro di Teologia doveva, a quel che si dice, essere anche Prefetto. Il Rettore della Parrocchia non fu finora eletto, ma solamente messo interinalmente come Vice Rettore un altro Prete che anche in passato s’impiegava al servizio di quella Chiesa. In somma tutto è confusione e disordine. Le Scuole di queste Classi sono ancora chiuse. Tutto dicono qualche cosa su di questo enigma. E la gioventù ne soffre danno non indifferente in quanto che la maggior parte di quelli che v’intervengono è quella che non è in grado d’intervenire ad altre scuole, poichè i più tanti alle corte sono quelli che non possono spendere. Ma è tempo di chiudere questa intricata ed insieme commovente istoria col narrare quanto in casa di un ragguardevole Cavaliere si disse in tal proposito. Questi pieno di zelo per la Patria, e penetrato dai danni che ne soffre la gioventù più indigente, si era messo in capo di destinare una summa di danaro ad ogni occorrenza per fare che da Venezia venisse pressata la Città di Brescia a ripristinare le scuole, come si trovavano avanti tale innovazione. Uno dei circostanti forse più pensatore del primo, disse che solo basterebbe l’umiliare una Supplica avanti il Trono Augusto del Serenissimo Principe per ottenere un buon effetto, mentre da ciò ne verrebbe che il Magistrato Eccellentissimo de’Riformatori dello Studio di Padova, ne prenderebbe quell’amorosa e paterna cura, che gli è propria, sopra tutte le scuole dello Stato, e che in fatti ha diritto di esercitare come Conservatore e moderatore. Qual effetto abbia prodotto il sentimento di questo tale io non lo sò. Se verrà seguito il di lui parere Lei Sig. Gazzettiere, sarà forse prima di me informato trovandosi costa. Se nascerà qualche novità sul proposito gliela riferirò. In tanto la prego a credermi suo. ec. Bre. Sarebbe far torto alla previdenza della magnifica Città di Brescia se si credesser incaute, e parziali le sue elezioni, e non degni delle medesime que’Nobili Individui, che rappresentano la sua dignità. Per confessione dello stesso Scrittore delle due riportate Lettere gli attuali Presidenti delle Scuole sono persone rette ed illibate, è dunque da credere, senz’oltraggio della riputazione de’Professori dimessi, che la rivoluzione accaduta, sia di que’colpi politici a cui sovente son vittime i più innocenti, e de’quali ragione non rendono quei che amministrano i grandi affari. Brescia 28 Decem. 1788 Eccovi le nuove della nostra opera andata in iscena la sera de’26. corrente. Il Dramma ha per titolo Le Trame Deluse. La Musica è buona perchè del sempre acclamato Cimarosa: Abbiamo alcune parti assolutamente senza eccezione, perchè le Signore Granati hanno certamente i primi luoghi tra le virtuose, ed il Sig. Cipriani che ora gode ottima salute non la vede che a pochissimi della sua Professione. Il vestiario è molto buono quando si voglia creder nuovo questo della Sig. Granati, che alla lontana comparisce di cattiva tela, e alquanto sudicio. Lo scenario nuovo è bello e vago, e l’orchestra secondo il solito. Contuttociò io non posso darvi che cattive nuove, perchè il tutto riesce alla prova molto male. Non vi è un’aria che fermi, un passo che meriti, e prova del vero è il continuo chiassare che si sente con sorpresa de’Signori Virtuosi medesimi, che l’hanno a dire. L’illuminazione è a cristalli, ma lascia oscuro lo scenario, e dice a chiarissime note, che si leggono caratteri cubitali su non sò qual tomba L’impresario vuol guadagnare. L’orchestra non si sente, e pochissimi sono i contenti. Li balli meriterebbero un lunghissimo paragrafo, ma perchè non ho tempo vi dirò solo, che pochi saranno i balli più cattivi, e che abbiano minor incontro. Il primo intitolato Giulietta e Romeo, ballo tragico eroico è tutto quel che volete, fu infine quali fischiato, e persuase ch’era impossibile che il secondo potesse tollerarsi intitolato il diavolo a quattro, e che si potrebbe più giustamente intitolare il diavolo a sessanta. Sul finire ebbe tutto il suo Bono. Li Grotteschi fecero la loro parte, ed il Sig. Orfi e la Signora Scardovi si distinsero, e posso dire con verità che piaquero. Quando vi siano cose manco cattive, con piacere ve le comunicherò. Intanto ec. Vost. Umil. Associato. N. N. All’estensore Della Gazzetta Urbana Il suo cordialissimo Amico, ed AssocciatoGiuseppe Foppa Terze rime. Nella rinnovazione del Semestre. Antonio amico un’Assocciato vostro Giacchè la palla al balzo ora gli viene Vuol dedicarvi un pocolin d’inchiostro. Ciò per giustizia invero vi conviene Se pel comun diletto e pel vantaggio Gravi dispendj sofferite e pene. Nel rinnovar così aspro viaggio V’auguro ma di cuor che fiavi scorta Di propizia fortuna il fausto raggio. Senza di lui la via diritta è torta; Che troppo chiaro parla l’esperienza In chi d’avversa forte i guai sopporta. Pur vince anche talor la sofferenza: E in conoscerla in Voi sì bene a prova D’un felice avvenir piglio credenza. Al Curioso, e all’uom d’affari giova L’impresa vostra; e in chi lo contraddice O pazzìa nimistà certo si trova. Oh sveller si potesse la radice Di quella trista perversa genìa Che mai non parla se male non dice! er cotestoro diviene follia, O inezia, o zero ciò che non s’adatta Alla stravolta loro fantasìa. Non fanno ravvisar come s’appiatta Prudente verità sotto d’un velo; Ma guardano ogni cosa o sola o astratta. Talun si veste di mentito zelo Onde meglio coprire il mal talento, E levar a man franca ancora il pelo. Alcun si legge la Gazzetta attento; Aggrinza il naso e dice: il Gazzettiere Mi fa restar affè poco contento. Che importa a me di leggere e sapere Di Funzioni, di Barche, d’Oglio, o vino? Queste cose mi sfiaccano il messere. Altri: mi secca più d’un pocolino Questo parlar di Commedie, e di Scene; Le appenda il Gazzettier sempre all’uncino. Uno: perchè son due facciate piene Di storielle? un altro: oh! mal la intende Questo estensor con certe cantilene! Ed il diluvio infin così si estende, Che grida il pover’uomo a gran polmoni: Deus in adiutorium meum intende. E se non fosse il numero de’buoni che lo difende e sostenerlo vuole, Quasi per lui non ci sarien ragioni. Perchè mai della testa un girasole Uuolfi far da più d’un; nè si vergogna Di sue scipite fanciullesche sole? Colla ragion considerar bisogna Del Gazzettier le mire; e vedrà allora Più d’un, che in accusarlo certo sogna. Ei lascia i Gabinetti alla buon’ora, Le battaglie, le prede, la milizia, E parla della Patria ove dimora: Ch’è più necessità l’aver notizia Di ciò che accade ove si nasce e vive Che non è dell’America, o Gallizia. Non ad uno il dover lo circoscrive; Ma alla Toga, al mercante, alla Prebenda, Alla scena, a mill’altri ei parla e scrive. Quindi è d’uopo che ovunque egli si estenda Con novelle ed Articoli per tutti Onde non siavi chi con Lui contenda. S’ei così non facesse, i visi brutti E saria giusto allora ogni reclamo; Ma s’ei lo fà non gli negate i frutti. Antonio il vostro ben di cuore io bramo E colla verità per voi favello, Per voi che come amico onoro ed amo. Suonerò sempre Campana a martello, Taglierò peggio assai di Durlindana Onde la maldicenza abbia rovello, E intisichisca con febbre terzana. Parole del Gazzettiere. Il tratto di parziale gentilezza, ch’jeri dopo pranzo ebbimo dal pregiatissimo Sig. Giuseppe Foppa il quale ci onora della benevola sua amicizia esige dalla nostra gratitudine qualche risposta. La riserbiamo al Foglio del Mercordì p. v. e se non potremo in essa gareggiare d’ingegno, e d’estro poetico sarà almeno pari al suo il nostro vanto di candida ingenuità. Jeri strettamente all’ora medesima ci pervenne un Foglio occluso nel quale uno ne trovammo scritto in data de’14. Decembre dal nuovo Protomedico dell’Eccellentissimo Magistrato alla Sanità Sig. Dot. Calvi al suo Carissimo Amico il celebre Sig. Dot. Lotti. L’espressioni onorevoli riguardanti questo illustre Soggetto, che in una e nell’altra Lettera contengonsi ratificano quella vantaggiosa opinione, che abbiamo sempre avuta del sommo suo merito. Se il Foglio scirttogli dal Sig. Calvi non vede per opera nostra la luce delle Stampe dovrà scusarci chi a tal oggetto che l’ha inviato, in vista di que’riguardi, che troppo son necessarj al Compilatore della Veneta Urbana Gazzetta. Ghiaccio. Nel presente Secolo questa è la terza volta, che le gelate Lagune uniscono la Terra ferma alla nostra Isola Dominante. Assicurasi che il freddo del 1709. fosse maggiore di quello ch’ora sentiamo del quale però era minore quello del 1755. Lo spettacolo del transito pedestre da Mestre e Campalto a questa Città, del trasporto di viveri di ogni genere sul capo, sulle spalle, o strascinati con funi, è divenuto un oggetto di pubblica curiosità, che giornalmente chiama un folto concorso all’estremità della Capitale, ove hanno meta le venute, e i ritorni de’viaggiatori industriosi. Ve ne son molti tra questi, che passano da un luogo all’altro per puro divertimento, e non tutti di volgar condizione. Un Chierico della Chiesa di S. Leonardo Figlio del Sig. Antonio Buta Pub. Comandador jeri ebbe la fatalità di perire sotto il ghiaccio che cedette al peso del suo corpo, vicino all’Isoletta di San Secondo. Biglietto Scrivono da Treviso, che fra poco doveva soggiornarvi permanentemente il celebre Sig. Marzan. Se questa cosa tante volte detta, e ritrattata, si avvera, come si vuole, ritroveranno in esso i Grandi un Soggetto ornatissimo, i Letterati un Fisico profondo, e gli infermi un Esculapio in cui riporre tutta la confidenza. Cambj. Venerdì 2 corrente. Parigi 59 e un 8vo. Roma 62 e 3ti. Napoli 119. Livorno 100. Milano 155 e mezzo. Genova 93 e mezzo. Amsterdam 92 e un 4to. Londra 48 e 3 4ti. Augusta 101 e mezzo. Vienna 195 e mezzo. Morti. La N. D. Lugrezia Cappello Martinelli. L’Illustrissimo Sig. Valerio Bonetti.