Zitiervorschlag: Giovanni Ferri di S. Costante (Hrsg.): "La vedova sventurata", in: Lo Spettatore italiano, Vol.3\11 (1822), S. 40-43, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.1099 [aufgerufen am: ].


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La vedova sventurata

Zitat/Motto► Rendons grâces à Dieu qui fait de la charitè une vertu

(Bourdaloue).

Ringraziamo pur Dio che della carità ha fatto una virtù. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Ebene 3► Exemplum► L’ultima volta, diceva Aristo, che n’andai a Parigi, tolsi albergo in un quieto soggiorno, di costa al quale allo stesso piano abitava una giovine vedova con parecchi figliuoli. E perciocchè di poco eravamo divisi, io la udiva, e le prime parole furono queste: O Dio! pietà di questi figli, che sono tre dì che non ho pane. Tre dì, meco dissi, senza pane! ed a me ogni dì ne soprabbonda. Ah! qui si vuol veder modo da sovvenir la vedovella infelice senza offender la sua delicatezza.

Uscii, dopo desinare, tutto quanto immerso in questi pensieri, e giù per le scale m’abbattei nella sventurata famigliuola, di cui quella prima che mi si appresentò, fu una giovine di forme bellissima, ma pallida e consunta, e con una lacera veste addosso. Piagneva ella amarissimamente, tenendo i suoi sguardi fissi in un bambino, quasi spirante, che portava in braccio, ed in atto di profondo dolore sel riguardava. Una fanciulla di forse tre anni s’attenea al suo grembiale; e due figliuoletti per [41] li cinque e li sei anni tramendue le andavano avanti, l’uno un vasel d’acqua portando e l’altro un poco di pane.

Ho sempre considerati gli infelici con una specie di compassione religiosa: e però cortese e reverente, quanto ad una reina avrei potuto essere, mi feci indietro e li lasciai trapassare. Le ornate vesti a che tanto si fanno gli occhi pigliare della moltitudine, e che, più che non si crede, percuotono le fantasie, producono in tue contrario effetto. I panni logori e laceri sono l’assisa della infelicità: mi rammentano i tempi più felici di coloro che li portano, e dispongono il mio cuore in loro favore.

Tutto il tempo della mia breve passeggiata non ad altro ebbi l’animo, che a trovar via di recar un sollecito soccorso a quegli sventurati. Tornandomi a casa, m’avvenni giù per l’andito nel figlio maggiore della vedova, il quale era bello come l’innocenza, ed attrattivo a riguardar come l’infelicità non meritata. Avea egli in mano una gabbia, nella quale era chiuso un canarino. Dove andate, bel fanciullo, gli dissi io? Ah! signore, egli mi rispose, voglio soccorrere la povera mamma mia, se mi fia possibile. Vado a vendere questo uccelletto. Oh! se sentiste quanto canta bene! è peccato il venderlo: ma ne ricaverò forse qualche poco di danaro. Non ci rimane altro in casa da recare al mercato, e la povera Giulietta sta per morire. Dite, signor mio, che avrei a fare per ricavarne alcun prezzo? perciocchè se muore la sorella, mamma dice che ci vorrà una bara: ditemi di grazia, che cosa è la bara?

[42] Tanta pietà mi strinse di quel dolente e semplicetto fanciullo, che non potei rattenere il pianto. Involte quindi alcune monete d’oro in una cartuccia, glie le porsi che le recasse alla madre, nè desse via il suo caro uccelletto. Il garzoncello ringraziandomi baciò il canarino tra gli stecchi, e se ne andò correndo alla madre.

La mattina seguente andai a visitare la vedova: nè mi sento da tanto, che tutte le miserie che vi trovai, sapessi ritrarre. La trista madre seggendo a piangere la morta figliuola, s’immaginava ad ora ad ora che quella tuttavia respirasse. Piangevano gli altri figli intorno, di fame morendosi tutti e di freddo, poichè non avevano pane a mangiare, e grandissimo era il rigore della stagione. Sono oppressa, è vero, la vedova mi disse, sotto il peso della più dura stremità: ma non posso io prendere quello che rendere non potrei mai. Quando fia seppellita la mia povera Giulietta ora spirata, proseguì ella dirottamente piangendo, io mi riporrò al lavoro, e con la fatica mia sostenterò questi altri che mi rimangono. Io per me non patisco altro che il patir loro; ed allora mi si spezza il cuore veramente, quando gli ascolto piangere e dimandar del pane. Ah! sappiate, risposi, ch’io pure ho conosciute le sventure. Sono stato padre ancor io, ed ho pianto i figli, e perciò partecipo al vostro dolore. Non rispingete la mano soccorrevole dell’amicizia: vedete ch’io piango, e il pianto de’vecchi non è finto. Però, vi prego, accettate le mie cure, e fate un amico alla vostra [43] famiglia. La vedova allora mettendomi innanzi quegli infelici fanciulletti, disse loro: Figliuoli miei, abbracciate il vostro salvatore, il vostro padre. ◀Exemplum ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1