Zitiervorschlag: Giovanni Ferri di S. Costante (Hrsg.): "Il pericolo delle dilazioni", in: Lo Spettatore italiano, Vol.3\07 (1822), S. 26-30, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.1095 [aufgerufen am: ].


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Il pericolo delle dilazioni

Zitat/Motto► Pelle moras, brevis est magni fortuna favoris.

Sili. Ital.

Su su, che gran ventura indugia poco. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Ebene 3► Exemplum► Sul fine del passato autunno, narravami Filanto, aveva io meco proposto di andarne un dì a piedi a desinar da un mio amico che stava in un suo luogo forse sei miglia di lungi alla città: e per brevità della via, lasciandomi da lato la strada maestra, mi misi per un sentieruolo. Era la mattina asprissima, e spirava dalla parte di levante un vento sì rigido, che sotto i piedi m’era di foglie ogni cosa coperta, e la rimanente verdura andava a tutta la campagna mancando. Su per le frasche si stavan gli uccelletti pensosi e tristi dello innasprir del tempo, nè più l’aere rallegravano de’loro canti melodiosi; sicchè per tutto si piangea la venuta d’inverno.

Io camminava molto in fretta col cappello basso a cuoprirmi dal freddo la faccia, ed era andato forse tre miglia, quando mi venne all’orecchie una voce fioca, come di chi domandasse del pane; e perciocchè, siccome ho detto, gelato vento spirava, egli, oh Dio! mi si era fin nel cuore internato, e del suo natural caldo privandolo, me lo aveva impietrito ai dolorosi lamenti dell’estrema miseria che si moría di [27] bisogno. Nessun caso nell’animo mio fecero quelle preghiere; e se non fosse che per ventura convenne che io girassi gli occhi, mai non avrei veduto da cui venissero.

Stretto essendo il sentiero, un uomo ed una donna molto attempati con più figliuoli di seguito lo ingombrarono tutto ad un tratto sì fattamente, ch’ebbi da fermarmi alcun poco per dar loro il passo: ricominciò allora il poverello a chiedere, ma con sì languida e rotta voce, che appena s’intendeva. Rivolsi gli occhi a costui, e vidi tutte accolte nella sua persona le qualità della miseria. Giù per le guance smorte e piene di crespe distillavano lagrime di dolore; e la testa ben per gli anni, ma più per lo stento tutta biancheggiava. Era essa nuda ed esposta all’acerbità dell’aere, nè il suo stesso corpo dai pochi cenci che il coprivano n’era abbastanza difeso. L’umido, al quale era tutto tempo giaciuto, aveagli cagionato la febbre; e mi assicurò che non aveva da tre giorni ricevuto alcun soccorso, nè preso alcun ristoro di alimento. Nondimeno, diss’egli, lodato sia Iddio; poco più avrò da patire.

Andommi da sè la mano verso la borsa: ma sciagura fo che tutta quanta era abbottonata la mia palandrana, e li denari mi stavano sotto il farsetto; il perchè, essendomi in quel punto stato aperto il passo, dissi al poverello: Increscemi di non aver meco denari. Ed egli levò al cielo le ciglia e gittò un sospiro, come persona non che rampogni altrui, ma che si dia pace. Ebbi rossore di ciò dentro me stesso, e pure ripetei, benchè d’un tuono più dolce: Non ho [28] che darvi; e soggiunsi: Buon uomo, l’avrò quando ripasserò. Ed il vecchierello, non altrimenti che se io gli avessi fatta l’elemosina, mi mandò infinite benedizioni.

E mentre che io così me ne andava oltre, mi diceva la coscienza: questa è una bugia marcia, una bugia impudente. Non fu, rispondea l’amor proprio, non fu mentire: perchè quantunque egli siasi dipartito dal vero, di ciò può non solamente essere scusato, ma, all’effetto riguardando, eziandio commendato; ha egli, all’amaro del no che ha detto, misto il dolce della speranza che ha data, la quale essendo egli disposto di adempiere, avrà del suo operare l’approvazione dalla virtù. Erami il parlamento dell’amor proprio piaciuto, ma nel vero non m’avea persuaso. Riprensor più facondo è la coscienza, al cui consiglio, avvegnache adoperato non sia, convien dare udienza.

Proseguiva io la strada; ma molto nell’andar dubbioso, ora prestamente, quasi con la fretta avessi avuto a lasciarmi dietro gli acuti rimordimenti, ed ora pigramente, a guisa che io fossi tentato a ritornarmi, per quello ammendare che io sentiva essere peggio che fallo.

Ora il contrasto tra l’amor proprio e la coscienza non lasciommi, sinchè mi fui all’amico. Nè le accoglienze che egli e la sua donna ed i suoi amabili figliuoli mi fecero, nè la dolce vista di quella bene stante e virtuosa casa, mi poterono in pace porre lo spirito, nè di quella afflizione alleviarmi che onesta e sensibil persona ha dello avere alcuno error fatto, o alcun dovere del suo stato negletto. Imperciò come [29] fu venuto a fine il desinare, accommiatatomi dall’amico, mi ravviai alla volta della città, del tutto deliberato di servare la promessa al pover uomo il quale m’avea richiesto della carità la mattina, e di risarcirlo dell’indugio col raddoppiargli l’elemosina. Nè guari essendo già lontano al luogo ov’io abbandonato l’avea, conobbi ivi essere raunata gran gente: per la qual cosa io raffrettai il passo; e colà giunto, ed entrato per mezzo la calca, vidi cosa onde mi venne ribrezzo, e sì amara e crudel coscienza che non mi rimembra mai di tanto. Qui era quel povero vecchio, sopra nuda terra, già impallidito e senza muoversi, con la sola compagnia del suo can fedele, il quale in atto di non volere far toccare il corpo del suo signore, abbaiava ai riguardanti.

Mi accostai al misero vecchio per toccargli il polso, sperando non dovesse la virtù vitale essere tutta spenta. In quell’istante passò a caso per indi uno de’cerusici della città, e il pregai di aiutar, quanto sapea della sua arte, quell’infelice. Poscia lo feci prendere e portare al prossimo albergo, ove con gran cura gli furono usati tutti i rimedi, e fatte tutte le prove a rivocarlo in vita; ma, ohimè! indarno ogni cosa.

Volli sapere dal cerusico, che potesse essere stato la cagion di quella morte: ed ei mi rispose, che tutti i segni mostravano lui essere morto dalla fame. Gli dimandai allora, se gli parea che soccorrendolo tre o quattro ore innanzi, avesse potuto resistere e rimanere in vita: e quei disse, che di ciò non era da dubitare.

[30] Dato alcun ordine a far sotterrare lo sventurato, io tutto pensoso e turbato dell’orribil caso, me ne rivenni, a me stesso dolendomi d’aver lasciato morire un par mio, per pigrizia, e per ischivare un piccolissimo incomodo, negandogli un’aita che di presente gli potetti porgere. Ahimè da quanti rimorsi mi sentii straziare il cuore! oh come indegno e vile mi riconobbi! Deh! quanti son mai gli errori, dissi meco, che possono cader nelle menti degli uomini! Essi della mia pietà e della mia liberal sollecitudine mi pregiano tanto, ed io, solo io, sono stato cagion di morte a quel miserabile! ◀Exemplum ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1