Zitiervorschlag: Giovanni Ferri di S. Costante (Hrsg.): "Il sedutor pentito", in: Lo Spettatore italiano, Vol.2\82 (1822), S. 421-426, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.1087 [aufgerufen am: ].


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Il sedutor pentito

Ebene 2► Ebene 3► Exemplum► O quanti danni, amico mio dolce, mi diceva il giovinetto Ormondo, la seduzione dietro si tira! Avrete voi per udita saputo, come io recai a’miei piaceri e corruppi la figliuola di un contadino da bene, mio mezzaiuolo; e come, per tener nascosti gli effetti della nostra usanza, io la tolsi dalla casa paterna, e nella metropoli ne la menai. Ora, conciofossechè mi convenisse far un viaggio di tre mesi, alla fede e guardia d’un uomo e di una femmina stati gran tempo al mio pane la commendai. Quando fui repatriato, trovai che quei disleali guardiani avevan fatta lor propria la roba che io per servigio di lei aveva lasciata, e senza pietà l’avevano scacciata via, nè più erano rappariti. Fui come disperato; perocchè, oltre al dolore d’aver perduta la bellissima mia Nella, mi pungea coscienza di averla derelitta in un mar di guai. Sicchè io compreso e infestato dai rimordimenti e dalla malinconia, avendone molto ed indarno cercato, cominciai a fastidire la stanza della città, e me n’uscii fuora per ricogliermi alla mia villa. Quivi nè compagnia d’amici, nè piacer di caccia, nè diletto di leggere ebbero virtù di farmi sentire alcun conforto, o consolazione, o di operare che l’immagine della mia cara donna, fatta per mia colpa infelice, non mi fosse sempre davanti. Anzi [422] parendomi reamente fare, se pur tentato avessi di sbandirla dalla mia mente, io trovava certo refrigerio nel solamente sostener le pene che io poteva a lei aver procacciate. Il perchè ogni cosa che lei m’avesse alla memoria tornata, m’era sommamente cara; e per più abbandonarmi al rammarico ed al dolore, d’altro non era io vago, se non delle solinghe dimore.

Avvenne che un dì ad un vallone, poche miglia al mio campestre abituro lontano, me n’andai. Quivi l’uomo si crede diviso da tutto il mondo; sì è selvatico il luogo: ond’io mi diedi a riguardare la contrada intorno, che mirabil cosa è a vedere, essendovi rocce superbe e stagliate, antichissime selve e ruine d’acque smisurate. Nel profondo del burrone mi venne un piccolo casale veduto, ricoperto presso che tutto dai circostanti alberi, e con esso una chiesuola, cui un campanile alto soprastava. Tenni una vietta la quale al casal se ne andava: e prima che a questa chiesa arrivassi, vidi una badia tutta caduta e disfatta, ma non sì che non mostrasse quella più dall’umano furore che dalle ingiurie del tempo essere stata consunta. Invaghito di considerar questo gotico monumento, smontai di sella e legai il cavallo alla inferriata del cimiterio. Ed ecco suonò a morto la campana della chiesetta, e nell’istesso tempo m’andarono gli occhi ad un segreto sentiero, per onde vidi venir passo passo verso la chiesa un mortorio. Avendomi la scura solennità da ogni altro pensier dipartito, per veder trapassare la funeral processione me ne entrai nel cimiterio.

[423] Sei donzellette bianco vestite, recando ciascuna un mazzolino di fiori in mano, la bianca coltre, onde la semplice bara era coperta, sostenevano; ed altrettanti garzoncelli la bara di fiori sparsa portavano. La semplicità, la divozione e la mestizia di questo drappelletto rendevano quella vista anche più commovente. Io avvisava, quella a cui l’esequie erano fatte, dovere alcuna figliuola essere in verde tempo dalla morte rapita; ma mi dava da maravigliar forte il non vedere chi, di lutto vestito, lei alla sepoltura accompagnasse; perciocchè non le veniva dietro che una piccola schiera di femmine e di fanciulli, i quali mostrava che per ventura vi fossero concorsi. Di che io stupefatto, cominciai fra me stesso a dire: O Dio! non ha alcun congiunto costei? Non ha ella amici? Non ha uno amante? E mentre che io volgeva in mente questi pensieri, il mortorio trapassò a poco a poco, ed entrò nella chiesa. Allora surtomi talento ardentissimo di sapere il nome della morta giovane, e alcuna cosa della sua fortuna, m’accontai con una femminetta antica, la quale erbe ed altri rimedi andava su per lo cimiterio trovando, dicendole: Avete voi veduto quell’onorevole mortorio? Per cortesia, se sapete, ditemi, non ha quella giovanetta parenti nè amici; che io non ci veggo un abito bruno? È ella di questo contado? Oh poverella! rispose la buona vecchia: Confido che oggimai ella goda di pace, e il suo parvoletto altresì; perciocchè ella ed egli sono nella medesima bara; ed io che a su porveli ho dato aiuto, vi giuro che più bei corpi e meglio fatti mai non videro [424] gli occhi miei. Quivi mi prese, e non so perchè, un gelo, e forte incominciai a tremare; e incitato da una forza alla qual non potei contrastare, mi feci pure a dimandare l’antica femmina, chi quella sventurata fosse, e dove avesse casa. Signore, mi rispose, non vi potrei dire di sua condizione: ma la mulinaia Oretta, in casa cui ella si riparava, e tutto il contado tiene che la cattivella sia stata sedotta da alcun gran signore e poscia abbandonata: il che, se ver fosse, sana stata opera da molto malvagio e crudel uomo. Amico mio, oh quanto patii in quel punto! La buona femmina quante parole elle cosiffatte diceva, di tante coltella parea che per lo petto mi desse. Dio buono! gridai dentro da me, sarebbe ella per isciagura la mia Nella? Voi sapete che non è mestieri alla mala coscienza chi l’accusi. Pur con tremante voce continuai: Ditemi di grazia, quant’è che ella dimorava in questo contado? non m’avete detto che aveva un fanciullo? Io, soggiunse la vecchia, vi dirò, signor mio, tutto quello che me n’è noto. Da forse un mese e mezzo costei ci capitò, e tolse una cameretta a pigione dalla mulinaia Oretta. Della sua bellezza, non ostante che una fiera malinconia molto consumata l’avesse, faceva ciascun che la vedea meravigliare. Piagneva continuo e si macerava nell’amarezza, nè a reggere la sua vita pur un soldo si ritrovava: il che non potendo ella più celato tenere, le convenne ogni sua roba vendere; ed io ne comperai questa crocetta; e me la porse. Non vi posso dir, caro amico, quanto mi disperassi, ravvisando quella essere una croce la [425] quale io con altre gioie, nel principio della nostra dimestichezza, aveva donata alla povera mia Nella. Seguitò la vecchiarella a dimostrarmi, come dopo infinito affanno la Nella era morta di parto, e come il fanciullo poche ore era vivuto sopra l’infelice madre.

E mentre che ella andava oltre nel raccontare, entrò il mortorio nel cimiterio, dirizzandosi ad una fossa cavata sotto un grande albero di quercia. Gran fatto fu egli che in sì forte punto io i miei commovimenti non manifestassi: ma dolore sentii inestimabile, quando lessi in su la bara queste lettere: Nella A * * di anni diciannove, e quando lei vidi porre sotterra. Lagrimarono e infiorarono la sepoltura le verginelle, e poscia tutta la compagnia se ne partì. Ond’io rimaso solo, inginocchiatomi, cominciai il pianto dirotto sopra il terreno che la mia Nella ed il figliuolo, sciagurato pegno del nostro consentito amore, copriva. Ohimè! dicendo, ohimè lasso! non ho io morta la mia Nella? sì, son io che ti ho anzi ora inviata al sepolcro. O infelice, tu ti tirasti sin quivi a soggiornare per la speranza di trovare in queste contrade il tuo amante, e v’hai trovata la morte. Oh Dio! che tu ne sei andata sotterra con la certezza d’averti io dislealmente messa in oblio, nè questo ha potuto torre che tu fino a’sospiri estremi non mi amassi.

A fatica dal dolente luogo mi divelsi, e n’andai alla casa ov’era morta la Nella, per alcuna altra particolarità della sua fiera storia sentire. La vedovella Oretta, piangendo, mi ragionava della dolcezza, della bontà, della costanza di [426] questa bella giovanetta; e mi contava come innanzi che a casa sua pervenisse, aveva avuto la Nella a sostener tutte le gravezze e li distrignimenti della povertà: e non potendo la miserella con le proprie braccia tanto guadagnare, quanto la sua vita sofferisse, aveva ogni sua cosa venduta, tranne un anello il quale ella diceva di non volere a verun patto da sè partire. Ahi! che quello era l’anello il quale ella per monumento e sicurtà del nostro inseparabil consorzio avea da me ricevuto.

Voi, amico, il sapete; io non fui mai de’disonesti e degli sfrenati, anzi ho sempre pregiata la virtù ed abborrito il vizio; non per tanto l’essermi lasciato soggiogare ad una sconvenevole passione, vedete quanto mi fa reo! Quanti mali ho io fabbricati! mali, oh Dio, senza redenzione! Oh! potessi almeno col pentimento purgarli! potesse il lagrimar che io faccio sulla tua tomba, o mia Nella, il perdono delle offese che da me avesti, impetrarmi, e far che un’occhiata di compassione e di benivoglienza tu mi conceda! ◀Exemplum ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1