La pazienza Giovanni Ferri di S. Costante Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Alexandra Kolb Editor Jürgen Holzer Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 19.12.2016

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Ferri di S. Costante, Giovanni: Lo Spettatore italiano, preceduto da un Saggio Critico sopra i Filosofi Morali e i Dipintori de’Costumi e de’Caratteri. Milano: Società Tipografica de’Classici Italiani 1822, 255-259 Lo Spettatore italiano 2 48 1822 Italien
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La pazienza

Qui se ultro morti offerantur, facilius reperiuntur,quam qui dolorem patienter ferant

Jul. Caes..

Si trovano facilmente di quelli che offrono volontariiil petto alla morte, ma pochi ci ha che sostenersappiano pazientemente il dolore.

È l’umana natura soggetta ad inestimabile quantità di mali che indarno ci faticheremmo di fuggire; perocchè ce ne può ben la ragione infievolire, ma non ischermire i colpi. Se usbergo o scudo da contrapporre ci ha, egli è pur la pazienza, la quale il crescer delle pene impedisce, e l’amarezza ne mitiga, ed a ritenere la tranquillità dello spirito ne soccorre.

Nulla cosa allo sventurato si disdice più che l’impazienza e l’iracondia; conciossiachè gl’impeti loro spesse volte empii siano, e altro non facciano che rendere i nostri mali più gravi. Se la miseria che ne preme, si è per opera nostra acquistata, debito uffizio nostro è la pazienza; perciocchè a niuno è lecito di ciò che per sua colpa il percuote, rammaricarsi. Se noi siamo sicuri di non aver fabbricato a noi stessi le nostre sciagure, se contra merito nostro battuti siamo, allora è agevole usar pazienza, poichè nè la considerazione nè i rimorsi ce ne crescono l’amarezza.

Fra tutti i mali possibili a medicare, bisogna guardarsi dall’impazienza, perocchè si perde, nello affliggersi, quel tempo e quell’opera che se fossero bene occupati, ne potrebbono la cagione rimuovere. Sia qual vi vogliate il male che la Provvidenza ne distribuisce, siccome la bruttezza o la perdita di qualche sentimento e la vecchiezza sarebbe; ricordici che l’impazienza non può altro operare, se non torne quella consolazione della quale il nostro stato è capace, e allontanar da noi quelle persone la cui conversazione o i cui consigli ne potrebbero porgere refrigerio e soccorso.

L’uomo impaziente è molte volte malcontento e infelice in mezzo alla società che gli porge continuamente cagioni di turbamento e di tristezza, poichè la pace sua dipende da qualunque il voglia travagliare. E però un vecchio filosofo affermò, essere un mal grande il non poter sostenere male alcuno, e convenirsi patire per patir meno.

La pazienza è figlia del coraggio e della ragione. La ragione sopporta le avversità, il coraggio le combatte, la pazienza le supera. La pazienza è una di quelle virtù che portano seco sempre il guiderdone, perciocchè nell’atto stesso di usarle se ne sperimentano i benefizi.

Nemica della disperazione è la pazienza; ond’è che i cristiani per una grazia celestiale, i filosofi per l’estremo sforzo di alto e fermo animo la conoscono. Ma che cosa è la pazienza de’filosofi, al dir d’un sano oratore, se si paragona a quella de’cristiani? Ella è la sofferenza degli schiavi che in pace portano la loro catena; un sentimento che facendo conoscere l’inutilità della ribellione, pone un duro freno ai moti dell’animo, e in luogo di confortarlo, altro non gli lascia che una trista e fiera afflizione. La pazienza dei cristiani è più soave cosa. È il braccio paterno che batte, ed essi ne sostengono i colpi; non altrimenti che un figlio il quale conosca la bontà di colui che lo riduce a soffrire, ma non a modo degli schiavi, alle più bizzarre e più tiranniche rigidezze sottoposti. E non l’inutilità della ribellione, ma l’ingiustizia gli affrena; e cosiffatta pazienza altro non è che una rassegnazion di cuore piena di conforto e di dolcezza.

Era Forzio nella pazienza virtuoso; e fanciullo ancora ebbe tanta affezione a’suoi genitori, che diventava partecipe d’ogni loro infortunio. Ben per tempo incominciò ad essere sensibile; e sapendo che fosse afflizione, come che nuovo alle disavventure, prima che provasse il male, si assuefece a sofferirlo. S’indirizzò Forzio per le lettere; e i buoni avvenimenti degli studi suoi gli dettero speranza di altri migliori in un più grande teatro, e si avvisò da principio potersi far molto onore. Egli pubblicò un’opera assai buona; ma perchè non aveva le presenti opinioni adulate, nè avea pregati dei loro suffragi coloro che fan traffico di lodi, ella gli è rimasa nel dispregio e quasi nell’oblivione. Questa fu la prima avversità di Forzio nella sua vita; avversità pungente in vero, ma nulla bastevole a farlo una volta trovare a lamentarsi o del torto dei letterati, o della sconoscenza del pubblico. Forse che in avvenire, diceva egli, sarà la mia opera conosciuta; e forse un’altra volta avrò fortuna.

Forzio ha patito tante sciagure nel privato vivere, che non gli hanno dato mai pace. Gli hanno congiurato contro e la morte d’una amorosa moglie, ed una ostinata malattia che io ha dipartito dagli studi, ed i fallimenti continui delle sue speranze: ma che lo ha mai scosso? Filosofia e religione lo hanno armato di tanta costanza, che quante fiate ho io avuto a vederlo, tante gli ho trovato l’aspetto sereno e ridente. Sente egli le punture delle sue pene, ma non se ne perturba, nè rammarica; e lo giudicherebbe senza sentimento chi vivissimamente sensibile e delicato nol conoscesse; sì forte ed animoso hallo renduto la pazienza.

Egli è più peravventura agevole trovar delle femmine che con maravigliosa laude s’ornano di cosiffatta virtù in grado eroico; perchè nella continua soggezione in che si trovano ristrette, ad esse più che agli uomini ne bisogna, ed a loro è più materia data di usarla. Pare che di esse un Padre di santa Chiesa abbia inteso di favellare, quando disse: “Voi potete avere il martirio senza la flagellazione, se pazienti sarete.” Costanza, bella e virtuosa donna sopra qualunque altra, ebbe suo mal grado per marito un uomo fiero, stizzoso e tristo, che non la meritava. Costui la costringe ad essere delle sue turpitudini testimone, la tratta come una schiava, e così di ogni conforto come di ogni onesto sollazzo la tiene privata. Costanza sì indegnamente malmenata, pur dura a tutto e si ritiene santamente entro i termini del dover suo: sempre mansueta e sottomessa alle bizzarrie d’un mostro crudele, tollera una incessante battaglia contro i suoi sentimenti, senza esser nè veduta nè compianta. È vero che a guadagnarsi la corona del martirio basta uno sforzo solo di virtù; ma la rassegnazion di Costanza è un sopportar mille tormenti, più amari che la stessa morte.

La pazienza Qui se ultro morti offerantur, facilius reperiuntur,quam qui dolorem patienter ferant Jul. Caes.~k. Si trovano facilmente di quelli che offrono volontariiil petto alla morte, ma pochi ci ha che sostenersappiano pazientemente il dolore. È l’umana natura soggetta ad inestimabile quantità di mali che indarno ci faticheremmo di fuggire; perocchè ce ne può ben la ragione infievolire, ma non ischermire i colpi. Se usbergo o scudo da contrapporre ci ha, egli è pur la pazienza, la quale il crescer delle pene impedisce, e l’amarezza ne mitiga, ed a ritenere la tranquillità dello spirito ne soccorre. Nulla cosa allo sventurato si disdice più che l’impazienza e l’iracondia; conciossiachè gl’impeti loro spesse volte empii siano, e altro non facciano che rendere i nostri mali più gravi. Se la miseria che ne preme, si è per opera nostra acquistata, debito uffizio nostro è la pazienza; perciocchè a niuno è lecito di ciò che per sua colpa il percuote, rammaricarsi. Se noi siamo sicuri di non aver fabbricato a noi stessi le nostre sciagure, se contra merito nostro battuti siamo, allora è agevole usar pazienza, poichè nè la considerazione nè i rimorsi ce ne crescono l’amarezza. Fra tutti i mali possibili a medicare, bisogna guardarsi dall’impazienza, perocchè si perde, nello affliggersi, quel tempo e quell’opera che se fossero bene occupati, ne potrebbono la cagione rimuovere. Sia qual vi vogliate il male che la Provvidenza ne distribuisce, siccome la bruttezza o la perdita di qualche sentimento e la vecchiezza sarebbe; ricordici che l’impazienza non può altro operare, se non torne quella consolazione della quale il nostro stato è capace, e allontanar da noi quelle persone la cui conversazione o i cui consigli ne potrebbero porgere refrigerio e soccorso. L’uomo impaziente è molte volte malcontento e infelice in mezzo alla società che gli porge continuamente cagioni di turbamento e di tristezza, poichè la pace sua dipende da qualunque il voglia travagliare. E però un vecchio filosofo affermò, essere un mal grande il non poter sostenere male alcuno, e convenirsi patire per patir meno. La pazienza è figlia del coraggio e della ragione. La ragione sopporta le avversità, il coraggio le combatte, la pazienza le supera. La pazienza è una di quelle virtù che portano seco sempre il guiderdone, perciocchè nell’atto stesso di usarle se ne sperimentano i benefizi. Nemica della disperazione è la pazienza; ond’è che i cristiani per una grazia celestiale, i filosofi per l’estremo sforzo di alto e fermo animo la conoscono. Ma che cosa è la pazienza de’filosofi, al dir d’un sano oratore, se si paragona a quella de’cristiani? Ella è la sofferenza degli schiavi che in pace portano la loro catena; un sentimento che facendo conoscere l’inutilità della ribellione, pone un duro freno ai moti dell’animo, e in luogo di confortarlo, altro non gli lascia che una trista e fiera afflizione. La pazienza dei cristiani è più soave cosa. È il braccio paterno che batte, ed essi ne sostengono i colpi; non altrimenti che un figlio il quale conosca la bontà di colui che lo riduce a soffrire, ma non a modo degli schiavi, alle più bizzarre e più tiranniche rigidezze sottoposti. E non l’inutilità della ribellione, ma l’ingiustizia gli affrena; e cosiffatta pazienza altro non è che una rassegnazion di cuore piena di conforto e di dolcezza. Era Forzio nella pazienza virtuoso; e fanciullo ancora ebbe tanta affezione a’suoi genitori, che diventava partecipe d’ogni loro infortunio. Ben per tempo incominciò ad essere sensibile; e sapendo che fosse afflizione, come che nuovo alle disavventure, prima che provasse il male, si assuefece a sofferirlo. S’indirizzò Forzio per le lettere; e i buoni avvenimenti degli studi suoi gli dettero speranza di altri migliori in un più grande teatro, e si avvisò da principio potersi far molto onore. Egli pubblicò un’opera assai buona; ma perchè non aveva le presenti opinioni adulate, nè avea pregati dei loro suffragi coloro che fan traffico di lodi, ella gli è rimasa nel dispregio e quasi nell’oblivione. Questa fu la prima avversità di Forzio nella sua vita; avversità pungente in vero, ma nulla bastevole a farlo una volta trovare a lamentarsi o del torto dei letterati, o della sconoscenza del pubblico. Forse che in avvenire, diceva egli, sarà la mia opera conosciuta; e forse un’altra volta avrò fortuna. Forzio ha patito tante sciagure nel privato vivere, che non gli hanno dato mai pace. Gli hanno congiurato contro e la morte d’una amorosa moglie, ed una ostinata malattia che io ha dipartito dagli studi, ed i fallimenti continui delle sue speranze: ma che lo ha mai scosso? Filosofia e religione lo hanno armato di tanta costanza, che quante fiate ho io avuto a vederlo, tante gli ho trovato l’aspetto sereno e ridente. Sente egli le punture delle sue pene, ma non se ne perturba, nè rammarica; e lo giudicherebbe senza sentimento chi vivissimamente sensibile e delicato nol conoscesse; sì forte ed animoso hallo renduto la pazienza. Egli è più peravventura agevole trovar delle femmine che con maravigliosa laude s’ornano di cosiffatta virtù in grado eroico; perchè nella continua soggezione in che si trovano ristrette, ad esse più che agli uomini ne bisogna, ed a loro è più materia data di usarla. Pare che di esse un Padre di santa Chiesa abbia inteso di favellare, quando disse: “Voi potete avere il martirio senza la flagellazione, se pazienti sarete.” Costanza, bella e virtuosa donna sopra qualunque altra, ebbe suo mal grado per marito un uomo fiero, stizzoso e tristo, che non la meritava. Costui la costringe ad essere delle sue turpitudini testimone, la tratta come una schiava, e così di ogni conforto come di ogni onesto sollazzo la tiene privata. Costanza sì indegnamente malmenata, pur dura a tutto e si ritiene santamente entro i termini del dover suo: sempre mansueta e sottomessa alle bizzarrie d’un mostro crudele, tollera una incessante battaglia contro i suoi sentimenti, senza esser nè veduta nè compianta. È vero che a guadagnarsi la corona del martirio basta uno sforzo solo di virtù; ma la rassegnazion di Costanza è un sopportar mille tormenti, più amari che la stessa morte.