Il sepolcro solitario Giovanni Ferri di S. Costante Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Alexandra Kolb Editor Valentina Rauter Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 19.12.2016

o:mws-117-1147

Ferri di S. Costante, Giovanni: Lo Spettatore italiano, preceduto da un Saggio Critico sopra i Filosofi Morali e i Dipintori de’Costumi e de’Caratteri. Milano: Società Tipografica de’Classici Italiani 1822, 384-386 Lo Spettatore italiano 4 69 1822 Italien
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Il sepolcro solitario

Un tombeau est un monument placè sur les limitesdes deux mondes

(Bernardin de S. Pierre).

È la tomba un monumento posto sul confin di questomondo e dell’altro.

N’andando Eugenio ed io al casale di Belprato per confortare un nostro amico che poco innanzi perduto avea il suo figliuolo unico. Nello scendere noi giù per un poggetto scosceso e repente ci si ruppe sotto una ruota della vettura, onde ci convenne smontare, acciò fosse racconciata. Mentre aspettavamo, ci venne in animo di passeggiare in una ricca valle che ivi era sotto ai nostri occhi; ed inoltratici ne si discoprì a mancina del collicello un salvatico e profondo burrone, la cui apparenza essendo assai conforme alla malinconia ond’eravam compresi, a sè ci trasse senza quasi che ce ne accorgessimo. Quivi nel mezzo era la capanna di un lavoratore da fronzuti alberi circuita, di là dalla quale, non molto lungi, sedeva un vecchio sopra un avello, e piangeva. Tacito il luogo era e romito molto, e di sopra avea una dirupata roccia di piante folte ed antiche adombrata, e sotto partoriva un ruscelletto di chiara e delicata acqua. Secondo le ripe del canale era pieno di spessi arboscelli, i quali colli molti rami conserti insieme, e sparsi occultavano certe fiate il suo ritorto andare.

Certo il vedere l’albergo de’morti, e massimamente di coloro a’quali hanno dato guerra le sciagure, suole negli animi indurre una reverenza ed una religione che sopra le mondane vanità si sublima. Queti e piani colà presso venimmo, ove un salcio piangente, che insegna è di lutto, chinava la cima sopra la tomba posta lunghesso il ruscelletto, sulla quale nell’uno de’canti del coperchio stavasi il villanello assiso, che tutto al piangere occupato non parve di noi essersi accorto. In su quella pietra era scritto il seguente epitaffio:

Qui dentro si giace Carolina, figliuola del vecchio Lamberto, e ristoro della costui mancante vita. Non conoscendo tutto ciò che per li mondani si chiama piacere, qui nel suo fior vivea, come in sicura solitudine una rosa. Ma dalle sciagure e dagli affanni soprappresa, come una rosa appassì e morissi.

Fece questa lettura al mio amico un gran sospiro gettare, che venne sentito al vecchiarello, il quale dalla sua alta alienazione riscuotendosi, e su dal sasso a poco a poco drizzando il capo, volsesi a noi, e ci cominciò fissamente a guardare, e poi con voce tremante: Voi, disse, non conoscete la mia Carolina.

V’ha qui forse portati quella indiscreta curiosità che alcuni suol trarre a turbare il recesso de’miserabili, e non a recar loro consolazione ed aita. La mia Carolina era tutto per me. Al viver nostro, alla nostra benavventuranza bastava la sola industria del suo marito, il quale dopo ci fu tolto per forza, e condotto in guerra. Pervenuto in Alemagna, egli vi fu ucciso, e la Carolina altresì tosto fu uccisa dal dolore: nè il dolore, nè la vecchiezza hanno potuto ancora consumare la vita mia!

Venne intanto un garzoncello, e postosi di fianco al vecchio a sedere, cominciò con esso dirottamente a piangere. Questi era il suo nipote, figliuolo della sciagurata Carolina. Ma venendoci oramai troppo stringendo la pietà di costoro, Eugenio messe in man del fanciullo una moneta d’argento, e taciti e lenti ce ne tornammo alla vettura che ci aspettava, nella quale saliti ambedue, commossi ed afflitti seguimmo il nostro cammino.

Ecco, diceva fra i sospiri Eugenio, ecco i danni e le miserie della guerra: che non dimostra i suoi dolorosi effetti solamente nel campo dell’uccisione e dello sterminio, ma li produce infino alle pacifiche capanne, e quelle in angoscia mette ed in disperazione.

Il sepolcro solitario Un tombeau est un monument placè sur les limitesdes deux mondes (Bernardin de S. Pierre~k). È la tomba un monumento posto sul confin di questomondo e dell’altro. N’andando Eugenio ed io al casale di Belprato per confortare un nostro amico che poco innanzi perduto avea il suo figliuolo unico. Nello scendere noi giù per un poggetto scosceso e repente ci si ruppe sotto una ruota della vettura, onde ci convenne smontare, acciò fosse racconciata. Mentre aspettavamo, ci venne in animo di passeggiare in una ricca valle che ivi era sotto ai nostri occhi; ed inoltratici ne si discoprì a mancina del collicello un salvatico e profondo burrone, la cui apparenza essendo assai conforme alla malinconia ond’eravam compresi, a sè ci trasse senza quasi che ce ne accorgessimo. Quivi nel mezzo era la capanna di un lavoratore da fronzuti alberi circuita, di là dalla quale, non molto lungi, sedeva un vecchio sopra un avello, e piangeva. Tacito il luogo era e romito molto, e di sopra avea una dirupata roccia di piante folte ed antiche adombrata, e sotto partoriva un ruscelletto di chiara e delicata acqua. Secondo le ripe del canale era pieno di spessi arboscelli, i quali colli molti rami conserti insieme, e sparsi occultavano certe fiate il suo ritorto andare. Certo il vedere l’albergo de’morti, e massimamente di coloro a’quali hanno dato guerra le sciagure, suole negli animi indurre una reverenza ed una religione che sopra le mondane vanità si sublima. Queti e piani colà presso venimmo, ove un salcio piangente, che insegna è di lutto, chinava la cima sopra la tomba posta lunghesso il ruscelletto, sulla quale nell’uno de’canti del coperchio stavasi il villanello assiso, che tutto al piangere occupato non parve di noi essersi accorto. In su quella pietra era scritto il seguente epitaffio: Qui dentro si giace Carolina, figliuola del vecchio Lamberto, e ristoro della costui mancante vita. Non conoscendo tutto ciò che per li mondani si chiama piacere, qui nel suo fior vivea, come in sicura solitudine una rosa. Ma dalle sciagure e dagli affanni soprappresa, come una rosa appassì e morissi. Fece questa lettura al mio amico un gran sospiro gettare, che venne sentito al vecchiarello, il quale dalla sua alta alienazione riscuotendosi, e su dal sasso a poco a poco drizzando il capo, volsesi a noi, e ci cominciò fissamente a guardare, e poi con voce tremante: Voi, disse, non conoscete la mia Carolina. V’ha qui forse portati quella indiscreta curiosità che alcuni suol trarre a turbare il recesso de’miserabili, e non a recar loro consolazione ed aita. La mia Carolina era tutto per me. Al viver nostro, alla nostra benavventuranza bastava la sola industria del suo marito, il quale dopo ci fu tolto per forza, e condotto in guerra. Pervenuto in Alemagna, egli vi fu ucciso, e la Carolina altresì tosto fu uccisa dal dolore: nè il dolore, nè la vecchiezza hanno potuto ancora consumare la vita mia! Venne intanto un garzoncello, e postosi di fianco al vecchio a sedere, cominciò con esso dirottamente a piangere. Questi era il suo nipote, figliuolo della sciagurata Carolina. Ma venendoci oramai troppo stringendo la pietà di costoro, Eugenio messe in man del fanciullo una moneta d’argento, e taciti e lenti ce ne tornammo alla vettura che ci aspettava, nella quale saliti ambedue, commossi ed afflitti seguimmo il nostro cammino. Ecco, diceva fra i sospiri Eugenio, ecco i danni e le miserie della guerra: che non dimostra i suoi dolorosi effetti solamente nel campo dell’uccisione e dello sterminio, ma li produce infino alle pacifiche capanne, e quelle in angoscia mette ed in disperazione.