La musica Giovanni Ferri di S. Costante Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Alexandra Kolb Editor Valentina Rauter Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 30.11.2016

o:mws-117-1092

Ferri di S. Costante, Giovanni: Lo Spettatore italiano, preceduto da un Saggio Critico sopra i Filosofi Morali e i Dipintori de’Costumi e de’Caratteri. Milano: Società Tipografica de’Classici Italiani 1822, 108-115 Lo Spettatore italiano 4 15 1822 Italien
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La musica

Non haec a me probatur musica, quae nunc in scenis effeminata quidquid in nobis roboris virilis ma-nebat maxime excidit; sed ea qua olim viri fortesvirorum fortium laudes canebant

(Quintil.).

Non si approva per me quella musica effemminata, siccome è ora nelle scene, la quale ogni viril vi-gore rimastoci ha sradicato; ma quella onde per antico i prodi cantavano le laudi dei prodi.

“La musica è stata sempre la consolazione del viver mio, e pietà mi stringe di coloro a’quali questo angelico diletto non è noto. Io quando alla voce della donna mia infondono della lor melodia e Sarti, e Paesiello, e Cimarosa, ho per male d’essere d’un senso solo fornito per ricevere le loro impressioni, e di un’anima sola per sentirle e gustarle.”

In questo modo manifestava la grande affezione che aveva alla musica Melorio, presenti Filarmo e Miscorde; l’uno intendente amatore, l’altro salvatichetto anzi che no di questa incantevole arte.

Miscorde

Ecco frenesia d’uomo, che nè bella nè divina cosa ci sa trovare fuor che la musica: e imperciò non solamente egli dà credenza alla virtù che negli antichi secoli aveva quest’arte sopra le persone, ma porta fermissima opinione essersi Orfeo gli ascoltanti alberi non che le fiere dietrosi tratte, ed Anfione avere con la sonante lira raunate le pietre a murar Tebe.

Melorio

Non vogliamci brigare di favole, le quali avvegnachè immaginate sieno, fanno pur fede della potenza della musica; ma poniam mente alle storie che infiniti esempi di questo contengono. Affermano i vecchi e sapienti storici, de’quali è il discreto Polibio, che a dimesticare la selvaggia Grecia fu mestieri la musica: Platone ed Aristotele, oppostissimi nelle loro opinioni, s’accordano mirabilmente nel riconoscere la virtù della musica. Potrei dire ancora che fra gli antichi la musica non aveva minor potenza sopra il corpo che sopra lo spirito degli uomini. Testimonia Pindaro che Esculapio per forza d’armonia soleva scacciare alcune infermità; ed Asclepiade, Empedocle, Senocrate e Galeno hanno ordinato contro le malattie, così del corpo come dell’anima, che si adoperi la musica.

Miscorde

Sono costretto di credere, tutte queste meraviglie della musica dover esser iperboli ridicole, quantunque volte ripenso che agli antichi sconosciuto era il contrappunto, ed i loro strumenti sì semplici, che si dura fatica a comprendere come potessero rendere una comportabile armonia.

Filarmo

Veramente io, per la semplicità sola degli strumenti e della musica, di leggier credo essere stato vero anticamente quel suo sovrano potere il quale non si trova nei moderni. Questi, per soverchio arricchirla, l’hanno fatta divenire meno movente; e però più maestrevole armonia e più perfetti istrumenti fanno la nostra musica più festevole e magnifica, ma insieme ancora meno acconcia ad incitare gli affetti. Or questa facoltà di suscitar le passioni che possiede la musica, non da altro procede che dal fedelmente rassembrar la natura, cioè dall’esprimer più veracemente il natural suono che esce di bocca all’uomo, quando gagliarde passioni lo affaticano. Per la qual cosa quanto nell’armonia è più d’artificio e di avvolgimento, tanto più ella via dall’accento appassionato dipartesi. Non è dunque più da farsi meraviglia, se non ostanti le divizie dell’armonia i petti rimangono freddi e saldi, per non aver trovata veruna similitudine dal modo d’imitare alla cosa imitata.

Che la musica smarrisca la sua facoltà di stimolar le passioni, secondo che si rimuove dalla prima sua semplicità, fa argomento eziandio l’esempio degli antichi. Prima hanno contato, come essendo ancora ruvidi e feroci i costumi de’Greci, ella sospese le fiumane, mansuefece le tigri, edificò Tebe alla voce della cetera; le quali cose furono tutte figure pensate a mostrare la maravigliosa signoria che dentro gli animi de’popoli ella s’avea presa per opera di Lino, d’Anfione e di Orfeo. Appresso mutata un poco, ma tuttavia semplice e inseparabil compagna della poesia, venne ella spirando i canti d’Omero, d’Esiodo, d’Archiloco, di Tirteo, di Simonide e di Saffo. Ella divenne una con la natura e con i costumi della nazione; fondò la pubblica educazione, ed ebbe luogo negli ordini e nei reggimenti della religione e della politica dello Stato. Dovea arte di tanto momento salire in fretta ad una gran perfezione. Gli avveduti governi della Grecia avevano cura che la musica ritenesse la sua prima disposizione: e nelle storie sta registrata ancora la sentenza degli Efori di Sparta data contro il famoso Timoteo, come un contaminatore de’pubblici costumi, che aggiungendo due corde alla lira, veniva ad alterare l’antica musica.

Ma non fu guari tempo passato che, diminuito questo savio rigore, perchè la musica il regno de’cuori che possedeva, e fu ridotta a solamente generare in altrui meraviglia, e lusingare l’orecchie. Col crescere corde e suoni agli strumenti, l’acconcezza dei generi si è confusa, così come delle forme e de’sensi: anzi, posciachè discorse l’usanza di dipartire la strumental musica dalla vocale, senza dimora la musica si disciolse dalla poesia; e sì innanzi le innovazioni trapassarono, che il comico Anassilo ebbe a dire, esser la musica come la Libia, perciocchè portava a ciascun anno nuove razze di mostri. Per la qual cosa essendo venuta in più d’artificio e di dottrina, ha ella perduto molto della sua efficace e sensibile virtù, ed ha finito di cagionare quegli smisurati effetti ai quali ora con fatica possiamo dar fede.

Nella moderna musica, già alla cima di tutta sua perfezione salita, sono gli stessi difetti che furono nell’antica, poichè fu venuta a corruzione. Scorgesi di leggieri che se mai incita gli affetti, allora incontra, quando ella ritraendosi dall’usanza sua, procaccia di accostarsi verso la semplicità. Nelle parti ove poco si è nella musica avanzato, vanno attorno alcune arie vulgari, o canzoni che dir vogliamo, materiale ciascuna di qualche storia, le quali mirabili effetti producono; e ciò fa il loro esprimer senza arte i sentimenti della natura. Dei gran maestri della moderna scuola ov’è tratto di musica che a tanto vaglia, siccome alcuni vecchissimi canti di chiesa, e massime il rinominato Miserere di Palestrina cantato nella cappella papale?

Miscorde

Dalla sua prima semplicità sì dilungata è la musica, che omai ella è in più specie distinta. E che si vuole intendere per musica italiana, tedesca e francese? Ben comprendo io che la poesia, la quale cava dallo spirito della lingua i suoi fiori e le sue bellezze, si dee conformare al popolo che l’usa, e che per questo ciascun paese ha sua poesia: ma alla musica, intesa a parlare a tutte le orecchie, come è a tutti gli occhi la pittura, conviene esser cosmopolita. Contraffacendo un cantore perfettamente il fracasso d’una bufera, il fischiar de’venti, il cantar degli uccelli; spiegando egli la furia, l’amore, la paura, il dolore, la letizia; se mi vien fatto che io ravvisi la patria onde egli è, non dee poter ciò procedere, se non se da’suoi atti e fattezze spiacevoli; e pur non altro vi dovrei raffigurare che la qualità della cosa finta e rappresentata. Tanto più aggrada un liquore, quanto meno sa del vaso ov’e stato.

Lunghe quistioni, e appena ch’io non dissi, sette, hanno ingenerato presso una nazione vicina queste diverse specie di musica; e si è visto per le canzoni essersi rattiepidite le amicizie, dipartite le conversazioni, ed accesi gli odii e gli sdegni. Si disputava sopra quell’arte che puossi men delle altre a determinate regole sottoporre, conciossiachè i più grandi effetti per lei prodotti non abbiano con essa arte a far nulla. Il perché mal si pretende di giudicar della musica col solo intelletto senza l’orecchio.

Melorio

Queste disputazioni e queste contese non sono già da biasimare, come quelle che da nobile entusiasmo avuto ad una bellissima arte derivano.

Filarmo

Dite piuttosto da una ridicola smania. Io di questo entusiasmo non sono nemico: anzi tengo che esso solo sia il mezzo d’aver sentimento nelle arti, e di confortarle e promuoverle. E prima che a vituperare, avrebbesi esso a suscitare e spandere, perciocchè egli non fia di danno mai, specialmente ad una nazione nella quale il giudicio dell’intelletto precorre ai moti dell’anima, ed eziandio all’espression de’sensi; la qual vuol più mostrar ingegno che aver diletto, e spesse volte invaghisce per capriccio, e non passionasi mai per sentimento. Pochi sono i conoscitori della musica, come che moltissimi ne vogliano esser gli amatori; ed i più mi fanno rimembrare d’un accidente che io intendo di raccontarvi.

Sono usato io, quando ho qualche affanno e turbamento, di andare al teatro a passar malinconia e rallegrarmi. Rappresentavansi le Nozze di Dorina. V’andai, e per esser sicuro da ogni interrompimento procacciai d’aver mio luogo in un angolo della platea. Udiva attentissimamente l’una delle più belle arie di quest’opera, e meraviglioso diletto mi porgeva: ed ecco uno spettator che di costa a me era, fattomisi all’orecchia, domandommi se io la novella sapeva ch’egli testè aveva sentita, e qual ne fosse l’opinion mia. Tanto di meraviglia, nè tanto di noia non m’avrebbe costui dato, eziandio se m’avesse della mia borsa richiesto. Non men che crucciato mi rivolsi a lui, e con un mal viso gli dissi: Eh! signor mio, forse il teatro è luogo da ragionar di politica? Finita l’opera, volsimi a questo mio vicino, dicendogli: Vi prego, signore, che non vi rechiate ad offesa d’avervi io fatta una risposta men che cortese; perciocchè io amo sì forte la musica, che qualunque interruzione m’è grave. Ho preso errore, rispose egli; perciocchè io, veggendo che non applaudevate, nè gridavate: Bravo, bravissimo; reputai che al tutto non foste alla musica atteso. Io non applaudeva, soggiunsi, perchè dilettavami; e questa era la cagione del tacer mio. Disse allora egli: Adunque ciò che voi dite viene a conchiudere che a coloro i quali con le urla e col batter delle palme c’intronano ed assordano, nessun piacere adduce la musica? E forse che così sta il fatto. Vedo che nel teatro, come in tutte altre cose del mondo, chi più parla, meno intende. Perchè io per innanzi quando negli spettacoli avrò voglia di favellar di politica, m’accosterò ad alcun di costoro che applaudendo fanno così grande lo strepito.

La musica Non haec a me probatur musica, quae nunc in scenis effeminata quidquid in nobis roboris virilis ma-nebat maxime excidit; sed ea qua olim viri fortesvirorum fortium laudes canebant (Quintil.). Non si approva per me quella musica effemminata, siccome è ora nelle scene, la quale ogni viril vi-gore rimastoci ha sradicato; ma quella onde per antico i prodi cantavano le laudi dei prodi. “La musica è stata sempre la consolazione del viver mio, e pietà mi stringe di coloro a’quali questo angelico diletto non è noto. Io quando alla voce della donna mia infondono della lor melodia e Sarti, e Paesiello, e Cimarosa, ho per male d’essere d’un senso solo fornito per ricevere le loro impressioni, e di un’anima sola per sentirle e gustarle.” In questo modo manifestava la grande affezione che aveva alla musica Melorio, presenti Filarmo e Miscorde; l’uno intendente amatore, l’altro salvatichetto anzi che no di questa incantevole arte. Miscorde~k Ecco frenesia d’uomo, che nè bella nè divina cosa ci sa trovare fuor che la musica: e imperciò non solamente egli dà credenza alla virtù che negli antichi secoli aveva quest’arte sopra le persone, ma porta fermissima opinione essersi Orfeo gli ascoltanti alberi non che le fiere dietrosi tratte, ed Anfione avere con la sonante lira raunate le pietre a murar Tebe. Melorio~k Non vogliamci brigare di favole, le quali avvegnachè immaginate sieno, fanno pur fede della potenza della musica; ma poniam mente alle storie che infiniti esempi di questo contengono. Affermano i vecchi e sapienti storici, de’quali è il discreto Polibio, che a dimesticare la selvaggia Grecia fu mestieri la musica: Platone ed Aristotele, oppostissimi nelle loro opinioni, s’accordano mirabilmente nel riconoscere la virtù della musica. Potrei dire ancora che fra gli antichi la musica non aveva minor potenza sopra il corpo che sopra lo spirito degli uomini. Testimonia Pindaro che Esculapio per forza d’armonia soleva scacciare alcune infermità; ed Asclepiade, Empedocle, Senocrate e Galeno hanno ordinato contro le malattie, così del corpo come dell’anima, che si adoperi la musica. Miscorde~k Sono costretto di credere, tutte queste meraviglie della musica dover esser iperboli ridicole, quantunque volte ripenso che agli antichi sconosciuto era il contrappunto, ed i loro strumenti sì semplici, che si dura fatica a comprendere come potessero rendere una comportabile armonia. Filarmo~k Veramente io, per la semplicità sola degli strumenti e della musica, di leggier credo essere stato vero anticamente quel suo sovrano potere il quale non si trova nei moderni. Questi, per soverchio arricchirla, l’hanno fatta divenire meno movente; e però più maestrevole armonia e più perfetti istrumenti fanno la nostra musica più festevole e magnifica, ma insieme ancora meno acconcia ad incitare gli affetti. Or questa facoltà di suscitar le passioni che possiede la musica, non da altro procede che dal fedelmente rassembrar la natura, cioè dall’esprimer più veracemente il natural suono che esce di bocca all’uomo, quando gagliarde passioni lo affaticano. Per la qual cosa quanto nell’armonia è più d’artificio e di avvolgimento, tanto più ella via dall’accento appassionato dipartesi. Non è dunque più da farsi meraviglia, se non ostanti le divizie dell’armonia i petti rimangono freddi e saldi, per non aver trovata veruna similitudine dal modo d’imitare alla cosa imitata. Che la musica smarrisca la sua facoltà di stimolar le passioni, secondo che si rimuove dalla prima sua semplicità, fa argomento eziandio l’esempio degli antichi. Prima hanno contato, come essendo ancora ruvidi e feroci i costumi de’Greci, ella sospese le fiumane, mansuefece le tigri, edificò Tebe alla voce della cetera; le quali cose furono tutte figure pensate a mostrare la maravigliosa signoria che dentro gli animi de’popoli ella s’avea presa per opera di Lino, d’Anfione e di Orfeo. Appresso mutata un poco, ma tuttavia semplice e inseparabil compagna della poesia, venne ella spirando i canti d’Omero, d’Esiodo, d’Archiloco, di Tirteo, di Simonide e di Saffo. Ella divenne una con la natura e con i costumi della nazione; fondò la pubblica educazione, ed ebbe luogo negli ordini e nei reggimenti della religione e della politica dello Stato. Dovea arte di tanto momento salire in fretta ad una gran perfezione. Gli avveduti governi della Grecia avevano cura che la musica ritenesse la sua prima disposizione: e nelle storie sta registrata ancora la sentenza degli Efori di Sparta data contro il famoso Timoteo, come un contaminatore de’pubblici costumi, che aggiungendo due corde alla lira, veniva ad alterare l’antica musica. Ma non fu guari tempo passato che, diminuito questo savio rigore, perchè la musica il regno de’cuori che possedeva, e fu ridotta a solamente generare in altrui meraviglia, e lusingare l’orecchie. Col crescere corde e suoni agli strumenti, l’acconcezza dei generi si è confusa, così come delle forme e de’sensi: anzi, posciachè discorse l’usanza di dipartire la strumental musica dalla vocale, senza dimora la musica si disciolse dalla poesia; e sì innanzi le innovazioni trapassarono, che il comico Anassilo ebbe a dire, esser la musica come la Libia, perciocchè portava a ciascun anno nuove razze di mostri. Per la qual cosa essendo venuta in più d’artificio e di dottrina, ha ella perduto molto della sua efficace e sensibile virtù, ed ha finito di cagionare quegli smisurati effetti ai quali ora con fatica possiamo dar fede. Nella moderna musica, già alla cima di tutta sua perfezione salita, sono gli stessi difetti che furono nell’antica, poichè fu venuta a corruzione. Scorgesi di leggieri che se mai incita gli affetti, allora incontra, quando ella ritraendosi dall’usanza sua, procaccia di accostarsi verso la semplicità. Nelle parti ove poco si è nella musica avanzato, vanno attorno alcune arie vulgari, o canzoni che dir vogliamo, materiale ciascuna di qualche storia, le quali mirabili effetti producono; e ciò fa il loro esprimer senza arte i sentimenti della natura. Dei gran maestri della moderna scuola ov’è tratto di musica che a tanto vaglia, siccome alcuni vecchissimi canti di chiesa, e massime il rinominato Miserere di Palestrina cantato nella cappella papale? Miscorde~k Dalla sua prima semplicità sì dilungata è la musica, che omai ella è in più specie distinta. E che si vuole intendere per musica italiana, tedesca e francese? Ben comprendo io che la poesia, la quale cava dallo spirito della lingua i suoi fiori e le sue bellezze, si dee conformare al popolo che l’usa, e che per questo ciascun paese ha sua poesia: ma alla musica, intesa a parlare a tutte le orecchie, come è a tutti gli occhi la pittura, conviene esser cosmopolita. Contraffacendo un cantore perfettamente il fracasso d’una bufera, il fischiar de’venti, il cantar degli uccelli; spiegando egli la furia, l’amore, la paura, il dolore, la letizia; se mi vien fatto che io ravvisi la patria onde egli è, non dee poter ciò procedere, se non se da’suoi atti e fattezze spiacevoli; e pur non altro vi dovrei raffigurare che la qualità della cosa finta e rappresentata. Tanto più aggrada un liquore, quanto meno sa del vaso ov’e stato. Lunghe quistioni, e appena ch’io non dissi, sette, hanno ingenerato presso una nazione vicina queste diverse specie di musica; e si è visto per le canzoni essersi rattiepidite le amicizie, dipartite le conversazioni, ed accesi gli odii e gli sdegni. Si disputava sopra quell’arte che puossi men delle altre a determinate regole sottoporre, conciossiachè i più grandi effetti per lei prodotti non abbiano con essa arte a far nulla. Il perché mal si pretende di giudicar della musica col solo intelletto senza l’orecchio. Melorio~k Queste disputazioni e queste contese non sono già da biasimare, come quelle che da nobile entusiasmo avuto ad una bellissima arte derivano. Filarmo~k Dite piuttosto da una ridicola smania. Io di questo entusiasmo non sono nemico: anzi tengo che esso solo sia il mezzo d’aver sentimento nelle arti, e di confortarle e promuoverle. E prima che a vituperare, avrebbesi esso a suscitare e spandere, perciocchè egli non fia di danno mai, specialmente ad una nazione nella quale il giudicio dell’intelletto precorre ai moti dell’anima, ed eziandio all’espression de’sensi; la qual vuol più mostrar ingegno che aver diletto, e spesse volte invaghisce per capriccio, e non passionasi mai per sentimento. Pochi sono i conoscitori della musica, come che moltissimi ne vogliano esser gli amatori; ed i più mi fanno rimembrare d’un accidente che io intendo di raccontarvi. Sono usato io, quando ho qualche affanno e turbamento, di andare al teatro a passar malinconia e rallegrarmi. Rappresentavansi le Nozze di Dorina~i. V’andai, e per esser sicuro da ogni interrompimento procacciai d’aver mio luogo in un angolo della platea. Udiva attentissimamente l’una delle più belle arie di quest’opera, e meraviglioso diletto mi porgeva: ed ecco uno spettator che di costa a me era, fattomisi all’orecchia, domandommi se io la novella sapeva ch’egli testè aveva sentita, e qual ne fosse l’opinion mia. Tanto di meraviglia, nè tanto di noia non m’avrebbe costui dato, eziandio se m’avesse della mia borsa richiesto. Non men che crucciato mi rivolsi a lui, e con un mal viso gli dissi: Eh! signor mio, forse il teatro è luogo da ragionar di politica? Finita l’opera, volsimi a questo mio vicino, dicendogli: Vi prego, signore, che non vi rechiate ad offesa d’avervi io fatta una risposta men che cortese; perciocchè io amo sì forte la musica, che qualunque interruzione m’è grave. Ho preso errore, rispose egli; perciocchè io, veggendo che non applaudevate, nè gridavate: Bravo, bravissimo; reputai che al tutto non foste alla musica atteso. Io non applaudeva, soggiunsi, perchè dilettavami; e questa era la cagione del tacer mio. Disse allora egli: Adunque ciò che voi dite viene a conchiudere che a coloro i quali con le urla e col batter delle palme c’intronano ed assordano, nessun piacere adduce la musica? E forse che così sta il fatto. Vedo che nel teatro, come in tutte altre cose del mondo, chi più parla, meno intende. Perchè io per innanzi quando negli spettacoli avrò voglia di favellar di politica, m’accosterò ad alcun di costoro che applaudendo fanno così grande lo strepito.