Il cavaliere errante Giovanni Ferri di S. Costante Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Alexandra Kolb Editor Andrea Kaser Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 01.12.2016

o:mws-117-1058

Ferri di S. Costante, Giovanni: Lo Spettatore italiano, preceduto da un Saggio Critico sopra i Filosofi Morali e i Dipintori de’Costumi e de’Caratteri. Milano: Società Tipografica de’Classici Italiani 1822, 327-330 Lo Spettatore italiano 3 74 1822 Italien
Ebene 1 Ebene 2 Ebene 3 Ebene 4 Ebene 5 Ebene 6 Allgemeine Erzählung Selbstportrait Fremdportrait Dialog Allegorisches Erzählen Traumerzählung Fabelerzählung Satirisches Erzählen Exemplarisches Erzählen Utopische Erzählung Metatextualität Zitat/Motto Leserbrief Graz, Austria Italian Menschenbild Immagine dell'Umanità Idea of Man Imagen de los Hombres Image de l’humanité Italy 12.83333,42.83333

Il cavaliere errante

Κτηνοζ δ΄ην εχθροιο πεση καθ΄ όδόν συνεγειρον.

Phocyl. Carm. hortat. 133.

Rileva il giumento del tuo nemico, se quello in andando è caduto.

Andava io un dì lunghesso il cammino di . . . diportandomi, ed ecco mi corse alla vista un cavallo caduto sotto una grandissima soma, che si sforzava a suo potere di su dirizzarsi; ma niente valeva. Due poco lungi dall’infelice bestia aveano insieme aspra e dura contesa, che si percotevan di tutta forza, quando avrebbero fatto meglio ad aiutare chi era in terra. Di costoro l’uno era assai bene in arnese, e anzi dilicato e gentile sembrava che no; l’altro era un giovane macellaio membruto e alto della persona. Fra i quali entrato io, mitigai l’ira onde erano trasportati, e li feci della battaglia rimanere. Diavolo, chi sei tu? cominciò contro il suo avversario l’efferato macellaio a gridare: or non fia lecito ad uomo a sua posta battere sua bestia, come se a te ne toccasse il dolore? Io lo biasimai forte di questi suoi impeti e di tanta crudeltà, e porsigli mano a levare in piè il cavallo, il quale dietro alcune fatiche pur surse; e risalitovi su il macellaio, via più che di galoppo si dileguò.

Non v’incresca, dissi io dolcemente a colui che andavane a piedi, di dirmi la cagione della vostra rissa. Vedete ben voi, quegli rispose, se gravemente era carica quella povera bestia: e quel brutale uomo, invece di pianamente mandarsela innanzi, non solo non guardava il soverchio peso che portava, ma spronavala a galoppare; per la qual cosa il cavallo, essendo già stanco, pose falsamente giù l’un de’piedi, e cadde col suo cavaliere, che stizzosamente cominciò a dargli de’maggior colpi ch’ei potesse; e se io non fossi per ventura sopravvenuto, tutto l’avrebbe rotto e lasciato morto nel mezzo della via. Ma la mia compassione e la mia carità fecero solamente che egli in me convertisse il suo dispetto; perchè avendomi voluto egli dare del suo bastone, io glielo tolsi di mano per forza, e cominciammo poi quella fiera lotta onde voi ci avete divisi.

Mentre che io stupido tutto tenea fitti gli occhi in costui: La pietà, ricominciò egli, che ai muti animali ho io sempre avuta, può tanto in me, che più volte ne divengo travagliato e afflitto. Bene è vero che quei della specie nostra sopra tutto dobbiamo noi amare e soccorrere, sì per esser questi a noi più congiunti, e sì per essere stati creati più degni e più nobili: ma non posso negare che le bestie, come quelle che prive son di favella, per cui non possono le lor pene ad altrui manifestare, nè dimandarne aita nè conforto, mettono in me più compassione di sè, che non fanno tutti gli artifiziosi pianti de’mendici, i quali nell’arte di muovere la gente a pietà invecchiarono. Egli è il vero, risposi io; e bene ne avete voi detto il perchè: in costoro si può suspicare se di buona fede chieggano lor bisogna; ma quanto alle bestie, tutto che non abbiano la parola, spiegasi efficacissimamente la natura. Però il più pieno ed ornato parlare non dice il centesimo di quello che la tacente eloquenza del lagrimare e un onesto rossore sogliono dire. Ho io per certo, signore, che moverebbevi più la miseria d’uno abbandonato fanciullo, che non fanno queste mute creature, delle quali, secondochè voi fate vista, tanta cura pigliate. Sì, risposemi; ed è ragione: ma non mi rimembra che disavventure del prossimo mai tanto m’affliggessero, quanto il vedere una povera lepre, già vicina ad esser giunta, la quale dietro un cespuglio acquattandosi, paurosa e tremante le orecchie drizza allo stormo de’cani che ne seguon l’orme, senza più speranza di scampo.

Di tutti gli animali spietatamente trattati increscemi e duolmi, ma più de’cavalli e degli altri somieri che patono, per la crudeltà de’razionali bruti a’quali sono accomandati. E dicovi che a lor difesa e vendetta io son poco meno che un Cavaliere errante: e per sola pietà e compassione a loro per me portata, già ho avute di molte brighe e tenzoni non altrimenti fatte che quella in che voi, non ha guari, mi trovaste impacciato. Io lodo a meraviglia con Addison l’umanità di quel Soldano il quale volle anzi tagliare il lembo del suo manto, che rompere il sonno del suo caro gatto. Ed io sovente eziandio ne’miei passeggi sono uscito di strada, e ho prese volte lunghissime, per non far muovere alcun povero bue che stesse a rugumare, o non ispaurare alcun semplicetto agnello dal poppar la sua madre.

Il cavaliere errante Κτηνοζ δ΄ην εχθροιο πεση καθ΄ όδόν συνεγειρον. Phocyl. Carm. hortat. 133. Rileva il giumento del tuo nemico, se quello in andando è caduto. Andava io un dì lunghesso il cammino di . . . diportandomi, ed ecco mi corse alla vista un cavallo caduto sotto una grandissima soma, che si sforzava a suo potere di su dirizzarsi; ma niente valeva. Due poco lungi dall’infelice bestia aveano insieme aspra e dura contesa, che si percotevan di tutta forza, quando avrebbero fatto meglio ad aiutare chi era in terra. Di costoro l’uno era assai bene in arnese, e anzi dilicato e gentile sembrava che no; l’altro era un giovane macellaio membruto e alto della persona. Fra i quali entrato io, mitigai l’ira onde erano trasportati, e li feci della battaglia rimanere. Diavolo, chi sei tu? cominciò contro il suo avversario l’efferato macellaio a gridare: or non fia lecito ad uomo a sua posta battere sua bestia, come se a te ne toccasse il dolore? Io lo biasimai forte di questi suoi impeti e di tanta crudeltà, e porsigli mano a levare in piè il cavallo, il quale dietro alcune fatiche pur surse; e risalitovi su il macellaio, via più che di galoppo si dileguò. Non v’incresca, dissi io dolcemente a colui che andavane a piedi, di dirmi la cagione della vostra rissa. Vedete ben voi, quegli rispose, se gravemente era carica quella povera bestia: e quel brutale uomo, invece di pianamente mandarsela innanzi, non solo non guardava il soverchio peso che portava, ma spronavala a galoppare; per la qual cosa il cavallo, essendo già stanco, pose falsamente giù l’un de’piedi, e cadde col suo cavaliere, che stizzosamente cominciò a dargli de’maggior colpi ch’ei potesse; e se io non fossi per ventura sopravvenuto, tutto l’avrebbe rotto e lasciato morto nel mezzo della via. Ma la mia compassione e la mia carità fecero solamente che egli in me convertisse il suo dispetto; perchè avendomi voluto egli dare del suo bastone, io glielo tolsi di mano per forza, e cominciammo poi quella fiera lotta onde voi ci avete divisi. Mentre che io stupido tutto tenea fitti gli occhi in costui: La pietà, ricominciò egli, che ai muti animali ho io sempre avuta, può tanto in me, che più volte ne divengo travagliato e afflitto. Bene è vero che quei della specie nostra sopra tutto dobbiamo noi amare e soccorrere, sì per esser questi a noi più congiunti, e sì per essere stati creati più degni e più nobili: ma non posso negare che le bestie, come quelle che prive son di favella, per cui non possono le lor pene ad altrui manifestare, nè dimandarne aita nè conforto, mettono in me più compassione di sè, che non fanno tutti gli artifiziosi pianti de’mendici, i quali nell’arte di muovere la gente a pietà invecchiarono. Egli è il vero, risposi io; e bene ne avete voi detto il perchè: in costoro si può suspicare se di buona fede chieggano lor bisogna; ma quanto alle bestie, tutto che non abbiano la parola, spiegasi efficacissimamente la natura. Però il più pieno ed ornato parlare non dice il centesimo di quello che la tacente eloquenza del lagrimare e un onesto rossore sogliono dire. Ho io per certo, signore, che moverebbevi più la miseria d’uno abbandonato fanciullo, che non fanno queste mute creature, delle quali, secondochè voi fate vista, tanta cura pigliate. Sì, risposemi; ed è ragione: ma non mi rimembra che disavventure del prossimo mai tanto m’affliggessero, quanto il vedere una povera lepre, già vicina ad esser giunta, la quale dietro un cespuglio acquattandosi, paurosa e tremante le orecchie drizza allo stormo de’cani che ne seguon l’orme, senza più speranza di scampo. Di tutti gli animali spietatamente trattati increscemi e duolmi, ma più de’cavalli e degli altri somieri che patono, per la crudeltà de’razionali bruti a’quali sono accomandati. E dicovi che a lor difesa e vendetta io son poco meno che un Cavaliere errante: e per sola pietà e compassione a loro per me portata, già ho avute di molte brighe e tenzoni non altrimenti fatte che quella in che voi, non ha guari, mi trovaste impacciato. Io lodo a meraviglia con Addison l’umanità di quel Soldano il quale volle anzi tagliare il lembo del suo manto, che rompere il sonno del suo caro gatto. Ed io sovente eziandio ne’miei passeggi sono uscito di strada, e ho prese volte lunghissime, per non far muovere alcun povero bue che stesse a rugumare, o non ispaurare alcun semplicetto agnello dal poppar la sua madre.