Il sequestro de’mobili Giovanni Ferri di S. Costante Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Alexandra Kolb Editor Andrea Kaser Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 01.12.2016

o:mws-117-1049

Ferri di S. Costante, Giovanni: Lo Spettatore italiano, preceduto da un Saggio Critico sopra i Filosofi Morali e i Dipintori de’Costumi e de’Caratteri. Milano: Società Tipografica de’Classici Italiani 1822, 288-290 Lo Spettatore italiano 3 65 1822 Italien
Ebene 1 Ebene 2 Ebene 3 Ebene 4 Ebene 5 Ebene 6 Allgemeine Erzählung Selbstportrait Fremdportrait Dialog Allegorisches Erzählen Traumerzählung Fabelerzählung Satirisches Erzählen Exemplarisches Erzählen Utopische Erzählung Metatextualität Zitat/Motto Leserbrief Graz, Austria Italian Wohltätigkeit Beneficenza Charity Caridad Bienfaisance Italy 12.83333,42.83333 Italy Belprato Belprato 10.37049,45.72472

Il sequestro de’mobili

Ubi charitas non est, non potest esse justitia

(Div. Augustin.).

Ove non è carità, non puote esser giustizia.

Ma da questa sdegnosa ed altiera e crudel femmina quanto era dissimile la buona Clarice! Pensava notte e dì come potesse far bene altrui; e non solamente non discacciava da sè i miserabili, ma ella eziandio soleva andare per essi. Un dì che io era seco, venimmo al villaggio di Belprato, e qui mi disse: Io voglio che noi entriamo un poco in questa casuccia che voi vedete mezzo cascata. Perchè io, montato su per una scala tutta disfatta e malagevole, apersi l’uscio, e trovai la più dolente e più sciagurata cosa che mai agli occhi d’alcuno occorresse. Parevami che io fossi venuto all’albergo della miseria: vidi quattro fanciulletti che in vista niun segno portavano di quella gioia che è usata, in quella felice parte della vita, d’infondere la natura; ed una giovane tutta pallida e magra, che teneva in braccio un bambino, e su le ginocchia un altro, e lo cullava. Era costei la madre di loro, alla quale era morto il marito; ma viveva tutta fiata il padre, che, tra per la vecchiezza e per l’infermità, non avrebbe pareggiato di forza il minor di que’fanciulli, e pareva a riguardare più una cadente ombra che altra cosa.

In su l’entrare ch’io feci, non m’accorsi così tosto di uno che faceva le viste d’uomo di grande affare, e stava nel mezzo di tanta miseria. Costui era degli officiali regii; tra mani aveva un foglio, e nella bocca la penna, e con molta cura guatando andava di canto in canto per la stanza. Se curiosità o altro fu, io non so: ma egli mi convenne dietro a lui sopra le sue spalle andar a guardare nella carta, e lessi il titolo, che era Inventario. Appresso era scritto: Una culla: due sacconi: due coperte rotte: tre seggioli, ma due senza spalliera: quattro coltelli, ma l’uno senza manico: quattro forchette, ma due coi rebbi spezzati: una pala di ferro tutta logorata, ec. In somma non ci aveva cosa a che non desse di piglio il dispietato ministro. E peggio che egli, trapassando tutti li termini della rigidezza, pigliò un calderotto di creta ove si cuoceva la vivanda de’fanciulli, e la riversò in terra. Che non ardirebbe la durezza di costoro! L’afflitta vedovella, veggendo l’acerbo atto, venne meno, e il padre cominciò a gridare: Deh! prima che mi leviate il modo da nutricare i miei figliuoli, uccideteli per Dio. Ma qui il soverchio dolore gli chiuse la voce, e non potè più avanti favellare.

Terminava l’Inventario con queste parole: Da mettere all’incanto il dì 18 di questo. Informai Clarice di ogni cosa, e le dissi: Molto bene quel valentuomo ha fornito il suo ufficio, ed ora se ne parte; e la misera famigliola . . . . E più non dissi; chè guardando negli occhi a Clarice, vidili lagrimare, e lei avere già la sua borsa in mano. Ecco, disse poi alla dolente vedova, ricoglierete i vostri mobili, e provvederete alle necessità del vostro padre e de’vostri figliuoli. Inginocchiossi a piè di Clarice la povera vedovetta col viso rallegrato e tutto riconoscente e devoto, se non che le falliva la voce a profferire parola. Su, disse Clarice, usciamo tosto di qua, che io non potrei sì pietosa vista più sostenere.

Il sequestro de’mobili Ubi charitas non est, non potest esse justitia (Div. Augustin.). Ove non è carità, non puote esser giustizia. Ma da questa sdegnosa ed altiera e crudel femmina quanto era dissimile la buona Clarice! Pensava notte e dì come potesse far bene altrui; e non solamente non discacciava da sè i miserabili, ma ella eziandio soleva andare per essi. Un dì che io era seco, venimmo al villaggio di Belprato, e qui mi disse: Io voglio che noi entriamo un poco in questa casuccia che voi vedete mezzo cascata. Perchè io, montato su per una scala tutta disfatta e malagevole, apersi l’uscio, e trovai la più dolente e più sciagurata cosa che mai agli occhi d’alcuno occorresse. Parevami che io fossi venuto all’albergo della miseria: vidi quattro fanciulletti che in vista niun segno portavano di quella gioia che è usata, in quella felice parte della vita, d’infondere la natura; ed una giovane tutta pallida e magra, che teneva in braccio un bambino, e su le ginocchia un altro, e lo cullava. Era costei la madre di loro, alla quale era morto il marito; ma viveva tutta fiata il padre, che, tra per la vecchiezza e per l’infermità, non avrebbe pareggiato di forza il minor di que’fanciulli, e pareva a riguardare più una cadente ombra che altra cosa. In su l’entrare ch’io feci, non m’accorsi così tosto di uno che faceva le viste d’uomo di grande affare, e stava nel mezzo di tanta miseria. Costui era degli officiali regii; tra mani aveva un foglio, e nella bocca la penna, e con molta cura guatando andava di canto in canto per la stanza. Se curiosità o altro fu, io non so: ma egli mi convenne dietro a lui sopra le sue spalle andar a guardare nella carta, e lessi il titolo, che era Inventario. Appresso era scritto: Una culla: due sacconi: due coperte rotte: tre seggioli, ma due senza spalliera: quattro coltelli, ma l’uno senza manico: quattro forchette, ma due coi rebbi spezzati: una pala di ferro tutta logorata, ec. In somma non ci aveva cosa a che non desse di piglio il dispietato ministro. E peggio che egli, trapassando tutti li termini della rigidezza, pigliò un calderotto di creta ove si cuoceva la vivanda de’fanciulli, e la riversò in terra. Che non ardirebbe la durezza di costoro! L’afflitta vedovella, veggendo l’acerbo atto, venne meno, e il padre cominciò a gridare: Deh! prima che mi leviate il modo da nutricare i miei figliuoli, uccideteli per Dio. Ma qui il soverchio dolore gli chiuse la voce, e non potè più avanti favellare. Terminava l’Inventario con queste parole: Da mettere all’incanto il dì 18 di questo. Informai Clarice di ogni cosa, e le dissi: Molto bene quel valentuomo ha fornito il suo ufficio, ed ora se ne parte; e la misera famigliola . . . . E più non dissi; chè guardando negli occhi a Clarice, vidili lagrimare, e lei avere già la sua borsa in mano. Ecco, disse poi alla dolente vedova, ricoglierete i vostri mobili, e provvederete alle necessità del vostro padre e de’vostri figliuoli. Inginocchiossi a piè di Clarice la povera vedovetta col viso rallegrato e tutto riconoscente e devoto, se non che le falliva la voce a profferire parola. Su, disse Clarice, usciamo tosto di qua, che io non potrei sì pietosa vista più sostenere.