Zitiervorschlag: Giovanni Ferri di S. Costante (Hrsg.): "Gli alberi", in: Lo Spettatore italiano, Vol.3\54 (1822), S. 236-244, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.826 [aufgerufen am: ].


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Gli alberi

Zitat/Motto► Diu summum munus homini datum arbores, silvaeque
intelligebantur. Hinc primum alimenta, harum fron-
de, mollior specus, libro vestis. Haec fuere numi-
num templa, priscoque ritu simplicia, rura etiam
nunc Deo praecellentem arborem dicunt

(C. Plin. Sec.)

Lunga pezza fur per gli uomini riputati un sommo
dono gli alberi e le selve. Quinci trassero i primi
alimenti; colle frondi questi ferono più molli i let-
ticciuoli nelle spelonche, e colle cortecele ferono le
vesti. Questi furono i templi dei numi, e secondo
il prisco rito le semplici ville anche ora a Dio con-
sacrano il più bell’albero. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Il più degno studio dell’uomo è la coltivazione delle piante, come quella che la natura abbellisce, e di ricchissimi adornamenti addobba il gran teatro della terra, e che quasi aggiunge alla creazione. Le opere dell’arte umana, sì tosto come sono recate a fine ed a perfezione per man del maestro, cominciano a declinare giù verso il loro disfacimento. Ma chi pianta un albero, sel vede crescere, perfezionarsi ogni anno e rifiliare, non altrimenti che se sino al termine dell’umana generazione volesse fruttificare ed esser utile. Quindi il coltivare le piante è quasi una morale virtù, e piena sempre di diletto e di recreamento.

Ebene 3► Allgemeine Erzählung► Dialog► Questi pensieri mi si volgevano per la mente un dì che n’andai a vedere il parco dove il saggio Silvano ha adunati gli alberi più preziosi [237] d’ogni clima. Per soddisfare all’affetto che porta alle piante, non avendo egli aspettata la vecchiezza, gode il piacere di vederli con li suoi occhi crescere ed estollersi ad altitudine meravigliosa. Sicchè sono esse diventate la sua cura e il suo sollazzo, ed egli con una forza ed ardor ne ragiona, da farne ad altrui venir vaghezza.

Io ho, diceva egli, un religioso rispetto per le piante, ed un albero novello mi porta più gioia nell’anima che non fanno ad un ambizioso principe immensi tratti di terreno aggiunti agli Stati suoi. Sono gli alberi i miei compagni, gli amici miei; e come appunto gli amici mi porgono ciascuno quanto ha di più dolce, il rezzo ad ogni ora del dì, le frutta ad ogni tempo, e sono fedeli e costanti oltremodo. Negli alberi adoro io la benivoglienza del Creatore, perchè fra essi ben posso io usare; mentre il sole e il firmamento sono per me troppo alte cose, e perchè in loro veggio i granai beneficii della natura che incessantemente si forniscono. Se negli antichi fu superstizione da essere scusata, senza dubbio era il culto religioso per essi renduto alle piante, nelle quali riconoscevano una virtù possente e protettrice, onde sospendevano ai rami loro offerende ed imagini. Nè solamente sagravano gli alberi agli Dei, ma avevano per fede che nelle piante vivessero deità, e con quelle si morissero.

Questa superstizione del paganesimo, dissi io a Silvano, si vuole avere per iscusata, quando ci rimembra che coloro i quali il vero Dio adoravano, portavano agli alberi un rispetto che [238] tenea di religiosa venerazione. Ebene 4► Exemplum► Nelle Scritture leggiamo come vicin di Bersabea pose Abraam una selvetta, e fecevi entro un altare; come Isaac ersene un altro presso di Sichem sotto una quercia. Di questi riti vetusti si trova ancora alcun segno per la Siria e per la Palestina. Gli abitanti del monte Libano in certi giorni dell’anno alzano un altare sotto un antico cedro, ove il patriarca co’suoi leviti solennizza a pieno popolo la festa de’cedri, e minaccia a chi fosse ardito di violare quegli alberi le vendicatrici folgori del cielo. ◀Exemplum ◀Ebene 4 Del culto che si presta ai cedri, replicò Silvano, non è da meravigliarsi, quando si consideri come essi sono belli e quanto utili, come quelli che maestosi sono e altieri, e argentea hanno la corteccia e sempre verdi le frondi, e lunga e densissima gittano l’ombra. Oltre a ciò, il legno è leggiero e forte insieme e dal tarlo sicuro, così che dura i secoli. Del legno del cedro erano decorati i due più celebrati templi dell’antichità, quello di Salomone e quello in Efeso. Presta esso ai liquori ch’egli contiene, un sapor dilettevole, e soavissimamente olezza quando arde.

Disdetto però non è il volere contro al cedro porre il platano, soggiunsi io a Silvano, veggendo molti alberi di questa ultima specie. Ben sapete quanto i Greci e i Romani facessero stima del platano. Ebene 4► Exemplum► Parla Omero di un bel sagrifizio sotto un platano fatto; ed Erodoto narra come Serse in suo cammino avvennesi a un platano sì bello, che egli come per cintura donògli una catena d’oro; ed aggiunge Eliano, che nel doversi dipartire da questo albero [239] chiamato da lui per li più affettuosi nomi, fecelo figurare in una medaglia d’oro, che per ricordo dell’amor suo usò poi di sempre portare. ◀Exemplum ◀Ebene 4 Estimo io che questo affetto ch’ebbe ad un albero, fa molto onore a lui; perciocchè egli fu tale che di leggier si poteva pensare che fosse troppo ripieno di sua grandezza e troppo abbarbagliato allo splendore del regno, perchè si dovesse ancor dilettare delle semplici bellezze della natura.

Ebene 4► Exemplum► Erano di platano i filosofici boschetti dei Greci, ed alla fresca ombra delle sue foglie si diportavano, ragionando, i chiari uomini dell’antichità. Nè alcun teatro a Socrate piaceva, altro che un poggetto ombrato di platani, e posto di lungo l’Ilisso. Molto cari furono ai Romani; e fu talora che li ebbero in tanta reverenza, che di vino gl’innaffiarono. All’abbellimento dei loro palagi era poco il lavoro dell’architettura, della scultura e della pittura: chè il platano sublime in su il tronco e maestoso, col vasto fogliame di un verde non alterabile, era l’adornamento maggiore delle loro bellissime ville. ◀Exemplum ◀Ebene 4 Ora un albero che fu cagion di meraviglia ad età e in paesi civili più che null’altro al mondo, non può essere che non interessi i moderni riguardanti, eziandio se per sola curiosità vi ponessero la mente. Essi lo risguarderanno coll’occhio e senso medesimo che si portano a contemplare i vasi, le urne, le statue antiche, e qualunque altro monumento di quelle vetuste popolazioni. Potrà dunque il platano essere per un albero classico tenuto.

Con così fatti ragionamenti venimmo in un luogo del parco dove erano quercie di altezza [240] inestimabile. Questo albero, mi disse allora Silvano, che il più bello può chiamarsi, il più durevole ed il più utile di quanti nascono nelle nostrali foreste, ebbe fra gli antichi più di qualunque altro rinomanza. Ebene 4► Exemplum► Fu sacro al padre degli Dei, ricevè sagrificii e rese oracoli. Ma sebbene a’servigi della superstizione fosse adoperato, fu non pertanto fra i liberi popoli il guiderdone più degno della virtù, e il desiderio più nobile dell’ambizione. In mano della patria la corona civica, fatta di quercia, pagava a chi avesse campato da morte un cittadino, il debito della gratitudine. Ora chi non dee ammirare i Romani, i quali conobbero che gli emblemi della virtù semplici esser debbono come è ella, e in un albero comune ritrovarono i fregi della più chiara gloria, acciocchè in ogni paese avesse onde incoronar la virtù? ◀Exemplum ◀Ebene 4

Vi dee ricordare, dissi io a Silvano, che un altro albero, molto similmente dagli antichi pregiato, era il lauro, che in questa gloria aveva parte con la quercia. Ebene 4► Exemplum► Una corona di lauro avevano i Greci costituita ai vincitori delle battaglie. I Romani ne incoronavano i trionfatori, i quali entravano in Roma con la fronte di lauro cerchiata, ed in segno di vittoria ne portavano in mano un ramoscello. Di tanta virtù lo reputavano gli antichi, che lo tenevano un albero divino, e immaginavano che fosse dalla folgore privilegiato, promotore del profetico spirito e accenditore del furor poetico; e però fu consagrato ad Apollo e ad incoronare i poeti.

Petrarca, come quegli che tutte le antiche memorie avea cercate, ebbe sì piena la mente [241] della dignità del lauro, che poi poetando lo scambiò, e confuse col nome e coll’essere della sua donna. Zitat/Motto► E fra i bei pensier d’amore ◀Zitat/Motto non trovava altra ombra da posarsi che quella del lauro, nè altro odor che l’attraesse sentiva che del lauro; nè altrove parevagli sicuramente potersi stare, e aver conforto e rimedio contro i fastidi onde la vita è piena, che sotto al suo lauro. Sì oltre andò la sua alta e innamorata fantasia, ch’egli mise in verso, come Amore con la destra mano avendogli aperto il manco lato nel mezzo del cuore, piantògli un lauro di sì verde colore, che nessuno smeraldo a quel termine aggiungeva: come la sua penna era stato il vomere a coltivarlo intorno, ed i sospiri del suo fianco furono i venti che allevato lo avevano, e il dolce lagrimare degli occhi suoi l’avevano nudrito e adornato per modo che fino al cielo n’era spirato l’odore, qual per avventura d’altre fronde non doveva poter essere addivenuto: come le radici della nobile pianta erano la fama, l’onore, la virtù, la leggiadria, e sopra tutto la casta beltà di celeste abito vestita; e come egli ove che andasse, onde che venisse e che che di fare intendesse, si trovava sempre in petto quella, la quale sì felice e caro peso era a lei, che all’ultimo disse:

Zitat/Motto► . . . . . e con preghiere oneste

L’adoro, e ‘nchino come a cosa santa. ◀Zitat/Motto ◀Exemplum ◀Ebene 4

Tacqui, ed avanzai per mirare come aveva Silvano raccolto nel suo parco e nel suo giardino la maggior parte degli alberi indigeni di altre regioni del mondo, onde è stata fatta dovizia alla nostra Europa. Vidi il tulipero e [242] l’acacia asiatica e americana, il pino di Virginia e il sorbo del Canadà cogli scarlatti suoi grappoletti, la sempre verde tuia della Cina e la magnolia dell’America, che il più grande produce e il più odoroso dei fiori. Oh quanto, dissi io a Silvano, dobbiamo a coloro esser grati che hannoci arricchiti del tesoro di tante utili piante, le quali ci congiungono alle genti onde vengono, e a noi recano e fanno sentire del bene e del sole di quello! Eh! sì, che quando io mi trovo sotto un castagno d’India che fiorisca, parmi essere alle copiose ombre dell’America; e in Arabia trasportami la fragranza del cedro: e se fiuto l’elitropia, ritrovomi per entro le delizie del Perù. Un paesano di tali esotiche piante si crede, fra noi veggendole, tornato alla patria sua; e però Poutaveri quando in Parigi ravvisò nel giardino delle piante il moro papirifero, abbracciollo, e disse: Ecco Otaiti; e volgendo gli occhi agli altri alberi, soggiunse: Non sono questi Otaiti.

Gran biasimo è il nostro, per mio avviso, a calerci sì poco della memoria de’nostri maggiori, i quali ci hanno recate sì buone piante, che le frutta e l’ombra di quelle sono al presente la nostra delizia: godiamo de’loro beneficii, e neppure i nomi sappiamo di loro. Non si può incolpare i Romani d’essere stati così sconoscenti. Plinio si gloria che fra le otto specie di ciliegi cognite in Roma a’suoi tempi, una avesse nome la Pliniana, appellata così da un suo antico cui n’era tenuta l’Italia. E il medesimo similmente si congratula con Pompeo e Vespasiano d’aver nel mezzo de’loro trionfi [243] fatto comparire l’albero dell’ebano e quel del balsamo di Giudea. Innanzi a loro avevano Lucullo, Cecilio ed Apronio transpiantato in Roma il pero e l’albicocco del regno di Epiro, ed i ciliegi più rinomati del regno di Ponto. Per li frutti erano notati i nomi delle più nobili schiatte. Così, oltre ai non durabili metalli ed ai perituri marmi che involavano per la patria, adducevano altre ricchezze più vere, come quelle che rinascono e resistono eternamente.

Gli uomini, osservò Silvano, non hanno mai saputo godere de’benefizi della natura, nè altresì moltiplicarli, anzi che di mano strapparseli l’uno all’altro. Quante guerre crudelissime non ha un albero ed eziandio un’erba ingenerate, cui la terra in alcuna contrada ha spezialmente prodotta! Ebene 4► Exemplum► Pareggia Linneo in alcuna parte la botanica de’naturalisti a quella dei Re, scritta, secondo che egli dice, a colpi di spada e di cannone: e quindi annovera le guerre intraprese per possedere una pianta. Il cedro mosse Adriano a distruggere Gerusalemme; il fico armò Serse a danno degli Ateniesi; i Romani e i Giudei ebbero battaglie per il possesso di un balsamo. Conta Plinio che i Galli avendo assaggiato il vino italico, e dalla piacevolezza del beveraggio tirati, varcarono le Alpi e saccheggiarono Roma. Ma ne’tempi moderni massimamente il talento di tenere da per sè alcun prezioso vegetabile, ha creato ingiurie e crudeltà d’ogni sorte. E chi non sa gli sforzi e le prove che l’ingordigia degli Europei ha fatte per avere soli essi le ricche produzioni delle piante aromatiche, studiandosi fino di privarne i nativi del paese, e [244] dannarne il terreno alla sterilità? E più di male ancora è nato per lo caffè e lo zucchero; i quali non so io definire se al ben essere dell’Europa sieno necessarii, ma tanto discerno che l’infelicità di due parti del mondo ha da essi avuto nascimento. Per aver paese da piantarli si è spopolata l’America, e per aver braccia da coltivarli si è spopolata l’Africa. ◀Exemplum ◀Ebene 4

Silvano in vicinanza della sua casa ha fatto una piantagione, secondo ch’egli la chiama, sentimentale, che tanto è a dire, quanto una posta d’alberi dedicata alla rimembranza de’casi che tocchino il cuor suo; come il ritorno di alcun amico, un avventuroso maritaggio, la natività di un figliuolo. Vi ha pure di quelli che servano la memoria degli infelici eventi, e spirano e danno una dolce malinconia. Di che avviene ch’egli infonde novella vita agli alberi per farne monumenti di tenerezza, di gioia e di cordoglio. Ho avuto voglia spesso, disse Silvano, di seguitare l’esempio dei Laponi, i quali danno agli alberi il nome de’parenti ed amici loro. I più felici effetti potrebbero uscire da quest’usanza, se generalmente venisse adottata; perchè ella indurrebbe quello stesso rispetto delle piante che dalla religiosa credenza avevano gli antichi. La scure più non taglierebbe gli alberi dalla natura ordinati a viver lunga vita, e verrebbero essi protetti non da chimeriche divinità, ma dalla memoria di coloro, verso i quali noi sentiamo religiosa venerazione. ◀Dialog ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1