Zitiervorschlag: Giovanni Ferri di S. Costante (Hrsg.): "Il nemico naturale", in: Lo Spettatore italiano, Vol.3\38 (1822), S. 160-163, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.810 [aufgerufen am: ].


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Il nemico naturale

Zitat/Motto► Non hic lupis mos, nec fuit leonibus
Numquam, nisi in dispar genus
.

Horat.

Nè lupo, nè lïon mai tal maniera
Tenner, se non contro diversa fiera. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Ebene 3► Dialog► Appena ebbesi la pace d’Amiens, Frendall, ricchissimo di gran possessioni in contea di Surry, sendo a bere il thè con Sterling gran mercatante di Londra, gli gittò un motto, se avesse voluto fare un viaggio a Parigi. Della qual proposta, come di cosa improvvisa, ebbe a meravigliarsi grandemente Sterling, sì che non potè rispondere: ma quando riebbe la voce e la lingua: A Parigi? gridò: a Parigi! O Dio, guardate che non m’abbiate colto in iscambia. E perchè vorrei io dipartirmi dal mio bel paese, dal paese natio, nel quale fui nodrito e cresciuto, e sì bene avventurosamente adagiato? Abbandonar Londra e l’Inghilterra, l’incomparabile Inghilterra, il nido del primo popolo del mondo, anzi dell’unico popolo, il suolo ove corrono per tutto fontane vive e piene di latte e di mele! Oh io sarei il savio a tonni da tanti diletti e da tanti miei beni per Parigi, per quella città che altro non è che una [161] massa d’orpello, di manteca, di belletto, di civette e di zerbini! E a voi sofferisce il cuore di confortarmi ad uscire dalla mia patria per andare in sì vil terra, nella terra che hanno i naturali nostri nemici? Oibò, oibò: sempre in Inghilterra, nell’antica Inghilterra; e al diavolo tutta la Francia.

Deh come siete voi errato! rispose Frendall; e chi v’ha fatto in questo inganno cadere? E come vi si può essere fitto nel capo che il paese per la natura privilegiato sia l’Inghilterra sola, ed il resto sia un deserto? L’opera sta altrimenti; ed ogni sentimento di malevoglienza e di scortesia dispiace al Padre della natura, il quale fa splendere il sole a tutti gli altri luoghi, oltre i nostri, e tutti i terreni feconda ed empie d’ogni maniera d’erbe, di fiori e di frutti abbondevolmente. E voi potete ignorarlo, voi che del vostro ben essere siete tenuto al trafficar che voi fate delle cose che non son nostre? Che se un’ora sola non volete dimorar lunge dal natio vostro suolo, date almeno licenza alla mente vostra di uscir fuori di quello, e passar oltre questo mare che da terra ferma ci diparte, e troverete popoli i quali e di costumi e di religione e di idioma sono da noi differenti; ma che hanno però affetti quali noi abbiamo, gli stessi piaceri e i duoli stessi sentono, e si conoscono e usano insieme come noi, e s’amano, e sono forniti come noi d’ogni virtù di benvoglienza e d’onore. Oltre a ciò, sanno ottimamente le scienze, e nelle arti sono eccellenti. Nè il confessare queste verità è uno avere a vile la nostra patria; la quale ha [162] molti vantaggi, ma non in esclusione delle altre. E chi potrebbe desiderare che quanto ha di bene nel mondo, d’avventuroso e di bello, non altrove albergasse che nella Gran Brettagna? E chi di questa sua felicità e di questi beni così disugualmente distribuiti goder potrebbe?

Non contraddico, soggiunse Sterling, che altri popoli di alcun vantaggio si godano; ma che io deliberi d’andare in Francia, è un impossibile: perchè il dovermi vedere tra i nostri naturali nemici, mi raccapriccia. Questo è un altro inganno, rispose Frendall, sconcio e abbominevole, siccome il primo. Voi dunque avvisate che nelle sue creature abbia infusi il Creatore semi di perpetua discordia? Questo è bestemmia a pensar solamente. I lupi delle pecore, e gli avoltoi sono delle colombe naturalmente nemici, e gli uni e gli altri di preda si vivono. Ma agli animali di sua specie nullo altro animale, eziandio de’più feroci, fa guerra. E l’uomo, principe degli animali, essere intelligente e razionale, e per divina luce guidato, sarà naturalmente de’suoi pari nemico? Ah! no; chè tutto ci afferma che gli uomini si sono fratelli. Questi nazionali odii ed ereditarii ne sono spirati dalla maledetta arte politica e dalla orribile tirannia: perciocchè quale vera cagione hanno le genti di mutuamente abborrirsi? E non porge ogni contrada a’suoi abitatori comodità e materia di esercitar loro ingegno ed industria? E chi ci porta le cose che nelle diverse parti della terra crea la natura, se non se il mercatare e cambiar vicendevole [163] e comune? Or con questo scompartimento, che altro ha inteso di far la natura, se non se questo, che sempre si accomunino i mortali, e si ricordino che sono fratelli? E se è disdicevole cosa ad un popolo esser naturalmente nemico d’un altro, più è a quello che il suo ben essere tutto tiene dal commercio e dall’usanza che le genti hanno fra loro.

Siamo noi nemici de’Francesi, ma non fatti tali dalla natura; la quale ha anzi voluto che, come vicini, li avessimo per fratelli; se non fosse che la briga e la cupidigia delle Corti e de’ministri si è tanto ingegnata, che per poco non siamo divenuti belve da preda. Di questo lungo ed alternato ordine di vera guerra e di falsa pace hanno bene i Francesi sentita la follía: il perchè hanno detto: Non vi vogliamo essere più nemici. Ciò è contrario non meno alle nostre bisogne che ai nostri cuori. Abbiamo omai per esperienza trovato che dal vivere in guerra ed in arme d’amendue le nostre nazioni solamente a’fabbricatori de’nostri guai scaturisce utilità, mentre che ferro e fame e tante altre sciagure sono il misero retaggio dei popoli ingannati e traditi. ◀Dialog ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1