Zitiervorschlag: Giovanni Ferri di S. Costante (Hrsg.): "Il principe schiavo", in: Lo Spettatore italiano, Vol.3\28 (1822), S. 113-117, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.800 [aufgerufen am: ].


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Il principe schiavo

Zitat/Motto► Dedit hoc Providentia hominibus munus, ut honesta magis juvarent

(Quintil.).

Hanno gli uomini per la Providenza avuto questo be-
nefizio, che le oneste cose fossero eziandio le più utili. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Ebene 3► Allgemeine Erzählung► Nell’età che ancora in noi rimane l’entusiasmo de’sentimenti magnanimi, scadde a Clemente per retaggio una possessione a S. Domingo. Nutricato e cresciuto nella giustizia e nella umanità, l’animo non gli potè sofferire di godere senza rimorso delle ricchezze le quali erano state con le lagrime e col sangue degli sventurati Mori acquistate. Onde che egli prese per partito di volere andare a governar ei medesimo la sua terra, non acciò solamente che i suoi ministri non tiranneggiassero sopra gli schiavi, ma questi dovessero ancora quel tanto di bene gustare che s’aspetta agli uomini i quali la lor vita reggono con la fatica.

Giunto appena alla possessione volle conoscere i suoi schiavi: de’quali uno, che aveva nome Zambù, parvegli più che alcun altro da considerar bene, come colui che le rigidezze della sua cattività sosteneva con meravigliosa costanza. Riseppe dal suo ministro che questo [114] Moro, con tutto che giovine, e di forza inestimabile fosse, pur molto meno degli altri valea, per la indomita disposizione dell’indole sua. Intese poi da uno schiavo che un poco francese parlava, come questo Zambù nella sua patria era stato suo signore, e di parecchi suoi compagni ch’erano quivi, aggiungendo: Noi fummo presi combattendo per lui contro un principe che fece di noi mercato vendendoci ai Bianchi. Ma come che al presente tutti siamo fatti eguali dalla schiavitù, dopo usciti di vita, quando n’andremo oltre la gran montagna, Zambù da capo sarà nostro signore.

Clemente venir fece Zambù alla sua presenza; e lo schiavo fissar potè lo sguardo sul suo signore non altrimenti che fatto avrebbe sopra chi niente avesse avuto a far seco: anzi chi avesse men che attentamente guardato, giudicato avria Zambù di quella stordita insensibilità che spesse volte, a giustificar la crudeltà loro, fingono gli Europei. Prese Clemente per la mano Zambù; e quegli credendo che con quell’atto si desse principio a qualche sua punizione, si rivolse di schiena a ricevere le battiture, le quali egli immaginava che il suo signore s’apparecchiasse di dargli. Ma, Io, disse Clemente, intendo divenire amico di Zambù — E quegli non rispose. Perchè Clemente lasciata andai la mano di Zambù che discese nel primo suo atteggiamento, cominciò fra sè a dire: Come può egli essere che questo Moro abbia avuta signoria nell’Affrica? E se avuta pur l’avesse, che farebbe egli adesso? Certo null’altro che [115] quello che io gli vedo fare. De’principi spodestati ho io veduti assai, ma quei d’Europa sono esseri artificiali, come i lor vassalli. Solo il tacere concede la nimica fortuna per trono ai principi ruinati.

Dubito, disse Clemente a Zambù, non alcuna volta v’abbia il mio ministro maltrattato: ma per innanzi non lo sarete; perciocchè la mia gente mi piace che tutta stia bene. Questa fu la prima volta che Zambù guardò nel viso a Clemente. Potete voi spiegarvi nel mio linguaggio, proseguì il padrone, o volete che io faccia qui venire alcuno de’vostri amici che m’interpreti quello che voi vorreste dirmi? Io parlo il tuo linguaggio, rispose in suo gergo Zambù; ma nulla ho io da dirti. — Voi dunque non mi volete per amico? — No, rispose Zambù. — Nè eziandio se io il meritassi? — Tu sei un Bianco. Intese Clemente questa rampogna per quel senso che si conveniva, e soggiunse: Ma non son tutti i Bianchi fatti come avete provato i loro ministri. Che deggio fare acciocchè voi mi tegniate un uom dabbene? — Trattar bene e caritevolmente gli uomini. — E questo è ciò che io vo’fare, e specialmente a voi, o Zambù. — Vogli esser benigno al popolo di Zambù, e fa di Zambù il piacer tuo. Fu intenerito Clemente alla grandezza dell’animo del Moro che mostrò essergli gravi le fatiche e i guai de’compagni molto più che i suoi. Non passarono molti dì, che Clemente mandò per Zambù e sì gli disse: Da questo punto voi non siete più mio. — Dunque m’hai [116] tu venduto ad altri Bianchi? — No, voi siete franco, e potete di voi fare a vostro piacere. — Niente di quivi piace a Zambù. E tutto nella vista turbato, non altrimenti che se disperato fosse, volse gli occhi al mare, dicendo: Ecco là. Disse allora Clemente: Nella vostra contrada non poss’io riporvi; ma posso rendervi questa migliore: e potete voi stesso migliorarla così per voi, come per li vostri uomini. Rispose tutto rallegrato Zambù: Di’, e sii buono. — Dico che voi non vorreste, come i ministri fanno, che i compagni vostri lavorassero per forza di frusta. — Ah! per forza di frusta! no, per certo. — Adunque voi comanderete, ed essi lavoreranno di buona voglia per Zambù. A questo il Moro stette alquanto di tempo sopra sè; e qualche lagrima lasciando correre giù per le guancie: Zambù non può, disse egli, per alcun partito abbandonare il popol suo; con quello vuole egli essere bene o male avventurato. — E questi è stato principe in Affrica? pensava fra sè Clemente: or qual principe sarebbe di tanto e cosiffatto amore stato nell’Europa?

Fu francato Zambù, e possessor fatto di una parte di terreno, ed ebbe il comando de’suoi antichi sudditi. I Mori di Clemente, mossi dal buon trattamento e dall’immagine della libertà, molto più di fatica durarono, che non avrebbero fatto, se schiavi fossero stati, ed altrettanti, sotto verga di tirannia o di violenza. Per tal guisa vide Clemente di dì in dì moltiplicare i suoi Mori per matrimoni, e vivere [117] consolatamente, in tanto che le piantagioni renderongli più fertilmente ogni anno; ed egli delle sue fiorenti ricchezze si godè con buona pace di sua coscienza. ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1