Zitiervorschlag: Gasparo Gozzi (Hrsg.): "Numero LV", in: L’Osservatore veneto, Vol.1\055 (1761-08-12), S. 228-232, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.440 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

N° LV

A dì 12 agosto 1761.

Zitat/Motto► Nescio quid maius nascitur Iliade.

Un certo che è nato maggior dell’Iliade. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Molte cose sono al mondo che paiono in apparenza diverse, ma in effetto hanno poi fra esse un certo che di somiglianza, e, per così dire, di occulta comparazione, la quale è veduta da que’soli uomini che si danno al tutto a considerarla attentamente. Quella divina Iliade, passata contro all’ingiuria di tanti secoli fino al nostro, e che oltrepasserà ancora tant’oltre per molti altri secoli, ha in sè tutte quelle bellezze e grazie che può avere un poema; nè alcuno fu al mondo dopo il suo autore, il quale si potesse vantare di tanta capacità d’ingegno, o fosse così pieno il petto e la lingua di filosofia. Tali qualità risplendono dall’un capo all’altro della sua nobile invenzione; ma ne fu detto tanto e da tanti, che il volerne dir più sarebbe oggidì un versar acqua nel mare. Fra tutte le altre cose però che fecero così cara agli uomini la Iliade, io credo che la varietà delle immaginazioni e la diversità delle [229] rappresentanze sieno le principali; in perciocchè passando l’uomo dall’una all’altra quasi in un subito, ritrova pastura nuova pel suo cervello ad ogni passo; e quella natura umana che tosto di ogni cosa si sazia, non ha tempo d’infastidirsi, secondo la usanzaccia sua, ma incontrasi qua in un sapore, colà in un altro che le acuisce l’appetito continuamente.

Ebene 3► Allgemeine Erzählung► Vedi quante cose sono nel primo libro solo! Una invocazione, della quale non fu mai la più magnifica. Il racconto di Crise, sacerdote di Apollo, venuto a pregare i Greci pel ricatto della figliuola. L’assenso de’Greci, la negativa d’Agamennone. La preghiera di Crise ad Apollo. La pestilenza nel campo. L’adunanza congregata da Achille per cercarvi rimedio. Il consiglio di Calcante indovino del dover restituire la figliuola al sacerdote. Lo sdegno perciò di Agamennone, l’ira di Achille contro di lui. La risoluzione di Agamennone di restituire la figliuola al sacerdote, e di togliere ad un tempo Briseide ad Achille. Questi vuole ucciderlo: Minerva lo ritiene. Achille non vuol più combattere a pro de’Greci. Nestore, soave dicitore, tenta di acquietargli. Achille si parte dal congresso. Agamennone imbarca la fanciulla con Ulisse. Fa purgare il suo popolo e sagrificare ad Apollo. Manda due araldi a togliere Briseide ad Achille. Questi la dà loro; ma sulla riva del mare per dispetto piange, e si querela a Teti sua madre. Essa vien fuori del mare, e l’accarezza. Parlano insieme affettuosamente. La madre gli promette di andar a Giove per lui. Ulisse dà la figliuola al sacerdote. Questi prega Apollo per la salute de’Greci. Si fanno sacrifizi, si canta. Apollo esaudisce. Ulisse indietro ritorna. Teti sale sull’Olimpo, prega Giove pel figliuolo: Giove le promette, fa cenno col ciglio, trema l’Olimpo. Teti si parte. Giove va al concilio degli Dei: Giunone sospettosa, che avea veduta Teti, vuol sapere di che abbiano favellato insieme. Giove nega di parlare. Giunone se ne addolora. Tutti gli Dei ne sono dolenti. Vulcano gli ricrea con facezie e motti: va intorno coll’ambrosia. Cantano le Muse e Apollo. Si tranquilla ogni cosa. Giove e Giunone, venuta la notte, si posano insieme. ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 3

Non è in questo modo tenuta sempre sospesa l’anima di chi legge? non è forse questa una mirabile varietà da tener legato a sè il cuore e l’intelletto di ogni uomo? Su via, è vero; ma che vorrai tu dire perciò? Tu parlasti nel principio di somiglianza, di comparazione. A che vuoi tu comparare la varietà dell’Iliade?

Io non so quello che parrà ad alcuni della mia nuova e forse strana fantasia; ma dico che gl’ingegni delle femmine sono in capacità di variare somiglianti a quello di Omero, e ch’esse, conosciuta l’efficacia della diversità sul cuore e sull’intelletto degli uomini, fanno maggior uso di quest’abilità che delle altre. Spiacemi ch’esse non hanno divisa la vita loro per libri, com’è l’Iliade, ch’io farei l’analisi del primo o del secondo libro di alcuna di quelle, come l’ho fatta del primo libro di esso poema. Ma se io non posso entrare nelle particolarità di una parte, io posso almeno dir qualche cosa in generale per provare la verità del mio parere. Le fogge de’vestiti, dei fiorellini, de’pendenti, delle collane, delle smaniglie, io credo che me le accordi ognuno, in fogge e gale mutare, dice lo scrittore dello Scisma d’Inghilterra, esem-[230]pio e maraviglia sono. Ma questo è quanto al di fuori: Io dico della grande attività e capacità interiore. Io non credo che al mondo sia notomista di animi più di loro perito, il quale sappia quello che bisogna a tempo per togliere la sazietà dell’uguaglianza. Non è fantasticheria, nè mal umore no, se tu vedi una femmina poco fa lietissima, ora ingrognata; se la trovasti ieri piena di sanità, e oggi infermiccia; se iersera cantava, e stasera piange; se due ore fa svisceratamente ti amava, e in questo punto è infreddata. Credi tu che la ti piacerebbe così a lungo, se la non ti tenesse con tutte queste mirabili varietà occupato, e non ti tagliasse un pensiero con un altro nuovo? A questo modo tu se’obbligato ad aver, sempre il onore e il pensiero a lei; e quanto più la ti sembra umorista, tanto più dèi affidarti ch’ella ti vuol bene, e cerca di stabilirsi in te, e di esserti cara. Se tu la trovassi sempre lieta e contenta, questa sicurezza farebbe che tu ti avvezzeresti a lei, la ti parrebbe sempre una cosa, e a poco a poco la ti caderebbe dall’animo, come ogni altra cosa ch’è sempre una. Ma quando tu di’fra te: Quale la troverò oggi? Sarà ella lieta? malinconica? sana? inferma? affettuosa? indispettita? o che? Vedi tu che la ti apparecchia più donne in una? Vedi tu che tu se’in tal guisa obbligato a pensar sempre a lei? e ch’ella con queste belle e ingegnose varietà fa quell’effetto medesimo in te, che fa ne’suoi leggitori l’Iliade? Poni che la donna tua non fosse donna, ma libro, e quello da me notomizzato di Omero, e confronta. Non ti chied’ella ora qualcosa, come Crise? Non fa invocazioni contro di te, come lui? Non interpreta le cose celesti, come Calcante? Non si adira e ostina, come Achille? Non insospettisce, come Giunone? Io ne lascio il pensiero a te dello andare con diligenza di punto in punto. A me basta che tu mi creda che l’ingegno suo non attende ad altro, che a non generare’sazietà di sè, usando le varietà a questo fine.

Io potrei anche aggiungere per corollario, che in essa si trovano, quali nell’Iliade, molte allegorie, ch’è quanto dire molte figure che in apparenza significano una cosa, e in sostanza sono un’altra; il qual modo è stato tenuto da’più valenti poeti; ma perchè si richiederebbero interpretazioni troppo sottili e forse in fine si direbbe che io l’ho stiracchiate, e che non è vero, tralascio di dirne più oltre.

L’Osservatore.

Metatextualität► Chi sa, che per non far dispiacere ad uno, io non lo faccia a molti. In una lettera chiusa e suggellata mi fu mandata l’osservazione che ho pubblicata qui sopra. Se l’avessi ritenuta appresso di me, tosto mi sarebbero fioccate le polizze. Che bell’umore! non ti degni tu dunque di stampare quello che gli altri ti mandano? Queste ed altre somiglianti galanterie mi furono scritte più volte. Io, per non avere fastidi, do quello che mi viene allo stampatore, e ne acquisto poi degli altri per un verso nuovo. Io non so quello che parrà alle donne di questa Iliade. Quanto è a me, credo che se ne cureranno poco, e diranno: Sono capricci, fantasie, e forse peggio. Ho però caro che le sieno informate che la osservazione non è mia, perchè ad ogni modo la verità si dee dire. Ci sono alcuni i quali pare che non sappiano parlare di [231] altro che delle donne. E in fine che si credono di aver fatto? Io vorrei che un giorno si ampliasse fra esse ancora l’usanza di prendere la penna e di scrivere degli uomini. Maschio gagliardo e robusto, io so bene che allora tu vedresti che non sei quello che tu credi. ◀Metatextualität Ebene 3► Fabel► Furono una volta fatti vedere ad un lione da un uomo certi quadri che rappresentavano cacce di lioni. Qua era un lione smascellato, colà un altro trafitto da una lancia, costà uno preso alle reti; e gli uomini si vedeano sempre superiori. “Che ti pare,” disse l’uomo che mostrava i quadri al lione; “come ti piacciono queste pitture?” Rispose il lione: “Se tra noi ci fossero pittori, mi pare che rappresenterebbero altro.” ◀Fabel ◀Ebene 3

Zitat/Motto► Ad summum sapiens uno minor est Jove; dives,
Liber, honoratus, pulcher, rex denique regum
.

Horat.

In fine l’uomo sapiente ha solo Giove superiore,
è ricco, è libero, è onorato, bello, re dei re. ◀Zitat/Motto

Ebene 3► Utopie► Allegorie► Si querelavano tutti gli uomini raunati in società, che ad ognuno mancava qualche cosa. Chi diceva: “O sommo Giove, non vedi tu ch’io non ho di che vivere?” Chi gli domandava attività di trafficare. Chi fortuna nella coltivazione de’suoi terreni; e quale una cosa, quale un’altra; e tanto gli assordarono gli orecchi, ch’egli mosso a compassione della loro miseria, concedette a ciascheduno che gli domandava, quella grazia ch’egli volea; e in tutto il mondo si cominciò a fare faccende, movendosi e travagliandosi ogni uomo, ed occupando chi questa parte, chi quella delle cose. Egli avvenne però, che mentre che tutti gli altri con gli occhi rivolti verso il cielo chiedevano abbondanza e ricchezza, stavansi qua e colà ritirati certuni per le spelonche, i quali credendosi da molto più che gli altri, quivi, secondo loro, s’intrattenevano in profonde considerazioni e speculazioni di cose astratte, senza punto curarsi di altro. Quando usciti un giorno fuori di là alla luce, e vedendo che il mondo trionfava, ed essi non aveano appena di che vivere, deliberarono anch’assi di rivolgersi al padre degli Dei, abitatore dell’Olimpo, e gli fecero questa preghiera: “O raccoglitore delle negre nuvole e scagliatore della tremenda folgore, è egli però il vero che siamo dalla tua benefica destra abbandonati noi soli, mentre che, dispregiando le mondane viltà, ci stiamo in nobili meditazioni ravvolti? Piovi le tue prosperità sopra di noi ancora.” Ma il celeste Giove, aperto il suo finestrino che dalla cima dell’Olimpo discopre tutta la terra, e vedendo che tutte le cose avea dispensate e che nulla più gli rimaneva che concedere alle nuove suppliche, chiamò a sè una fanciulla fatta a questo modo. Non avea costei nervi, non ossa, non polpe; ma la era fatta di una pellicina sottile e aggrinzata, la quale però ricevendo in sè l’aria per quanti fori avea nel capo, si stendeva in tanta ampiezza, che la figura sua diveniva di gigantessa, e parea che toccasse col capo le stelle, ma se un tratto veniva in qual si voglia parte del corpo suo punta con un sottilissimo spilletto, si sgonfiava di nuovo e ritornava alla sua statura di prima. Non è tromba di così alto suono, che potesse uguagliare la sua voce; sicchè quando costei favellava, non solo non si udiva più altro romore d’intorno, ma con tanta furia entrava [232] nel capo altrui, che, come si trae di asse chiodo con chiodo, cacciava fuori quanti pensieri erano státivi dentro per l’innanzi, e v’introduceva quel che volea coll’impeto della sua disusata vociaccia. Chiama-vasi costei Vanità, a cui Giove parlò in questa guisa: “Vedi costaggiù nel mondo quella setta di genti che volgono verso alla mia abitazione le mani? Essi chiedono, ed io non ho altro che dar loro. Odimi in qual guisa ti dèi diportare. Io voglio . . .” Vanità si era già partita, avendosi a male che Giove non la credesse capace di avere inteso benissimo quello che non le avea detto ancora. La non avea però intesa punto la volontà del figliuolo di Saturno, il quale volea ch’ella, discesa in terra, facesse credere alle genti ch’esse aveano bisogno di storici, di poeti, di oratori e altre mediatrici persone, per divenire immortali e felici: onde allettate dal desiderio dell’immortalità, porgessero una porzione di quello che possedevano, a coloro che ne lo pregavano di sua clemenza. Ma avvenne tutto il contrario; perchè la fanciulla di pelle vizza, gonfiatasi per via più di un pallone, e giunta innanzi a coloro che pregavano Giove, la cominciò a dare con quella sua altissima voce ad intendere a que’tralunati, che non aveano bisogno di nulla, che con le qualità da loro possedute si assomigliavano agl’Iddii, non che pareggiassero gli altri uomini. E tanto disse e tanto potè la sua forza, che se ‘l credettero, e si empierono per modo di sè medesimi, che giudicarono, fuor che sè stessi, ogni cosa esser nulla. ◀Allegorie ◀Utopie ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1