Lezione XLVII Cesare Frasponi Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Lisa Pirkebner Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 01.12.2016

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Frasponi, Cesare: Il Filosofo alla moda, ovvero, Il Maestro Universale. Venezia: Giovanni Malachino 1728, 293-298 Il Filosofo alla Moda 1 047 1728 Italien
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Lezione XLVII A certe Mogli, ed a certi Amici di stravagante umore.

Difficili bile tumet jecur.

Hor. L. I. Od. XIII. 4.

Sono in procinto di pubblicare due Lettere, che rilevano certi diffetti, nell’Amore, e nell’amicizia, per i quali non è difficile il rimedio. Per quello riguarda l’Amicizia che trascura di vedere un Amico grazioso, è punito abbastanza dalla sua stessa negligenza; mentre un tale l’Uomo non si ritrova già in tutti gli angoli delle contrade; ma l’amore è qualche cosa di più delicato, ed il tormento che dà è impercitibile, quando non sono vicendevoli anche le minime civiltà. Vi è un certo non sò che nel commercio d’amore, che non si può spiegare. È benche l’uomo non sappi esprimere ciò che sente, ha però il cuore lacerato in mille pezzi. Se una Moglie comparisce grave, quando il Marito è gioviale, se non mette attenzione a ciò che dice, o se vuole interromperlo, ed insinuargli, che il suo discorso nolle piace, non vi è niente di più disobbligante, ne che ca-gioni sì vivi dolori ad un Marito appassionato per lei, quando non si venga ad una rottura aperta. La gioviale Corinna, che fè studio d’indifferenza, e d’una certa distrazione da lei creduta di bell’aria, e per via di barzelette, ha la vanita di voler comparire così gajosa come una fanciulla che dà crudeli tormenti a suo Marito. Da qualsivoglia sorgente venga questo dolore, non importa il saperlo; basta che sia reale. Il suo sfortunato Marito è convinto, ch’ella non aspira al suo disonore; ma il povero Uomo languisce, ed a vista d’occhio si consuma; perche ella abbastanza non si compiace di evitare le apparenze. Quello che mi scrive la seguente Lettera soffre una ingiustizia, che non è in tutto si rea; ma che non lo rende meno infelice. Veggiamo come dipinge il suo stato.

Sig. Filosofo.

Ho letta la vostra Lezione sopra la gelosia, ed imploro il vostro parere circa il mio stato, che vi riuscirà poco comune. Ho una Moglie che non mi è del tutto sospetta; in tanto non posso persuadermi che abbi dell’amore per me, il che mi cagiona tanta agitazione come se mi fosse infedele; puol essere ancora che io sia più infelice di quello farei in quest’ultimo caso; mentr’ella è sempre padrona del mio cuore senza che io abbi veruna parte col suo. Mi obbligereste molto nell’esaminare l’umore di certe Donne che ben lontane dal ricercare di convincere i loro Mariti della loro innocenza, o della loro condotta, purche non si possa tacciare di colpevole, non si curano di mettere in calma il loro animo, nè meno con una dolce occhiata. Le Mogli di questo carattere non si espongono a tutti que’sospetti che trascurano di evitare? Non cadono elle attualmente nella colpa mentre non si pigliano pensiere veruno d’essere credute colpevoli o nò? La mia Moglie non fà un minimo passo, che non sia accompagnato da un aria misteriosa, quando non si tratti, che d’andare a vedere sua Sorella, o a passeggiare con sua madre. Mi dirà alle volte una bagatella che niente significa, come se si fosse subito scordata di parlarmene; e tutto questo col solo pensiero di pigliarsi giuoco della mia inquietezza. Me ne sono doluto con lei ne’più dolci termini che si possano immaginare; l’ho supplicata di non trattarmi come un Marito insensato, e scioco; ma più tosto, come un Uomo che sospira di vivere con lei, sul piè d’un indulgente Amico. Non è facile il dipingervi la nostra situazione, benche as-sai infelice; e ciò che vi è di più crudele, egli è, che vi si potrebbe facilmente ritrovare il rimedio quando si volesse ricercare. Mia Moglie legge i vostri Fogli ed io ho qui impiegate una, o due frasi, ch’ella non mancherà d’attribuire a me. Se col vostro mezzo ne veniamo ad una dichiarazione che ci doni la calma, amendue vi ringraziaremo; in tanto sono quanto posso essere nello stato ambiguo, in cui mi ritrovo. ec.

La seconda Lettera di cui ho promesso di regalarne il pubblico, e conceputa in questi termini.

Sig. Filosofo.

Permettetemi di osserirvi un carattere, che fin quì non ho veduto ne’vostri Fogli, quello, cioè d’un Uomo che tratta il suo Amico colla stesta (sic.) bizzarria che una Inamorata imperiosa esercita verso il suo Amante. Tengo da qualche tempo un Amico di questo umore lunatico. Sò ch’egli mi ama, ed è si ben persuaso della mia tenerezza verso di lui, che fa di me ciò che vuole. Siamo alle volte i migliori amici, alle volte i più sconosciuti stranieri del Mondo. Una volta direste che siamo inseparabili; ed un altra, che non abbiamo più da vederci. Egli delle settimane intiere mi fugge senza che nè lui, nè io ne sapiamo la raggione; quando poscia s’incontriamo, a caso mi dimanda ansioso, dove sono stato sì lungo tempo, e sospira di meco discorrere; mi priega d’aspettarlo la stessa sera a mia Casa. Ma in vece di venire va in ogn’altra parte. Si applica in una Bottega da Caffè a leggere delle vecchie Gazzette, vi fumma una pippa di tabacco senza pigliarvisi verun gusto; indi rivolta l’occhio in tutte le parti, e rimane sorpreso in vedersi fra una truppa di persone, che non hanno niente da fare con essolui.

Per darvene una più esatta idea, trascriverò quì alcune minute che ho pipigliate dal mio Almanacco, dopo l’ultima Primavera. Sappiate che la nostra Amicizia, o più tosto il suo godimento si alza, e si abbassa giusta le differenti stagioni dell’anno. De mesi di Marzo, e di Aprile il mio Amico e così vario come il tempo; nel Mese di Maggio, e parte di Giugno l’ho ritrovato del miglior umore del Mondo. Ne’giorni Canicolari inclinava molto alla malinconia; nel Mese di Settembre era molto gajoso, e molto attivo; e dopo che lo spirito di vino nel mio Termometro è calato al tempo vario, mi ha assegnato tre adunanze per essiere (sic.) assieme, ed ha sempre mancato. Ho buona speran-za di lui quest’Inverno particolarmente, se vi degnaste communicargli i vostri buoni pareri, nel che infinitamente ci obbligarete ec.

Lezione XLVII A certe Mogli, ed a certi Amici di stravagante umore. Difficili bile tumet jecur. Hor.~i L. I. Od.~i XIII. 4. Sono in procinto di pubblicare due Lettere, che rilevano certi diffetti, nell’Amore, e nell’amicizia, per i quali non è difficile il rimedio. Per quello riguarda l’Amicizia che trascura di vedere un Amico grazioso, è punito abbastanza dalla sua stessa negligenza; mentre un tale l’Uomo non si ritrova già in tutti gli angoli delle contrade; ma l’amore è qualche cosa di più delicato, ed il tormento che dà è impercitibile, quando non sono vicendevoli anche le minime civiltà. Vi è un certo non sò che nel commercio d’amore, che non si può spiegare. È benche l’uomo non sappi esprimere ciò che sente, ha però il cuore lacerato in mille pezzi. Se una Moglie comparisce grave, quando il Marito è gioviale, se non mette attenzione a ciò che dice, o se vuole interromperlo, ed insinuargli, che il suo discorso nolle piace, non vi è niente di più disobbligante, ne che ca-gioni sì vivi dolori ad un Marito appassionato per lei, quando non si venga ad una rottura aperta. La gioviale Corinna~i, che fè studio d’indifferenza, e d’una certa distrazione da lei creduta di bell’aria, e per via di barzelette, ha la vanita di voler comparire così gajosa come una fanciulla che dà crudeli tormenti a suo Marito. Da qualsivoglia sorgente venga questo dolore, non importa il saperlo; basta che sia reale. Il suo sfortunato Marito è convinto, ch’ella non aspira al suo disonore; ma il povero Uomo languisce, ed a vista d’occhio si consuma; perche ella abbastanza non si compiace di evitare le apparenze. Quello che mi scrive la seguente Lettera soffre una ingiustizia, che non è in tutto si rea; ma che non lo rende meno infelice. Veggiamo come dipinge il suo stato. Sig. Filosofo. Ho letta la vostra Lezione sopra la gelosia, ed imploro il vostro parere circa il mio stato, che vi riuscirà poco comune. Ho una Moglie che non mi è del tutto sospetta; in tanto non posso persuadermi che abbi dell’amore per me, il che mi cagiona tanta agitazione come se mi fosse infedele; puol essere ancora che io sia più infelice di quello farei in quest’ultimo caso; mentr’ella è sempre padrona del mio cuore senza che io abbi veruna parte col suo. Mi obbligereste molto nell’esaminare l’umore di certe Donne che ben lontane dal ricercare di convincere i loro Mariti della loro innocenza, o della loro condotta, purche non si possa tacciare di colpevole, non si curano di mettere in calma il loro animo, nè meno con una dolce occhiata. Le Mogli di questo carattere non si espongono a tutti que’sospetti che trascurano di evitare? Non cadono elle attualmente nella colpa mentre non si pigliano pensiere veruno d’essere credute colpevoli o nò? La mia Moglie non fà un minimo passo, che non sia accompagnato da un aria misteriosa, quando non si tratti, che d’andare a vedere sua Sorella, o a passeggiare con sua madre. Mi dirà alle volte una bagatella che niente significa, come se si fosse subito scordata di parlarmene; e tutto questo col solo pensiero di pigliarsi giuoco della mia inquietezza. Me ne sono doluto con lei ne’più dolci termini che si possano immaginare; l’ho supplicata di non trattarmi come un Marito insensato, e scioco; ma più tosto, come un Uomo che sospira di vivere con lei, sul piè d’un indulgente Amico. Non è facile il dipingervi la nostra situazione, benche as-sai infelice; e ciò che vi è di più crudele, egli è, che vi si potrebbe facilmente ritrovare il rimedio quando si volesse ricercare. Mia Moglie legge i vostri Fogli ed io ho qui impiegate una, o due frasi, ch’ella non mancherà d’attribuire a me. Se col vostro mezzo ne veniamo ad una dichiarazione che ci doni la calma, amendue vi ringraziaremo; in tanto sono quanto posso essere nello stato ambiguo, in cui mi ritrovo. ec. La seconda Lettera di cui ho promesso di regalarne il pubblico, e conceputa in questi termini. Sig. Filosofo. Permettetemi di osserirvi un carattere, che fin quì non ho veduto ne’vostri Fogli, quello, cioè d’un Uomo che tratta il suo Amico colla stesta (sic.) bizzarria che una Inamorata imperiosa esercita verso il suo Amante. Tengo da qualche tempo un Amico di questo umore lunatico. Sò ch’egli mi ama, ed è si ben persuaso della mia tenerezza verso di lui, che fa di me ciò che vuole. Siamo alle volte i migliori amici, alle volte i più sconosciuti stranieri del Mondo. Una volta direste che siamo inseparabili; ed un altra, che non abbiamo più da vederci. Egli delle settimane intiere mi fugge senza che nè lui, nè io ne sapiamo la raggione; quando poscia s’incontriamo, a caso mi dimanda ansioso, dove sono stato sì lungo tempo, e sospira di meco discorrere; mi priega d’aspettarlo la stessa sera a mia Casa. Ma in vece di venire va in ogn’altra parte. Si applica in una Bottega da Caffè a leggere delle vecchie Gazzette, vi fumma una pippa di tabacco senza pigliarvisi verun gusto; indi rivolta l’occhio in tutte le parti, e rimane sorpreso in vedersi fra una truppa di persone, che non hanno niente da fare con essolui. Per darvene una più esatta idea, trascriverò quì alcune minute che ho pipigliate dal mio Almanacco, dopo l’ultima Primavera. Sappiate che la nostra Amicizia, o più tosto il suo godimento si alza, e si abbassa giusta le differenti stagioni dell’anno. De mesi di Marzo, e di Aprile il mio Amico e così vario come il tempo; nel Mese di Maggio, e parte di Giugno l’ho ritrovato del miglior umore del Mondo. Ne’giorni Canicolari inclinava molto alla malinconia; nel Mese di Settembre era molto gajoso, e molto attivo; e dopo che lo spirito di vino nel mio Termometro è calato al tempo vario, mi ha assegnato tre adunanze per essiere (sic.) assieme, ed ha sempre mancato. Ho buona speran-za di lui quest’Inverno particolarmente, se vi degnaste communicargli i vostri buoni pareri, nel che infinitamente ci obbligarete ec.