Référence bibliographique: Cesare Frasponi (Éd.): "Lezione CLXVII", dans: Il Filosofo alla Moda, Vol.3\167 (1728), pp. NaN-245, édité dans: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Éd.): Les "Spectators" dans le contexte international. Édition numérique, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.5171 [consulté le: ].


Niveau 1►

Lezione clxvii.

A quelli che vanno in traccia di gloria mondana, si mostra il pericolo di perdere la Celeste.

Citation/Devise► Jupiter non dormit, sed provocando ad industriam homines, vigilat.

Auct. incert. ex ant. Grec. ◀Citation/Devise

Niveau 2► Per non isgarrarla in un sogetto di si grande estesa, qual è la Gloria, ne ho trattato, con qualche ordine, e con una specie di metodo. Ho da principio considerate le ragioni; che pon-[240]no avere mossa la Provvidenza ad’ inserire questo principio nelle anime nostre. Ho fatto, indi, vedere, con diverse rifflessioni, che la Gloria è tanto difficile da ottenersi, quanto e facile da perdersi; che non dà all’ambizioso se non un picciolissimo bene; e che gli cagiona una infinità di aggitazioni. Voglio quì mostrare, che c’impedisce di arrivare ad un Bene certo, accompagnato da una intera sodisfazione, a cui possiamo giognere. E quasi superfluo l’avvertire, che voglio parlare di quel Bene, che ci è riserbato nell’altra vita; che ciascheduno puole guadagnarsi; e che ci colmerà di una innennarabile gioja per tutta la eternità.

Avvanzo dunque che la ricerca della Gloria c’impedisce l’arrivare a questo gran Fine; e ciò, per le trè seguenti ragioni, che mi paiono convincenti, e facili da intendersi.

Perche il volente desiderio di acquistare la Gloria fà nascere quantità di abiti cattivi nell’anima.

Perche molte azioni, che servono ad ottenerla, non hanno veruna relazione col Bene eterno, che dobbiamo evere [sic] sempre in mira.

Perche, supposto, che le medesime azioni tendessero ad ammendue gli accennati fini, mai contribuirebbono, a renderci partecipi di quell’ultimo Bene, se non venissero dal desiderio del [241] primo.

Quelli, che sono avezzi a riflettere sopra la morale, e conoscono il cuore umano, non ponno, non sentire la evidenza delle trè accennate proposizioni; e perciò non mi trattengo d’avantaggio sopra di esse: passerò ad un altro punto della stessa natura, che ci somministrerà pensieri meno comuni.

Mi pare si potrebbe, da ciò che ho detto, naturalmente inferire; essere la più alta di tutte le pazzie il cercare l’approvazione, la stima da verun altro, fuori di quello, ch’è l’arbitro supremo dell’universo: e questo, per due ragioni 1. perche egli solo può fare un vero giudizio, e stimarci a proporzione de’ nostri meriti 2. perche la stima, o il parere d’ogni altro non puole mai procurarci un minimo vantaggio di conseguenza.

Dico, in primo luogo, che nissuno, a riserba di Dio solo, può formare di noi un esato giudizio, e stimarci giusta il nostro valore. Gli Uomini non veggono se non la corteccia, per cosi dire, delle nostre azioni, e la nostra apparente condotta; il che non basta per dare loro una giusta idea di ciò, che siamo; e per fabbricarvi sopra un sodo giudizio. Vi sono molte virtù, che non si mostrano al di fuori: vi sono varie perfezioni occulte nell’anima d’un Uomo da bene, che servo-[242]no d’un grande ornamento alla natura umana, benche incapaci di palesarsi agli altri, agiscono in segreto, senza rumore, e senza fasto, e sono visibili solamente à quello, che penetra le reni, e i cuori. Quali passi d’una tale anima ponno esprimere la innocenza, e la regolarità de’ suoi pensieri? il riposo interno che le fa godere in pace lo stato, in cui si ritrova? Il piacere e la dolcezza, che gusta nel fare del bene? La gioja, e la soddisfazione, che prova nel vedere la prosperità de suoi prossimi? Tali virtù, colle loro fedeli compagne, sono le segrete bellezze d’un anima, e le grazie invisibili agli occhi de mortali, che la rendono amabile e preziosa dinazi a quello, a cui niente è occulto.

Vi sono eziandio delle virtù, alle quali mancano le occasioni manifestarsi. Ciascuna virtù tiene a tempo l’ogetto proprio, e la congiontura favorevole per essere, a perfezione, esercitata. La indigenza offusca la liberalità. La pazienza d’un martire, o d’un Confessore stà nascosta sotto il desiderio, nello stato florido del Cristianesimo. Vi sono certe virtù, che non risplendono se non nelle afflizioni, o nelle prosperità; in particolare, o in pubblico; ma ‘l supremo Monarca dell’Universo le penetra sino dalla loro origine; vede ciò che fac-[243]ciamo, e ciò che faremmo, in tutti li possibili casi, scuopre il martire, ed il Confessore, senza la prova del fuoco, e della tortura, e bene ricompenserà molti, nel secolo a venire, per azioni, che non hanno mai avuto mezzo di eseguire, se non col desiderio.

Un'altra cagione, per cui gli Uomini non ponno, a dirittura giudicare di noi, nasce, perche le medesime azioni ponno avere differenti fini, e nascere da principj opposti. Sono d’una natura si complicata ed attorniate da tante circostanze, che appariscono buone, o cattive, o a misura, che si penetrano più, o meno; o si mirano, più da una parte che dall’altra; o se ne formano differenti idee; o s’interpretano al roverscio; di maniera che lo stesso passerà come un Ippocrita, ed un astuto presso d’alcuni, e come un Santo, ed un Eroe presso di altri. Cosi non si dee veramente fidare delle azioni esterne, per conoscere il cuore dell’Uomo, sono mezzi troppo ingannevoli, che mascherano, e travestono gli ogetti. Fa di mestieri per tanto confessare di nuovo, che il solo vero, e giusto nostro Giudice, è Dio, il quale non giudica dall’azione l’intenzione, ma dall’intenzione l’azione.

È impossibile, che le azioni esterne dipingano esatamente i moti dell’anima; non ponno palesare la forza de’ [244] Principi, da quali provengono; non rappresentano al naturale le nostro virtù; nè bastano che a far vedere gli abiti dell’anima, senza scuoprire, nè il loro grado, nè la loro perfezione. Sono al più deboli immagini, e copie imperfette de’ nostri pensieri; ponno, ben si istruirci all’ingrosso, del loro fine; non mai esprimerci la vivacità, e la bellezza dell’originale. La Divina sapienza, all’opposto, scuopre i nostri più occulti pensieri; vede il nostro progresso nella virtù, incominciando dalle semplici velleità, sino all’abito interamente formato: ne osserva i primi abbozzi, e ne segna i delineamenti, sino che abbi ricevute tutte le grazie, di cui è capace, e comparisca, con tutto il lustro dovuto. Così la sola Divina bilancia è capace di pesare, con esatezza, i nostri meriti; gli Uomini non ponno giudicarci, che dalle nostre azioni, le quali mai somministrano la giusta idea di ciò, che noi siamo. Vi sono molte virtù, che non si spiegano al di fuori, molte, che non hanno la occasione di manifestarsi; molte, che male si interpretano, attribuendole ad ogn’altro principio fuori di quello da cui nascono. E quando anche vi si attribuiscano, non si può scuoprire la energia; la perfezione, la graduazione d’un tale principio.

Ma se Dio è l’unico Giudice del-[245]le nostre buone qualità, n’è altresi, il solo Rimuneratore; e rimirandolo, con questi due aspetti, la nostra Ambizione, non vi ritrova meno il suo conto, che ‘l suo interesse.

Se dunque il più Ambizioso, ed il più interessato del mondo, volesse formarsi la idea d’un Essere capace di renderlo veramente felice, che potrebbe desiderare di più del vederlo fornito d’una Cognizione, che discerne sino la minima delle sue perfezioni, e vestito d’una Bontà, che lo ricompensa sopra di tutto ciò che merita?

Rivolga dunque, a questa parte, l’ambizioso i suoi desiderj; e per avere in mira una gloria degna di lui, rifletta, che s’egli fà valere, alla meglio, che puole, i suoi talenti, verrà un giorno, in cui questo Grande Monarca dell’universo, il supremo Giudice del mondo, che vede nelle sue Creature le più minute sementi della virtù, e possiede egli stesso tutte le immaginabili perfezioni, pubblicherà il suo merito, da lui avvalorato, in presenza degli Uomini e degli Angioli, onorandolo, con questo magnifico eloggio: Euge serve bone, & fidelis, quia super pauca fuisti fidelis, super multa te constituam: intra in gaudium Domini tui. ◀Niveau 2 ◀Niveau 1