Référence bibliographique: Cesare Frasponi (Éd.): "Lezione CLXVI", dans: Il Filosofo alla Moda, Vol.3\166 (1728), pp. NaN-239, édité dans: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Éd.): Les "Spectators" dans le contexte international. Édition numérique, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.5170 [consulté le: ].


Niveau 1►

Lezione clxvi.

A’ Letterati, sopra la difficoltà di conservare la gloria mondana.

Citation/Devise► Facilè mala attrabitur Fama, quae difficilè toleratur, & difficilè perditur.

Hesiod. op. & Dies. 161. ◀Citation/Devise

Niveau 2► Vi sono differenti passioni, e diversi tenori di genio, che naturalmen-[232]te ci portano, ad abbassare, e deprimere il merito d’una Persona, quando principia a guadagnare la stima del mondo. Subito che gl’Invidiosi la veggono comparire sulla scena, cogli stessi loro vantaggi, s’immaginano, che la di lei alta riputazione rimproveri il loro poco merito e questo gli anima à furegare nelle di lei azioni passate; e scuoprire ciò, che vi ritrovano di scandaloso, ed a scemare prezzo delle sue imprese, affinche non inalzi sopra di loro. La stessa ragione eccita la invidia di quelli, che una volta erano suoi superiori; credono, che patisca il loro merito, se un altro gli avvanza nel sentiere della gloria; e perciò si sforzano di annerire la di lui riputazione, sulla speranza di meglio conservare la propria. Quelli, ch’erano uguali lo invidiano e lo diffamano, perche è doventato loro superiore ed i superiori fanno lo stesso, perche è doventato loro uguale.

Un Uomo, che si è acquistata una riputazione straordinaria, si attrae gli occhi di numerose persone, che lo essaminano, con tutto rigore; lo rimirano da capo à piè, e si consolano se vi scuoprono qualche svantaggio. Ve ne sono pure molti, che si dilettano nell'opporsi al rumore della fama, e nel divulgare le debolezze d’un Carattere, che sta sublime. Spargono, con segreta vanità, [233] le loro scuoperte, e si applaudiscono d’avere meglio degli altri profondato l’Obietto della loro invidia; d’avere osservato ciò, ch’era fuggito dall’acutezza de’ più perspicaci; e di avere ritrovato un diffetto in quello, che tutto il mondo ammira. Ve ne sono altri, che pubblicano le infermità d’un Uomo illustre con tanto giubilo come se ne credessero eglino stessi essenti: se ne gloriano, con indiretta maniera; e si formano una specie di vanità d’essergli in quel debole, superiori. Quegli stessi sovente che sono intaccati de’ medesimi vizj, sono i primi a pubblicarli; o perche si lusingano, che un tal’ essempio possa loro servire di scusa; o perche si stimano felici di rassomigliarlo in qualche parte, benche degna di vitupero. Se tutti codesti incentivi della maldicenza mancano, non manca la sciocca vanità di comparire spiritoso, per impegnare un Uomo a denigrare, il più bel candore, ed abbattere la riputazione più stabile, sagrificandola al divertimento, ed alle risa di quelli, che lo circondano. Uno scritto satirico. Un Libello contro una Persona di ordinaria lega non mai ricevuto, con quell’applauso, che incontra, quando intacca Un [sic] merito superiore, e distinto. Non sò se questo provenga dal credere, vi sia più ingegno, e più arte nel mettere in deriso una Per-[234]sona, il di cui carattere parea dovesse metterla al coperto da tali insulti, o dal godere, con ispirito di segreta vendetta, nel venderla umiliata, e ridotta, per cosi dire, sul nostro livello,

Da questo poco dettaglio si conosce, che la maldicenza ha un numero infinito di occulti motivi; e che l’Eroe sta sempre attorniato da una folla di spie maligne, che osservano da vicino, tutti li suoi passi, e scuoprono le sue debolezze con più attenzione, di quelle possa egli addoprare per occultarle. Quelli che più gli si avvicinano meno lo stimano; e di rado gli fanno eloggi, che non siano accompagnati dalla serie de’ suoi difetti. Ogni picciola mancanza riesce in lui più sensibile, perche non quadra col rimanente della sua condotta. Non è in potere d’un Uomo lo stare attento alle cose essenziali di questa vita, e nello stesso tempo, pensare a tutte le piccole circostanze, che l’accompagnano. Lo stesso tenore di animo, come già si è detto, eccita al desiderio della gloria, ed impegna a certi passi, ed a certe inavertenze, che non sono comuni alle altre Persone.

È vero, che un merito superiore sovente dissipa tutte quelle picciole nebbie, che à prima faccia oscuravano la di lui fama.

Ma se, con un’malinteso desiderio [235] di gloria, o colle debolezze attaccate alla natura Umana, e da lui secondate, fa qualche passo, il quale combatta i più essenziali doveri, tutti gli ambiziosi Progetti rovinano, e svaniscono. Le deboli macchie ponno scancellarsi, e disparire, frà lo splendore, che le circonda. Ma una macchia, che penetra sino al fondo, spande la sua ombra sopra tutte le altre bellezze, ed oscura ogni Carattere. Quale difficoltà, per tanto, non si ritrova nel conservare una gran Fama? Chi la possiede è sogetto à tante picciole debolezze, che contribuiscono a scemarla. Quelli, che erano superiori, o uguali riescono si industriosi a discuoprirle, carricarle e seminarle. Egli è lo scopo di quelli, che vogliono far pompa del loro discernimento, o del loro ingegno; sieno colpevoli, o essenti dagli stessi difetti.

Ma quando anche gli altri non avessero motivi per criticare un Uomo famoso; quando anch’egli stesso fosse immune da debolezze; avrebbe ciò non ostante, molta difficoltà nel mantenere la gloria, con tutto il suo splendore. Fà di mestieri sostenerla, ed animarla, con una continua serie di gloriose imprese. Subito, che si ferma, và mancando a poco a poco, e si risolve in fumo. L’Ammirazione non è di lunga durata; svanisce quasi subito, che si famigliariza col suo ogetto; e viene ad estinguer-[236]si, quando non sia, ogni giorno, alimentata da nuovi miracoli. Per quanto sieno straordinarie, e stuporose le azioni d’un Uomo illustre, hanno sempre lo svantaggio di udire, che non si aspettavano minori cose da lui. Che se poi si ritrovano, un poco al disotto, dalla idea, che sen’era formata, in vece d’inalzarlo, servono a deprimerlo.

Pare dovrebbe provarsi qualche cosa di molta dolcezza nel godere la Gloria ad onta di tutte le accennate mortificanti idee, si ritrovano tanti, che la ricercano. Ma se si esaminassero, da vicino la picciolezza del bene, che accompagna un grande nome, e le inquietezze senza numero, dalle quali lo spirito Ambizioso viene agitato, si stupiremmo, vi siano tanti Avventurieri, che corrono dietro a quest’Idolo di puro fumo.

L’Ambizione eccita nel cuore una folla di tumultuosi pensieri, che l’infiammano, e lo tormentano; siegue un bene immaginario, che non può nè saziarla nè calmarla. Il Godimento delle altre cose, che, regolarmente si bramano, riempie, in qualche maniera il senso, a cui corrispondono, e soddisfa, per qualche tempo, il di lui appetito. Ma il bene della Gloria è troppo lontano dal nostro stato. La nostr’ anima non ha facoltà, che vi corrisponda, nè il nostro corpo organo, che vi possa ritrovare del gu-[237]sto. In poche parale: è un ogetto, che si desidera e non si puo godere. Se dà qualche piacere: è un piacere frammischiato di turbamenti e d’inquietezza; ed in vece di saziare la sete che eccita, la raddoppia. In fatti, dove sono gli Ambiziosi, che abbino mai ottenuta tutta la gloria che sospiravano; e che dopo avere acquistata una strepitosa fama, non cerchino estenderla d’avvantaggio? Niveau 3► Exemplum► non vi è cosa nel Carattere di Cesare, che mi dia maggiore idea del suo merito, quanto la espressione di Cicerone: dicea frequentemente, co’ suoi amici parlando di Cesare. Niveau 4► Citation/Devise► Se satis vel ad naturam vel ad Gloriam vixisse, ◀Citation/Devise ◀Niveau 4 ◀Exemplum ◀Niveau 3 che avea goduta abbastanza, e la vita, e la gloria. Vi sono, è vero, Persone, che disgustate dà sfortunati successi delle loro imprese, o dal poco diletto, che vi ritrovano, o dal freddo naturale della vecchiezza; o meglio istruiti dalla sperienza, rinunziano, questo chimerico bene ma non se ne veggono delle pienamente soddisfatte nel possederlo.

Se il godimento della gloria incapace di procurarci una intera sodisfazione, il desiderio, che nè abbiamo, ci espone ad’ una infinità d’imbarazzi, e di fastidj, de’ quali è più essente, chi è meno ambizioso.

Quante volte l’ambizioso si vede sconcertato, ed abbattuto, perche non riceve quegli eloggi, che attendea? [238] quante volte e egli mortificato dagli stessi eloggi, se non l’incensano quanto crede di meritare, il che non accade, se non sono frammischiati d’adulazione? Gli altri non hanno si buona opinione di noi, come noi di noi stessi.

Se l’ambizioso rimane osseso da scarsi eloggi, come potrà tollerare le maldicenze, e dispregi? Lo stesso tenore di animo, che gli fà sospirare gli uni, lo rende capitale nemico degli altri; il suo bene dunque si riduce a pochissima cosa: Lo espone alla indiscretezza di tutto il mondo, lo fà dipendere, dal bene, o dal male, che si dice di lui; e lascia in arbitrio d’ogni cattiva lingua, l’immergerlo in eccesso di malinconia, ed il privarlo della sua tranquillità naturale. Siamo in generale più disposti a censurare, che a lodare; e l’ambizioso, per l’ordinario, ha più vizj da biasimare, che virtù da encomiare.

L’Ambizioso è più sensibile al dolore di perdere la sua gloria, che alla dolcezza di possederla. Benche la presenza di quel chimerico bene non possa farci contenti, la di lui privazione può renderci infelici. Nel godimento d’un ogetto non ritroviamo, se non quel grado di piacere, ch’egli può darci; nella perdita; la nostra afflizione non è proporzionata al di lui intrinseco valo-[239]re, ma a quello, che la nostra immaginazione gli somministra.

Il desiderio, in somma, della gloria è più tosto infiammato, che soddisfatto in qual si voglia maniera l’affare si rivolti; sia buono, o cattivo l’esito, cagiona mille inquietezze di animo. Il Godimento della Gloria è accompagnato da un piacere molto sottile, la sua perdita; o la fua [sic] lontananza ci espone a vivi dolori, oltre la incertezza di ricuperarla, e di ottenerla, dipendendo sempre dagli altri. Le loro censure ci affliggono, il loro silenzio ci abbatte, e gli stessi loro eloggi sovente ci avviliscono. ◀Niveau 2 ◀Niveau 1