Citation: Cesare Frasponi (Ed.): "Lezione CLXIV", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.3\164 (1728), pp. NaN-226, edited in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): The "Spectators" in the international context. Digital Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.5168 [last accessed: ].


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Lezione clxiv.

Agli Derisori.

Citation/Motto► Risus extemporaneus inter homines malum munus.

Fragm. vet. Poct. ◀Citation/Motto

Level 2► Metatextuality► Quando scelgo qualche punto, che non è mai stato maneggiato da altri estendo i miei pensieri sulla carta, tali quali mi capitano alla mente, senza ordina, e senza metodo, di maniera che hanno più tosto l’aria d’un Abbozzo, che di un Discorso metodi-[222]co, e conneso.

Cosi voglio quì trattenere i miei Leggitori sopra il Riso, e sopra gli scherni. ◀Metatextuality

L’uomo è il più gajoso Animale, che sia al mondo: tutte le altre Creature o superiori, o inferiori sono pensierose, e serie. Rimira le cose, in un prospetto totalmente diverso e trae divertimento da certi ogetti, che forse cagionano una specie di compassione alle nature più elevate. Il Riso, per verità, serve di buonissimo contrapeso a vapori della Ippocondria. È di giustizia il ricavare allegrezza da ciò che non è bene reale, giacche si prova dolore di ciò, che non è vero male.

Ho tempo fà citato un Autore moderno, il quale vuole, che la principale cagione, da cui siamo impegnati a ridere, venga da un paragone segreto di se, con quelli de’ quali ridiamo; o per servirmi d’altri termini, da un piacere fondato sopra qualche eccellenza, che riconosciamo in noi stessi, quando veggiamo le debolezze d’un altro, e riflettiamo alle nostre inconvenienze antiche. Questo per lo più si avvera mentre d’ordinario si osserva, che le Persone più vane, sono più sogette a questa passione.

Ho letto in un Discorso fatto sopra le parole dell’Ecclesiaste: Level 3► Citation/Motto► Risum reputa: erromem. Et gaudio dixit: quid frustra deci- [223] peris? ◀Citation/Motto ◀Level 3 In cui asserisce, che il Riso è una seguela dell’originale peccato, e che perciò Adamo non potesse ridere prima della sua caduta. Il Riso, nel suo attuale essercizio, divisa la mente, scema il suo vigore discioglie, in qualche maniera tutte le potenze dell’anima; e si può considerare come una fiacchezza della natura umana. Ma se rivoltiamo l’occhio a’ frequenti soccorsi, che si somministra, col dissipare la malinconia, che ci opprime e col riempierci di subitanea gioja, non sò chi potrà essere insensibile ad’ un si dolce piacere di questa vita meschina.

Il talento di mettere in deriso gli Uomini, ed esporli agli scherni degli altri è argomento di debole giudizio, privo di ellevatezza, e di onore. Un Giovane di simile tempra si mette in istato di mai fare progresso veruno. Ciascheduno ha il suo debole; e ne Caratteri più luminosi vi si ritrovano più grandi le macchie. Vi è niente di più assurdo del trascurare tutte le belle qualità d’un Uomo, per non rilevarne, che i soli difetti? di considerarne più i vizj, che le virtù, e di renderlo givoco degli altri nel male, in vece di proporlo quale modello nel bene?

Le Persone applicate agli scherni sono assai penetranti nello scuoprire le debolezze degli altri, e per lo più non hanno veruna qualità, che le distingua [224] dal volgo. In fatti si danno famosi Critici, che non hanno mai scritta una riga di buono, e vero senno. Vi sono pure Meravigliosi Buffoni, che motteggiano sopra gli altrui mancamenti senza essere addobbati nè meno, con cencio di soda virtù. E pure, benche in oltre pieni di malizia, sono in riputazione presso del volgo, e vengono innalzati sopra le Persone di carattere infinitamente più degno di lode.

Se gli scherni servissero a bandire il vizio, e la pazzia dal mondo, meriterebbero qualche applauso; ma, d’ordinario, l’impegnano a mettere in deriso il buon senno; a beffarsi della virtù; ed a combattere ciò che vi è di più santo, di più venerabile, e di più meritevole de’ nostri eloggj.

Nelle prime età del mondo; al tempo di quelle anime grandi, e generose, ch’erano i capi d’opra della natura Umana, non si distingueano gli Uomini, che per una nobile simplicità de’ costumi; e tutte quelle picciole grazie della Conversazione, che oggidì si affettano, erano affatto loro ignote. Benche noi siamo inferiori agli Antichi nella Poesia, nella Pittura, nell’oratoria, nella storia, nell’architettura, ed in tutte le Arti Liberali, o scienze, che dipendono più dall’ingegno, che dell’esperienza, li sorpassiamo, di molto, nelle Rime, nelle [225] Piacevolezze, nel Burlesco, ed in tutte le maniere triviali di mettere in deriso, e le persone e le loro azioni. Ritroviamo più trastullo ne’ moderni, ma più buon senno negli Antichi.

Le due sorte di composizioni, nelle quali hanno voga gli scherni, sono la Comedia, ed il burlesco. La prima schernice gli Uomini caratterizandoli al naturale; e l’altra dipingendoli, tutto differenti da quelli, sono in se stesse. Vi è pure un doppio Burlesco: un rappresenta le persone di più bassa lega, come Eroi; e l’altro fa parlare, ed oprare gli Uomini più illustri, come se fossero dell’infima plebe. Don Quiziotte è un essempio del primo; e li Dei di Luciano ne sommistrano il secondo. Disputano frà di loro i Critici per sapere se la Poesia burlesca sia più corrente in versi Eroici, o pure trivialmente rimati. Per me direi, che nel Poema, in cui il Facchino de’ esaltarsi, il verso Eroico è più a proposito; ma dove si degrada l’Eroe riesce propria la Rima storpiata.

Concluderò, che il Riso attributo ai Prati verdeggianti, ed agli Alberi coperti di Fiori, è la sola metafora che per quanto mi posso arricordare, si ritrovi in tutti i linguaggj, a riserba di quella del fuoco, e delle fiamme, in proposito dell’amore. Questa è una prova, che il Riso ha, presso tutti g [sic] [226] Uomini, qualche cosa di grazioso e di bello. Per questo Omero dà a Venere un epiteto, che significa: Quella, che ama il ridere: ed Orazio ce la dipinge come la Dea, che si compiace nel Riso. ◀Level 2 ◀Level 1