Il Filosofo alla Moda: Lezione CLXXXVIII

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Nivel 1

Lezione Clxxxiii.

A qualche perfido Marito.

Cita/Lema

Aut ad humum maerore gravi deducit, & angit.

Hor. A. P. 210.

Nivel 2

Dopo udito il racconto di qualche meraviglioso successo, si dice quasi sempre : è bello, se è vero.

Metatextualidad

Bramerei, con tutto il cuore, falsa la relazione, che sono per darvi; benche sia accompagnata da tanta simplicità, ed espressa con tratti sì naturali d’un vivo dolore, che non pare se non troppo vera.

Nivel 3

Carta/Carta al director

Sig. Filosofo. È qualche anno, che mi ritrovai allogiata nella stessa Casa con un Giovane nobile, e di merito. Invaghita delle sue buone qualità, posi tutto in opra per acquistarne quante mi erano possibili, io stessa. La facilità, di conversare ascieme, ci strascinò, ben presto, dalla generale civiltà, ad una particolare passione. Egli cercò la occasione di spiegarmi la sua; ed io, che non potevo aspirare ad una Persona sì ricca, gli risposi in termini, da’ quali conobbe, che la sua dichiarazione non mi riescia discara, senza palesargli verun’ eccesso di gioja, nè dire, o fare cosa, che non si accordasse colle regole d’una onesta creanza. Il di lui Padre era un Uomo sì avaro, e superbo, che non sarebbe stato sì facile il persuadergli, potesse ritrovarsi nella persona, o nel carattere d’una Donna, qualche cosa capace di billanciare la inegualità delle richezze. Frà tanto il Figlio mi discorrea sempre del suo amore, nè perdea occasione di farmelo concepire sincero e disinteressato. Mi offrì, per ultimo, di sposarmi in segreto, e di non parlarne fino, che non ne avesse ottenuta l’approvazione del Padre; o rimanesse egli l’assoluto Padrone. Io l’amavo, con tenerezza sì che non gli niegai ciò, che il mio interesse mi obbligava di accordargli. Non ero però sì nuova, che non pigliassi meco, per assistere allo sposalizio una serva Fedele. Quando il ministro ci ebbe congionti, gli chiesi un attestato segnato da lui, dallo sposo, e dalla serva. Dopo vivemmo con tutta la famigliarità, sotto il medesimo Tetto; benche la strettezza, in cui eramo, e la premura di occultare le nostre confidenze, prescrivessero a’ nostri passi un aria, che parea venisse più dalla tenera impazienza di due Amanti, che dalla passione regolata, e soddisfatta di due sposi. Il Padre, senza dubbio, informato de’ nostri amori, temette, che il Figlio meco non s’impegnasse; e lo pressò a dichiararsi in favore d’un Partito suo pari. Per liberarci da quest’imbarazzo; e prevenire lo scoppio del nostro matrimonio, che non potea ormai più stare occulto; venne stabilito; che io mi ritirassi in qualche luogo appartato di villa; e che ci scriveremmo sotto nomi supposti. Ciò eseguito, il nostro commercio di lettere non durò che per troppo. Che che ne sia, col mi Ago, con un piccolo numero di Libri, e colle Lettere del mio Sposo, che rileggevo ad’ ogni momento, me la passai sull’aspettativa de’ giorni felici. Dopo quattro mesi dalla nostra separazione, diedi alla luce una Bambina, la quale non visse, che poche ore. Questo accidente, unito alla vita ritirata, che io menavo, suggerì delle inique speranze ad un Gentiluomo del vicinato. Quest’Uomo brutale, co’ sciochi suoi scherzi, fù la sorgente di tutte le mie afflizioni. Era costui uno di que’ ricchi, e grossolani Campagnuoli, che s’immaginano d’essere tanto più civile, quanto più trascurano le regole della Creanza; e che per per via d’una sfacciata giovialità, d’un assai debole ingegno, e delle loro considerabili facoltà, s’ingeriscono, o per torto, o per diritto, con ogni sorta di Persone, ed in tutti gli affari degli altri. Le buone Persone, presso le quali allogiavo, in qualità di vedova, si meravigliavano che io avessi tanta avversione per quel Gentiluomo, che, colle mance, le avea impegnate ad’ ammetterlo, quando volea, in Casa. Un giorno, che me ne stavo sieduta, a refficiarmi, in una picciola sala, leggendo la più tenera lettera del mio sposo, dentro la quale tenevo incluso l’attestato del matrimonio seguito; sopravenne d’improviso quell’indegno villano, e con una famigliarità ordinaria di tale Gentaglia, me la strappò dalle mani. Rimasi sì costernata, che gettatami a suoi piè, lo supplicai a restituirmela, con que’ termini, che mi venivano suggeriti dalla eccessiva premura. Ed egli, colla stessa aria, non meno insolente, che odiosa, giurò di volerla leggere. Quanto più raddoppiavo le mie istanze, tanto più la di lui infame curiosità s’accresceva. Finalmente, per dispetto, nato, senza dubbio dalla sua passione, di cui non mi ero per anco avveduta, gettò le carte ne fuoco, dicendo: giache non dovea leggerle, non volea almeno, che chi le avea scritte, avesse il contento di farle servire a mio trattenimento. E quasi inutile lo scrivervi, che le mie lagrime, i miei singulti, i miei svenimenti, ed i miei rimproveri, obbligarono quell’animale ad escire dalla stanza pieno di confusione; e che questo disastro mi cagionò delle agonie mortali. Pure nodrivo tanta confidenza nel mio sposo, che, avvisatolo della disgrazia, lo pregai d’inviarmi un altro attestato in buona, e lodevole forma. Passati due, o trè ordinarj, mi rispose, in generale, che non potea mandarmi allora quanto bramavo; e che, alla prima occasione sicura, avrebbe soddisfatta la mia inchiesta. Dopo tale Epoca, le sue Lettere doventarono, di giorno in giorno, più fredde, ed a misura della sua indifferenza si aumentavano i miei sospetti. Questi finalmente mi condussero alla Città, dove ritrovo, che i due Testimonj del matrimonio sono passati all’altra vita; e che il mio sposo è vedovo d’una Giovane, già trè mesi da lui pigliata per ubbidire al Padre. In poche parole, egli mi fugge; e mi rifiuta. Se me gli accostassi, per convincerlo della sua perfidia, il Padre, benche prestasse fede alle mie parole, lo sosterebbe contro le mie pretese: se divolgassi il fatto per la Città, quale riparo potrei aspettare d’una ingiustizia di cui non ho prove? Egli, senza dubbio, s’immagina di ridurmi per necessità, a credere i miei diritti, con una vitalizia pensione, ma più tosto morrò prima di venire a tale passo. Fategli sovvenire, vi priego, quanto mi dicea, dopo la nostra segreta unione; il piacere che si pigliava di ridere, quando mi scuoprivo trascurata, e la mia aria ridicola, e sciocca quando volevo comparire indifferente per lui, in presenza degli altri. Dimandategli, se gli è possibile, che quella, la quale non potea a sua requisizione occultare il proprio amore per lui, possa di presente rinunziare per sempre, al suo? Ah! mio Signore, i cuori sensibili non conoscono indifferenza nel matrimonio; da questo potete giudicare lo stato deplorabile, a cui mi veggo ridotta . . . . . . Esprimetelo in quella maniera che vi piacerà; ma non tardate d’avvertirne il Pubblico, se avete qualche compassione della innocenza esposta alla infammia. Sono &c.