Citazione bibliografica: Cesare Frasponi (Ed.): "Lezione CLXXXII", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.3\182 (1728), pp. 322-328, edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.5157 [consultato il: ].


Livello 1►

Lezione clxxxii.

A mercanti di bassi natali, che pigliano, per mogli Dame di grande aria.

Citazione/Motto► Malo venusinam, quàm te, Cornelia, mater
Graccorum, si cum magnis virtutibus affers
Grande supercilium, & numeras in dote triumphos.
Tolle tuum, precor, Annibalem, victumque siphacem
In castris, & cum tota Carthagine migra.

Juven. sat. VI.157. ◀Citazione/Motto

Livello 2► Se da una parte la storia d’una Persona saggia, e virtuosa riesce più utile a quelli, che la leggono, di quello siano i precetti d’un esquisita morale, si puo dire dall’altra, che il racconto delle disgrazie, e degl’imbarazzi, ai quali un Uomo si espone per avere pigliate false le misure nella sua condotta, faccia più impressione sopra di noi e più c’impegni ad evvitare i medesimi inconvenienti, di quello facciano le massime, e le istruzioni più rillevate. Voglio perciò inserire quì la seguente lettera, lasciando a miei Leg-[323]gitori la cura di ritrarne il loro profitto, senza aggiongervi riflessione veruna.

Livello 3► Lettera/Lettera al direttore► Sig. Filosofo.

Dopo avere letta con attenzione la Lettera scrittavi dal Sig. Gabbato, ed il discorso, che le avete aggionto sopra le Spille, che i mariti accordano alle loro spose, mi arrischio di rappresentarvi il mio stato, che non è gran cosa meno deplorabile di quello dell’accennato Gentiluomo. Livello 4► Exemplum► Nato di bassa stirpe, incominciai a stabilirmi nel mondo, col traffico di qualche vecchia ferrareccia, nè fui conosciuto i primi anni, che sotto il nome di Giannoto Anolo. Sono sempre stato industrioso nel guadagnare danaro, a segno che nella età di venticinque anni, avevo adunate quattro mila duecento Pezze cinque lire, e due soldi. Allora intrapresi grandi affari, ed ebbi tanta fortuna, sì per mare, come per terra, che in poco tempo, doventai molto ricco. In istato di prestare servigio, ed alla Corte, ed alla azione, nella età di trentacinque anni, ebbi il titolo di Cavaliere, e vissi in grande riputazione, frà miei concitadini, sotto il nome di Cav. Gioanni Anolo. Essendo di ambizioso naturale, non pensai, che a stabilire una possente Casa; e volli, che i [324] miei discendenti avessero qualche goccia di sangue nobile dentro le vene. A tal’ effetto, mi rivolsi ad’ una Dama giovane, d’illustre Famiglia, che si chiamava Celia Letteranga. Assine pure di concludere, con sollecitudine, le diedi carta bianca, con pieno arbitrio di prescrivermi le condizioni, che le piaceano. Le fine dimande si restrinsero a pochi articoli; ella non si curò, che della intera disposizione de’ miei Beni, e di tutto ciò, che apporterebbe alla Famiglia. Il Padre, ed i Fratelli, mostrarono, da principio grande repugnanza a questo matrimonio, nè vollero, per qualche tempo, vedermi; ma poscia siamo doventati sì buoni amici, che quasi ogni giorno, pranzano meco, e mi hanno fatta grazia di pigliare imprestito buona parte del mio danaro; il che l’Illustrissima mia sposa non lascia di far valere, quando vuole darmi prove dell’amore, che i suoi Parenti hanno per me. Vi ho già insinuato, ch’ella non ha punto di Dote; ma supplisce a questo difetto, con un sopra più di Fierezza. Ella cambiò subito il mio cognome in quello di Enolo, in vece di Anolo, sottoscrivendosi oggi Celia Enola. Abbiamo avuti de’ Figliuoli, ai quali ha fatto imporre i cognomi, e nomi della sua Famiglia. Il Figlio maggiore è il Sig. Latterango Enolo e la Primogenita la Sig. Enrichetta Enola. Da che [325] entrò in mia Casa, ne bandì tutti i miei fedeli Domestici, che mi serviano, da lungo tempo; e pose in loro vece due more, con trè gentilissimi Paggi, in abito listato d’argento, senza parlare della sua Cameriera Francese, che ciaccara tutto il giorno nel suo materno linguaggio, non inteso se non dalla Illustrissima mia sposa. Venne indi a riformare tutte le stanze; ornò tutte le camminate di specchi, e fornì tutti gli angoli della Casa di tanta Porcellana, che non posso quasi muovermi, senza timore si romperne qualche pezzo. Una volta la settimana, illumina, colle Bugie, la più bella stanza della Casa, per ricevervi, com’ella dice, le visite; ed allora non lascia mai d’avvertirmi acciò mi assenti, o mi ritiri e non le faccia vergogna presso le Persone di qualità, che ia onorano. I suoi Paggi sono si galanti, che quasi non ardisco con esso loro parlare; e se qualche volta, mi sono arrischiato di placidamente avvertirli d’un passo mal fatto, mi rispondono, con dispregio, d’avere ubbidito alla Illustrissima. Dopo i primi trè mesi del nostro matrimonio, che fuol’essere tutto miele, e tutto zuccaro, le insinuai dolcemente, non essere troppo ragionevoli le innovazioni, che ogni giorno, fea nella Casa; ed ella mi rispose, che non dovevo più considerarmi come Cavallier Anolo, ma [326] come suo sposo; ed aggionse, grinciando il sovraciglio; pare non sappiate ch’io mi sia. Rimasi, non poco, sorpreso nel vedermi così rilevato, dopo tutte le famigliarità ch’aveamo passate insieme. Mi fa dopo conoscere, che, non ostanti le libertà, mi và qualche volta, accordando, pretende le porti il rispetto dovuto alla sua nascita. Il nostri Figlivoli, fin dalla culla, hanno si ribattute le orecchie di tutto ciò, che riguarda la Famiglia della loro madre, che sanno, sulla punta delle ditta, la storia di tutti li grand’Uomini, e di tutte le Donne illustri della medesima. Racconta loro un millione di volte, che un tale de’ suoi Antenati comandava l’Armata nella tale Battaglia; che il loro Bisavolo fù ucciso sotto un Cavallo, nel tale conflitto; che il loro Zio era stato all’assedio di Buda, che sua madre avea ballato col Prencipe N. e quantità d’altre bagatelle di questa natura.

Mi ritrovai, l’altro giorno, in qualche sconcerto, nell’udire la inchiesta della mia picciola Enrichetta; perche non le parlassi mai de’ Generali d’armata, e de’ ministri di stato della mia Famiglia? benche me la facesse con innocenza. Il mio Primogenito Letterango, è sì gonfio, per le belle istruzioni di sua madre, che se non cambia condotta, potrei diseredarlo. Non avea, per anco, nove an-[327]ni, che sfoderò la spada contro di me, dicendomi che volea essere trattato da Gentiluomo. Mi disponevo à punire la di lui insolenza, quando sopravenne la mia Illustrissima sposa, e mi priegò d’arricordarmi, che vi era qualche differenza trà la di lui madre e la mia. Non vi è un solo de’ miei Figliuoli, nel quale, non si applichi, tutto il giorno, a cercare i delineamenti di qualch’ uno della sua Famiglia, benche, per dirla qui di passaggio, ve ne sia un picciolo guanciuto, che mi rassomiglia, come due giocce di acqua. Quando m’ha veduto scherzare con loro, e mettermeli sopra i ginocchj, mi ha priegato, più d’una volta, di accarezzarli meno che posso, acciò non contraggano veruna delle mie arie impolite; e questo m’irrita all’estremo.

Sappiate pure, già che ho incomminciato ad aprirvi il cuore, ch’ella crede essere a me tanto superiore nel giudizio, quanto è nella nascita, e perciò mi tratta da Grossolano, che non conosce le civili maniere del mondo. Vuole dirigermi ne’ miei traffici; sempre vi ritrova che dire; e si altera se non mi appiglio al di lei parere nelle spedizioni delle merci. ◀Exemplum ◀Livello 4

In somma, Riverito Signore, mi ritrovo in tanto disordine, che per ripigliare il mio antico tenore di vita, mi sommetterei volentieri, a principiare un nuovo stabilimento; essere ancora [328] Gianotto Anolo: ma ahi! non posso scarricarmi, e bisogna mi soscriva, con amarezza di cuore &c.

Gian. Enolo Cav. ◀Lettera/Lettera al direttore ◀Livello 3 ◀Livello 2 ◀Livello 1