Cita bibliográfica: Cesare Frasponi (Ed.): "Lezione CXLII", en: Il Filosofo alla Moda, Vol.3\142 (1728), pp. NaN-103, editado en: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): Los "Spectators" en el contexto internacional. Edición digital, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4999 [consultado el: ].


Nivel 1►

Lezione cxlii.

Agli Atei.

Cita/Lema► Caelum ipsum petimus stultitia.

Hor. L. I. od. III. 38. ◀Cita/Lema

Nivel 2► Metatextualidad► Ricevetti jei sera una Lettera dal mio illustre Amico, il Teologo; in questa mi dice, che ha letto con piacere il mio ultimo Foglio, particolarmente i due ultimi capi, e mi priega di udirvi il seguente, da lui composto di proprie, e d’altrui riflessioni, spiegate con maggiore chiarezza. L’inserisco dunque quì, parola per parola, ne dubito, che il Pubblico non me ne abbi qualche obbligazione. ◀Metatextualidad

Nivel 3► Carta/Carta al director► Un Cristiano, che si affatica per la conversione d’un ateo de’ più indurati, merita, non solamente scusa, ma lode perche si propone l’interesse spirituale, e dell’uno, e dell’altro. L’ateo, che cerca di guadagnare un Cristiano, è inescusabile per ogni verso, mentre non ha per iscopo vantag-[98]gio alcuno, ne per se, ne per lui.

La speranza d’un’altra vita è quella, che consola, e rallegra l’anima mia, rende d’intorno a me tutta la natura ridente, raddoppia i miei piaceri, e mi sostiene in tutte le mie afflizioni.

Posso rimirare, con indifferenza, le disgrazie, ed i roverscj della Fortuna; i Dolori, e le malattie; la stessa morte; ed anche se v’è di peggio; la perdita di quelli, che mi sono più cari al mondo, pigliando di mira le delizie della eternità: ed un nuovo stato, in cui non vi sono, nè timori, nè spaventi, nè pene, nè afflizione; nè malattie, nè veruna separazione d’amici. Bisogna, che una sia molto incivile per dirmi, che il tutto non è, che una illusione; ed una chimera. Vi è qualche merito nell’essere portatore di funeste, ed inutili nuove? Se le mie speranze sono un sogno, me ne lascj godere, mentre serve a rendermi più felice. e piu buono.

Non veggo, in oltre, come possa fidarmi d’un Uomo, che non crede vi sia Cielo da sperare, nè inferno da temere; nè ricompense, nè pene in avvenire. Non solamente l’amore proprio, ma eziandio la ragione ci detta; che dobbiamo preferire i nostri interessi ad ogn’altra cosa. Un Cristiano non puole avere mai interesse nel farmi del [99] male persuaso, che dee un giorno rendere conto delle sue azioni, e ch’egli stesso ne partirebbe. Ben lontano da questo; se aspira alla Beatitudine, al suo bene, cercherà di prestarmi ogni sorta di buoni ufficj. Ma un ateo non opra da ragionevole creatura, s’egli mi favorisce contro il suo interesse presente; o se non mi fà qualche ingiustizia, quando questa risulti in suo vantaggio. E vero, che una bontà naturale, o l’onore del mondo, ponno legargli le mani; ma se, da una parte, questi motivi acquistano un nuovo grado di forza sostenuti da’ principj della ragione, e della virtù; si può dire, dall’altra, che senza il loro soccorso, non sono che puri istinti, o idee fluttuanti, ed, incerte, che non si appoggiano sopra verun fondamento.

E’ qualche anno, che i nostri dotti scrittori hanno perseguitato l’ateismo, con si buon successo, che gli hanno scacciati dalle loro trincere; e l’atteo, forzato a lasciare il suo posto, si è rifugiato nel Deismo, e si è ridotto à negare la rivelazione. Ma è certo, che la maggior parte di codesti empj, sia per mancanza di buona educazione, o d’un serio esame de’ nostri principj, intendono si poco di che si tratta, che la loro incredulità non è che un altro termine, per ispiegare la loro ignoranza.

[100] Se la Pazzia, e la stupidezza sono i fondamenti della Incredulità, si può dire, che le sue colonne, ed i suoi piu grandi Appoggi, sono, o la vanità, di comparire più saggi di tutto l’umano Genere, o di avere coraggio per dispreggiare i terrori dell’altro mondo, che hanno tanta influenza sopra di quelli, che intitolano spiriti deboli; o un avversione a credere ciò che loro toglierebbe molti piaceri, che si promettono, e cagionerebbe loro crudeli rimorsi per quelli, che hanno di già goduti.

Gli Articoli del Cristianesmo sono stati si bene provati, coll’autorità della Rivelazione divina, a cui si appoggiano, ch’è impossibile l’avere orecchi per udire o occhi per vedere, e non rimanerne convinti. Ma, supposto per impossibile che vi fosse qualche errore nella fede Cristiana, non veggo ne possa risultare verun male a quelli, che la professano. I gran’ Punti della Incarnazione e Passione di nostro Signore, naturalmente producono nell’animo dell’Uomo si felici disposizioni alla virtù, che malgrado tutto l’errore vi possa essere quando si voglia, fa di mestieri, che l’Incredulo almeno confessi, non essere dabile verun altro sistema di Religione il quale contribuisca, con tanta efficacia, a stabilire i buoni costumi, e la pubblica tranqui-[101]lità. Questi articoli ci suggeriscono un’altra idea circa la dignità della natura umana, e circa l’amore di Dio verso le sue Creature; e per conseguenza c’impegnano, all’adempiemento de’ nostri doveri, verso di lui, verso il nostro prossimo, e verso noi medesimi. Quali eccellenti motivi per la pratica della virtù, a questi trè riguardi, non ha S. Paolo ricavati da’ principali dogmi della nostra credenza? Ne darò un solo Esempio per ciascheduno: Vi è niente, che più c’impegni a vigorosamente confidare in Dio, ed appoggiarsi alla sua misericordia, dalla bontà, ch’ebbe di esporre il proprio Figlio, per noi, alla morte? vi è niente, che ci porti con tanta forza, all’amore ed alla stima dell’Uomo, anche più dispregievole, del pensiero, che Gesu Cristo ha patito per lui? Vi è niente, che più ci ecciti a menare una vista casta, e regolata dell’onore, se abbiamo d’essere membra del Santo de’ Santi, si come del corpo mistico, di cui egli è Capo? Ma questo non è che una picciola mostra de’ nobili incorraggimenti alla virtù, che l’Appostolo ha raccolti dalla storia del nostro Salvatore divino.

Se i nostri moderni increduli, esaminassero questi riflessi coll’attenzione, e colla buona fede, che meritano, non li vedremmo disputare, con tanta as-[102]prezza, arroganza, e malizia. Non avvanzarebbono tante ciarle, tanti dubbi, e tanti scrupoli che si ponno addurre contro tutto ciò, che non è capace d’una matematica dimostrazione, per imbrogliare la mente degl’ignoranti: turbare il pubblico riposo: e seminare, da per tutto, il disordine, e la confusione.

Se nissuna delle accennate rflessioni [sic] li tocca, ven’è una altra, che potrebbe moverli mentre si accomoda alla vanità, che più della ragione serve loro di guida. Questo però sia detto ad abundantiam salva la verità d’una solo Fede.

I più saggi ed i più letterati dell’antichità hanno seguita la Religione del loro Paese, quando non vi ritrovavano cosa contraria alla buona morale, o alle idee, che aveano della natura divina.

Il primo precetto di Pitagora, a darvi il senso più naturale, che possa ricevere, impegnava gli Uomini ad onorare i Dei nella maniera, che venia ordinata dalle Leggi. Socrate il più famoso di tutti i Pagani per la sua virtù, e Prudenza, negli ultimi momenti di sua vita, priega i suoi amici, di offrire un Gallo ad Esculapio, senza dubbio per uniformarsi al culto religioso stabilito nel suo Paese. Xenofonte parlando del suo Principe, che propone per modello agli altri, ci [103] dice, che vicino a morte offrì sulle montagne, al Giove del suo Paese, ed al sole, giusta il costume de’ Persiani, come riferiscono le storie. Che più? Gli Epicurei, ed i Filosofi Atomisti, mostravano assai discretezza, in questo proposito, malgrado il loro sistema di Fisica ch’essigliava la Divinità dal mondo; si restringeano a negare la Provvidenza; e sosteneano in generale, per non offendere la opinione ricevuta frà gli Uomini, ne la Religione del loro Paese, che si davano i Dei.

Questa riflessione, benche infelice per quelli, che non si ritrovano ab ovo nel grembo di Chiesa santa, avrebbe potuto mantenervi tanto e tanti Paesi, ne quali trionfa, con libertà il Zelo dell’ateismo. ◀Carta/Carta al director ◀Nivel 3 ◀Nivel 2 ◀Nivel 1