Citation: Cesare Frasponi (Ed.): "Lezione CXXXIV", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.3\134 (1728), pp. NaN-59, edited in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): The "Spectators" in the international context. Digital Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4991 [last accessed: ].


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Lezione cxxxiv.

A’ curiosi Letterati sopra una visione orientale circa lo stato di questa, e dell’altra vita.

Citation/Motto► Omnem, quae nunc obducta tuenti.
Mortales hebetat visus tibi, & humida circum.
Caligat, nubem eripiam:

Virg. En. 11.604. ◀Citation/Motto

Level 2► Metatextuality► Tengo diversi manoscritti Orientali, che mi vennero frà le mani quando mi ritrovavo al gran Cairo. Ven’è uno, che ha per titolo: Le visioni di mirza, e che ho letto con molto pia-[52]cere. Il mio disegno è di pubblicarlo, parte a parte, quando non avrò di che altro trattenere i miei Leggitori. Ecco per tanto la prima versione, da me tradotta ne’ seguenti termini. ◀Metatextuality

Level 3► Allegorie► Il quinto giorno della Luna, ch’è una Festa da me sempre osservata, giusta il custume de’ miei Antichi, dopo essermi lavato il corpo e d’avere fatte le mie Divozioni della mattina, mi portai sulle alte montagne di Bagdat. A fine di passarvi il rimanente della giornata, in meditazioni, ed orazioni. Gionto alla sommità, mi vi si posi a sedere, ed occupato a profondamente riflettere sopra la vanità della vita umana, dicevo frà me stesso: senza dubbio l’Uomo non è, che un ombra, e da lui vita non è, che un sogno. Dopo rivolti gli occhi ad una Rocca, che non era gran cosa da me lontana, vi scuoprj un Uomo in abito di Pastore con uno stromento di musica in mano, appena questi s’avvide, che io lo rimiravo, si pose a suonarlo. L’armonia di quello stromento era si dolce, e la melodia sì varia, che mai avevo udito il compagno. Questo mi suggerì que’ divini concerti, che godono le anime virtuose al loro ingresso nel Paradiso; e che servono a scancellare le impressioni delle loro ultime agonie; come pure a metterle in istato di gustare i piaceri di quel soggiorno Beato; Ero, [53] in somma, quasi rapito in estasi.

Correa da lungo tempo una voce, che quella Rocca venisse frequentata da un Genio, e che diverse Persone aveano udite le di lui armonie, senza però averlo mai ravvisato. Che che ne sia, dopo avermi così allettato alla brama di godere la sua deliziosa conversazione, mi fè segno colla mano d’avvicinarmi a lui. Io l’ubbidj, col rispetto dovuto ad una superiore natura indi con il cuore penetrato dalla sua benigna condiscendenza, colle lagrime agli occhi, mi gettai a suoi piedi. Egli sorrise, con un’aria sì affidabile, e si piena di compassione, che dissipò in un subito il timore da cui ero oppresso, stese poscia la mano a rialzarmi, e disse: Mirza, ho intesi i vostri soliloquj; seguitemi.

Mi condusse fino alla più alta cima della Rocca, e dopo essermivi assettato, mi disse; voltate gli occhi a quella parte, segnandomela colla destra e ditemi ciò che vedete. Veggo, gli dissi, una grande valle, ed una prodigiosa corrente di acque che l’attraversa. La valle che vedete, soggiunse, è la valle di miseria; e la corrente delle acque forma in parte l’oceano immenso della eternità. D’onde proviene repplicai quell’acqua esca da una folta nebbia in quella parte,, [sic] e da quell’altra, in una Fosca nuvola si perde [54] quell’acqua che vedete, mi rispose, è la porzione della eternità, che si chiama tempo, quello, che si misura col giro del sole, e che scorrerà sino alla fine del mondo. Esaminate ora, continuò, quel mare sì ristretto fra le tenebre, per ogni lato, e ditemi ciò che vi scuoprite. Veggo, gli dissi, un Ponte che lo attraversa. Quel Ponte mi disse, è la vita umana, consideratelo bene a vostro bell’agio. Dopo averne fatta una più esatta revista, ritrovai, che vi erano setanta Archi interi, e molti rotti, che tutti assieme poteano arrivare al numero di cento in circa. Scuoperti da me gli Archi, il genio mi disse, che da principio ven’erano sino a mille, ma che un Diluvio avea disfatti quelli, che vi mancavano e lasciato il Ponte nello stato rovinoso in cui si vedea.

Ma non iscuoprite, aggiunse, altro? Veggo, gli dissi, una infinità di gente, che sopra vi passa, ed una folta nuvola, dall’uno, e dall’altro capo. Veggo in oltre, grande numero di passageri, che dal Ponte cadono nell’acqua; e mi accorsi, che vi era quantità di Trabocchetti nascosti, sopra dei quali, appena vi aveano posto il piè, che s’immergeano, ed in un momento disparivano. Que’ Trabocchetti erano sì numerosi all’ingresso del Ponte che, trà la gran folla, che escia dalla nuvola, moltissimi subito vi cadeano.

[55] Non erano però sì frequenti, verso la metà, ma verso la Estremità degli archi interi, se ne ritrovano in grande coppia. Vi era poi qualche piccolo numero di persone, che si strascinavano sugli archi rotti, ma stanchi dal lungo, e faticoso camminare, cadeano l’uno dopo l’altro, nel seno di quell’oceano profondo.

Contemplavo quella stupenda Fabbrica, e la grande varietà degli oggetti, che mi offeriva agli occhi, quando mi sentj oppresso da tetra malinconia, nel vedere tante Persone, che in mezzo delle allegrezze, e de’ piaceri andavano soccombendo e che si attaccavano a quanto venia loro alla mano per salvare la vita. Alcuni, che rimiravano il Cielo assai pensierosi si ecclissarono in un subito, frà le loro speculazioni. Ven’erano infiniti altri che ardentemente correano dietro a picciole brombole piene di aria, che brillavano a loro occhi ma quando erano in procinto di giognerle, venia loro meno il piè, e feano la tombola giù del Ponte. Non ostanti que’ vari oggetti, che cagionavano una specie di confusione, ne osservai alcuni, con scimitare, ed altri, con ampolle in mano, che andavano, e venivano sopra il Ponte, nè si feano scrupolo veruno di spignerne in grande numero dentro i Trabocchetti, che parea non fossero nel loro sentiero; e [56] che gli avessero potuti evitare, se non fossero stati forzati a cambiare il giro.

Quando il genio s’accorse, che io mi abandonavano a quello spettacolo sì funesto, mi disse, che ne distogliessi la vista, e che esaminassi se vi era qualche altra cosa da me non intesa. Gli dimandai in oltre, che significassero quelle gran truppe d’uccelli, che giravano d’intorno al Ponte; e che vi si postavano, di tempo in tempo; che volessero dire quelle Arpie, quegli Avvoltj, que’ Gussi, e particolarmente que’ Fanciulli alati che si poggiavano a folla sulle Arcate di mezzo. Que’ uccelli, mi rispose, sono la superstizione, l’Avarizia, al Invidia, la disperazione, l’Amore, con tutte la altre Passioni [sic] , e sollecitudini rabbiose, che tormentano gli Uomini.

Ahi, diss’io allora sospirando; l’Uomo dunque è stato fatto in vano, mentre viene abbandonato alla miseria in vita poscia rimane ingojato dalla morte! Il Genio, mosso a compassione della mia afflizione, mi disse di non rimirare più l’uomo nella prima scena della sua esistenza, quando si mette in viaggio per giugnere alla eternità; ma di raccolgere gli occhi a quella folta nuvola dove la corrente strascina le differenti generazioni degli Uomini. Obbidj a suoi ordini, e (o mi fortificasse con maniera straordinaria la vista; o [57] dissipasse parte di quella nuvola, che da principio era impenetrabile a miei occhi) vidi, che la valle si apriva da quella parte e si estendea in un vasto oceano, il quale era attraversato da una grossa Rocca di Diamante, che lo dividea in due parti uguali, ma una parte rimase sempre sepolta nelle tenebre, si che niente potei vedervi; mentre l’altra mi parve seminata da una infinità d’Isole coperte di Fiori, e di Frutti, circondata da un acqua, che si rassomigliava al Cristallo. Vi distinsi delle Persone vestite di abiti maestosi, con le corone sulla testa, che passegiavano, frà gli Alberi, si corricavano vicino alle Fontane, o riposavano sopra Letti di Fiori. Vi udì allo stesso tempo una confusa armonia di canti d’uccelli; di mormorj di acque, di voci umane, e di musicali stromenti, sì che la gioja s’impadronì del mio cuore; ed avrei desiderate le ale d’un Aquila per volare a que’ beati soggiorni; mal il Genio mi avvertì, che non vi si potea andare, se non per le porte della morte, che si aprivano ad ogn’ora sul Ponte. Le isole, proseguì, che vedete sì fresche, e verdegianti, e che vi pare cuoprano la superfice dell’oceano, per quanto puol’ stendersi il vostro occhio, sono più numerose della sabbia del mare; ve ne sono de’ millioni, de ’millioni, più di quelle, che si offrono a vo-[58]stri occhi; di la da tutto ciò, che la vostra immaginazione ne può concepire. Quello è il soggiorno destinato alle Persone da bene, dopo la morte; e giusta le differenti virtù, che avranno praticate; o i gradi ai quali saranno giunte, debbono essere distribuite in quelle Isole, ciascuna delle quali forma un Paradiso, dove abbandono tutti i Piaceri, proporzionati al gusto, ed alle qualità di quelli, che le abitano. Non è quello un soggiorno per cui dovreste sospirare? Non è egli degno, Mirza, delle vostre premure; e delle vostre pene? Vi pare adesso, che la vita sia infelice, se vi somministra la maniera di ottenere una sì gran ricompensa? Dovete voi temere la morte, che vi trasporta a tanti godimenti? Non v’immaginate per tanto, che l’Uomo sia stato fatto in vano, se dee godere una gloria eterna. Dopo avere goduto un estremo piacere, alla vista di quelle Isole fortunate, supplicai il buon Genio a manifestarmi tutto ciò che vi era nell’altra parte della Rocca di Diamante, che appariva coperta di tenebre spaventose. Egli non mi rispose una sola parola, e quando volevo di nuovo insistere, m’avvidi, ch’egli era disparso. Rivoltai l’occhio verso gli oggetti, che aveano occupata la mia attenzione, ma in vece dell’oceano, del Ponte, e delle Isole, non vidi, [59] che la lunga, e profonda valle di Bagdat, con Bovi, Pecore e Camelli, che passavano sulle Colline. ◀Allegorie ◀Level 3 ◀Level 2 ◀Level 1