Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CCCVIII", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.5\308 (1729), S. NaN-379, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4878 [aufgerufen am: ].


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Lezione cccviii.

A‘ Letterati sopra la natura umana, e sopra la immortalità dell’Anima.

Zitat/Motto► Quia nostram de illo originem trabimus.

Arat. in Phan. v. 5. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Ebene 3► Brief/Leserbrief► Sig. Filosofo.

Riesce molto a proposito, in certe occasioni straordinarie, l’arricordare a Grandi, ed alle Persone di rango ellevato, la loro nascita, e cioè che questa da loro esigge, acciò tale idea gli allontani da tutto ciò, che è basso, vile, o reo; e gl’incorraggisca alle azioni illustri. Così la Nobiltà diventa un principio di virtù, e produce il merito, di cui è stata, da principio, ricompensata.

Per questo stesso motivo, se non m’inganno, in alcune delle vostre Lezioni avete difesa la dignità della natura umana. Ma voi sapete, che non tutto il mondo è d’accordo in questo: vi sono Autori, che nè hanno tutt’altra idea, e sono stati scritti de’ Libri in forma di massime, per mostrare la fal-[372]sità delle umane virtù. Pare che tali irflessioni [sic] odorino sempre l’amore, ed il Carattere di chi le fà. I Politici attribuiscono le più belle azioni degli uomini all’artificio, ed all’astuzia. Altri infastiditi, e desolati dall’avere provate mille rabbuffate, o de’ tratti cattivi, pigliano, come lumi di Filosofia, i vapori della loro milza. Quelli che sono immersi nel vizio, e si ritrovano incapaci di distinguersi, per qualche buon verso, cercano di rovinare fino le apparenze del vero merito, che pare rimproveri loro il disordine, in cui vivono. Finalmente i spiriti Satirici avvelenano il tutto, e tutto ci dipingono sotto i più neri colori. Da tutte queste differenti mani abbiamo Ritratti della natura umana simili a quelli, che si chiamano Carriature, la di cui arte consiste, nel lasciarvi, frà proporzioni slogate, e tratti carricati, qualche rassomiglianza, che si distingue la Persona in maniera, che la più graziosa beltà vi comparisce qualche orribile mostro.

E’ un mancare di sincerità il mettere così a livello le più oneste colle più infami persone; ed il voler degradare tutta la specie per i particolari difetti. Egli è un togliere il buon concetto non solamente agli altri, ma eziandio a se medesimo, che è il gran-[373]de preservativo della Innocenza, e l’anima della virtù.

Accordo esservi nell’uomo una stravagante mescolanza di Beltà, e di Brutezza, di saviezza, e di pazzia; di virtù, e di vizio. Tale contrasto si vede in infinite Persone, e ciascun individuo per certi versi, ed in certe occasioni è si opposto a se medesimo, che l’uomo comparisce la più incostante, e la più sregolata creatura del mondo. Così la questione in fatto morale sopra la dignità della natura umana, a prima vista, si rassomiglia a certe spinose quisitoni [sic] della Fisica, dove gli argomenti dell’una e dell’altra parte compariscono di forza uguale. Ma per avere, nel proposito, una giusta idea, piglierò quì imprestito una eccellente riflessione di accreditato Soggetto, che mette la cosa in tutta la sua chiarezza.

È cosa pericolosa il troppo far vedere all’uomo quanto sia uguale alle Bestie, senza mostrargli la sua grandezza: È parimente assai pericoloso il fargli troppo vedere la sua grandezza, senza la sua bassezza. Riesce anche più pericoloso il lasciarlo all’oscuro dell’una, e dell’altra. Ma è avvantagiosissimo il rappresentargli e l’una, e l’altra. Qualsivoglia imperfezione si si ritrovi nella nostra natura, la Religione, e la verità servono a coreg-[374]gerla quanto è possibile nello stato in cui viviamo. Non è poco incorraggimento per le anime ben nate il pensare, che ne saranno del tutto libere, all’escire da questi corpi mortali. La solenne, e sublime maniera, con cui gli ebrei salutavano i loro Rè in questi termini: O Rè vivi eternamente! Dan. II. Puole indrizzarsi al più infelice, e dispregiato di tutti gl’uomini, mal grado tutte le calamità, e disgrazie, che lo circondano. Chi crede la immortalità dell’anima, non ha bisogno di migliore prova a favore della sua natura; nè di più forte motivo, per impegnarlo alla pratica della virtù.

Questa riflessione mi conduce naturalmente ad un Soggetto, che ho toccato in una delle precedenti mie Lettere; nè posso che gustare un vero piacere nell’arricordarmi ciò che dice al proposito Cicerone nella chiusa del suo Libro intitolato, Della Vecchiezza. Tutti quelli che hanno letto questa opera ponno arricordarsi, che il Vecchio Catone vi è rappresentato, come quello che parla, o ammaestra, e che Scipione, e Lelio fanno la parte di Discepoli, o di Uditori. Dall’orlo del Sepolcro, in cui già teneva, per così dire, un piè, quel Venerabile Personaggio, si trasporta per così dire nella vita a venire, e s’innalza alla contemplazione della [375] parte immortale di sè medesimo, e della sua esistenza dopo la morte. E già che avete pubblicati alcuni argomenti per la immortalità dell’anima, ricavati da’ lumi del Cristianesimo, e della Ragione, mi lusingo che i vostri Leggitori non isdegneranno di vedere questa grande verità brillane ne’ Scritti dell’Oratore Romano.

Ebene 4► Zitat/Motto► Quanto alla origine eterna dell’anima, dice Catone, io non veggo se ne possa dubitare, quando sia vero, che gli uomini vengono al mondo muniti di moltissime cognizioni. Egli è un grande argomento di questo la facilità, e la prontezza, con cui i Fanciulli apprendono difficilissime arti, nelle quali vi sono infinite cose da comprendere; il che dà luogo a credere non sieno loro nuove, e che ammaestrandoli in esse non si faccia altro, che risvegliarne la loro memoria. Questo ci viene insegnato dal nostro buon amico Platone.

Posso aggiugnere a ciò che ho detto, il discorso, che fè il primo Ciro a’ suoi Figliuoli sul punto di morire, riferito da Xenofonte. Ebene 5► Zitat/Motto► „Guardatevi bene, miei cari Figliuoli, di credere, disse loro, che io non sia più niente, o non mi ritrovi in parte veruna, quando vi avrò lasciati, nel tempo medesimo, che ero con voi; voi non vedevate punto il mio Spirito, ma ciò, che mi vedevate operare, vi faceva pensare si ritrovasse uno spirito nel mio corpo. Non [376] dubitate dunque, che questo spirito non sussista, anche dopo, che ne sarà separato, benche non si manifesti per azione veruna. A che si renderebbono a grand’ uomini tanti onori dopo la morte, se il loro Spirito fosse senza veruna azione, che ne possa conservare la sua memoria? Per me ho mai potuto persuadermi, che i nostri Spiriti non vivano se non tanto quanto se ne stanno dentro i nostri Corpi; e che muojano quando ne escono; nè che se ne stiano sproveduti d’intelligenza, e di Sapienza, allorche sono disimpegnati da un Corpo, che non ha in se stesso nè ragione, nè senno. All’opposto credo, che quando lo Spirito, disimpegnato dalla materia, si ritrova in tutta la purità, e simplicità della sua natura, goda più sapienza, e maggiori i lumi. Alla morte si vede ciò che diventano le parti, che formano i nostri Corpi, ritornano sotto i nostri occhi al luogo da cui furono ricavate; ma lo Spirito, ch’è di altra natura, non si vede, nè quando stà nel corpo, nè quando n’esce. Non vi è niente di più simile alla morte del sonno: ora in tempo del sonno, lo Spirito fà meglio vedere, che ha del Divino: Allora meno occupato dal corpo, penetra l’avvenire, e vi scopre infiniti [377] obbietti; che sarà dunque allorche se ne ritroverà, intieramente disciolto? Ciò supposto, è vostro dovere l’onorarmi, come un Dio, dopo la morte. E quando anche lo Spirito morisse col Corpo, sempre il rispetto, che dovete a’ Dei, che governano l’universo, e lo tengono in sì bell’ordine, doverebbe obbligarvi a conservare sentimenti di tenerezza verso la mia memoria. ◀Zitat/Motto ◀Ebene 5

Ecco ciò, che diceva Ciro in punto di morte. Ma se vi piace, ritorniamo da’ stranieri, a ciò che ritrovasi frà di noi. Mai rimarrò persuaso, mio caro Scipione, che vostro Padre Paolo Emilio, nè i vostri due Avoli, Paolo, e Scipione l’Affricano, nè il Padre di questi, nè suo Zio, nè tanti altri grand’ uomini, che non è quì necessario il numerarli, avessero intraprese tante gran cose, delle quali se ne conserverebbe dalla posterità la memoria, se non avessero apertamente veduto, che l’avvenire anche più lontano di dovesse considerare meno del presente. E per vantarmi, anch’io la mia volta giusta il costume de’ vecchi credete voi, che avessi affaticato giorno e notte, come ho fatto, e nella Guerra, e nell’interno della Repubblica, se la gloria delle mie fatiche dovesse finire colla mia vita? Non averei io senza paragone fatto meglio di passarla in riposo, senza imbarazzarmi in veruno affare? Ma quest’ Anima, elle- [378] vandosi, in qualche maniera, sopra il tempo, che dovevo vivere, ha sempre dirette fino alla posterità le sue mire; ed ho sempre fatto conto d’essere più vivo, dopo il fine di questa vita mortale. Così computano tutti i Grand’ uomini; e se l’Anima non fosse immortale, non farebbono tanti sforzi, per giugnere alla immortalità.

Di più d’onde nasce, che i più Sapienti abbracciano più volontieri la morte, ed i più sproveduti di Sapienza più temono di morire? Non è questo, perche quanto più lo Spirito gode di estensione, e di lume tanto più vede con chiarezza, che la morte non è se non passaggio a qualche cosa migliore; e che, chi ha meno lume, meno la vede? Per me desidero con ardore di unirmi a vostri Padri, per i quali ho nodrita tanto venerazione, ed amore anzi non solamente a que’ grand’ uomini, che ho conosciuti; ma eziandio a quelli, de’ quali ho inteso a parlare; e de’ quali ho lette, o scritte io stesso le azioni. Mi porto dunque verso di loro, con tanto giubilo, che si durerebbe fatica a rattenermi, nè mi sarebbe caro il riffondermi, come Pellia, per rinovarmi, e farmi rincominciare la vita. O giorno felice quello, in cui escirò da questa folta impura, e corotta, per unirmi a quella divina, e beata truppa di anime grandi, che prima di me hanno lasciata la Terra! Vi ritroverò non so- [379] lamente que’ grand’uomini, de’ quali ho parlato, ma eziandio il mio caro Catone, che posso dire sia stato uno de’ migliori uomini, di migliore naturale, e de più fedeli a ‘suoi doveri, da me praticati: Ho posto il suo corpo sopra il rogo, mentre averei dovuto mettervi il mio; ma la di lui Anima non ha punto lasciato; e senza perdermi di vista, non ha fatto altro, che precedermi in un Paese dove sapeva, che presto l’arriverei. Se ho sostenuta, con qualche franchezza, la perdita d’un tale Figlio, non è che non la sentissi al vivo, ma mi sono consolato, col pensiero, che non vivremo lungo tempo divisi. ◀Zitat/Motto ◀Ebene 4 Sono &c. ◀Brief/Leserbrief ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1