Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CCCVI", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.5\306 (1729), S. 359-366, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4876 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

Lezione cccvi.

A quelli, che si nodriscono colle vane speranze di arricchire.

Zitat/Motto► Spem longam reseces.

Hor. L. I. Od. 11. 7. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Metatextualität► Ho di già tratatto in un altra mia Lezione della Speranza in generale; questa girerà sopra la vana, e ridicola Speranza verso le temporali ricchezze, sorgente perenne di afflizioni, e di calamità, in questa vita, e nell’altra. ◀Metatextualität

Orazio inculca sovente questo precetto, che cioè non dobbiamo formare quì a basso alcuna trop’alta speranza, nè di troppo lunga durata. La brevità, e la incertezza della vita rende vana, ed irragionevole tale speranza. Fra noi, e l’obbietto, a cui aspiriamo, vi stà il sepolcro nascosto. Se si dà un uomo, che viva lungo tempo nel godimento di qualche bene da lui con ardore cercato, ve ne sono dieci mila attraversati dalla morte, e nel mezzo delle loro premure.

Accade in oltre, che appena morta [360] una speranza, ne succede un’altra. C’immaginiamo, che saressimo felici, e contenti, se potessimo ottenere i tali, ò tali vantaggi; ma ò per il loro vuoto, ò per la naturale inquietezza del nostro animo, ne siamo appena giunti al possesso, che estendiamo ad altri le nostre speranze. Ritroviamo sempre nuove Scene, e nuove prospettive gradite di là da quelle, che ci comparivano da lontano, e che da principio terminavano le nostre occhiate.

Le conseguenze, che nascono da tali rifflessioni si riducono alle seguenti: che le nostre speranze non debbono essere troppo lontane; che dobbiamo pesare bene li obbietti dove mirano, per sapere se sono di tale natura, che possano ragionevolmente recarci l’aspettato frutto nel loro possesso; e di più se siamo in qualche maniera sicuri di ottenerli, prima che giunga la morte. Se speriamo cose troppo lontane, in riguardo alla brevità de’ nostri giorni, può accadere, che ci venga tagliata la strada intrapresa a fine di giugnervi. Se speriamo cose delle quali non abbiamo esaminato bene il valore, riescirà maggiore la nostra mortificazione, del piacere, quando arriveremo a goderle. Se speriamo ciò che non è in nostro potere l’ottenerlo, affatichiamo, e pensiamo in vano; rendiamo la [361] nostra vita un sogno più reale, ed un ombra più sottile di quello sia in effetto.

La maggior parte delle disgrazie, e degl’infortunj, che occorre in questa vita debbono la loro origine alla poca cura di esaminare l’uno, ò l’altro di tali punti. Questi sono gli scogli, ne’ quali ogni giorno rompono i fuocosi Amanti, e per i quali sono naufragati il Negoziante, il Politico, l’Alchimista, ed il Progettante. Quelli che hanno viva la immaginazione, e l’animo ambizioso, d’ordinario trascurano i beni di fortuna, che sono a loro portata, e corrono dietro a qualche cosa, che di lontano brilla a loro occhi; lasciano il bene reale, e sodo per una risplendente chimera; dispregiano in somma ciò che ponno, senza molta difficoltà, acquistare, per ciò che non debbono ragionevolmente sperare. La Speranza fabbrica i suoi progetti sopra una lunga vita; corre dietro certi punti immaginarj di bene; abbraccia come probabili, le impossibilità, e così immerge sovente gli uomini nella miseria, nella rovina, e nella infamia.

Metatextualität► Ciò che ho detto può servire di moralità ad un Racconto Arabo, tradotto, con molti altri nell’Italiano. Vi è tanta simplicità, benche stravagente, e sì naturale, che spero vi ritroveran-[362]no i miei Leggitori tanto piacere, quanto ve ne ho ritrovato io stesso, quando meco voglino rifflettere alle graziose chimere, delle quali si sono qualche volta pasciuti, e si riconosceranno, se non Fratelli, almeno compagni del Vertrajuolo Persiano. ◀Metatextualität

Ebene 3► Fabel►Alnascarre fù , mentre viveva suo Padre, un vero Ozioso. Alla morte di questo, appena ebbe ereditate cento dramme d’argento, che le impiegò in Bicchieri, in Bottiglie, ed in altri pezzi di vetro, comprati all’ingrosso, da un Mercante. Pose il tutto dentro un Canestro, e pigliò ad affitto una piccola Bottega, in cui si mise a sedere col Canestro dinanzi, e colla schiena appoggiata al muro, aspettando chi venisse a comprare de’ vetri. In tale positura, cogli occhi fissi al Canestro, si lasciò trasportare dalla fantasia a così discorrerla, frà se stesso, con voce sì alta, che potè essere inteso da un Sartore che gli era vicino. Questo Canestro mi costa cento Dramme, ed è quanto posseggo al mondo. Vendendo alla minuta, ne ricaverò duecento Dramme, queste le impiegherò di nuovo in vetri, e ne riporterò quattrocento. Così adunerò col tempo quattro mila Dramme. Dalle quattro mila giugnerò facilmente alle otto mila. Quando ne avrò dieci mila, lascierò su- [363] bito il mestiero di ventrajuolo per fare il Giojelliere. Negozierò Diamanti, Perle, ed ogni sorta di gemme. Possiedendo allora grandi ricchezze, comprerò un Palagio, vasti poderi, Schiavi, Eunuchi, Cavalli; farò sontuosi Convitti, e sarò stimato nel mondo: farò venire Suonatori, stromenti, Ballerini, e Ballerine, nè quì mi fermerò: accumulerò, se piace al Cielo, fino a cento mila Dramme. Quando mi ritroverò sì ricco, mi stimerò quanto un Principe; e manderò a chiedere in Moglie la Figlia del Gran Visire, facendogli esporre, che intese le meraviglie della Beltà, Spirito, e Saviezza di sua Figlia, ne sono divenuto amante: e finalmente, che la prima notte delle nozze le farò il regallo di mille Zecchini. Se il Visire gionesse a tanta inciviltà di niegarmela, il che non puol’ essere, mi porterò io in persona, a levargliela, in barba, e me la condurò, suo malgrado, a Casa.

Subito che avrò sposata la Figlia del Gran Visire, le comprarò dieci Eunuchi neri, de’ più ben fatti. Mi vestirò da Prencipe, e montato sopra un bel Cavallo con Sella di oro, con la briglia ed altri fornimenti di perle, e diamanti, passeggierò la Città attorniato da Schiavi, e mi porterò alla visita del Gran Visire, sotto gli occhi de’ Grandi, e de’ plebei, che mi faranno riverenze profonde. Giun- [364] to a piè della scalla , nel Palagio del gran Visire, la salirò nel mezzo delle mie Genti, che ordinate di quà, e di là in due file, mi faranno spalliera. Il Gran Visire, ricevendomi, come suo Genero, per vie più onorarmi, cederammi la mano. Se tanto succede, come spero, due miei Camerieri avranno ciascheduno una Borsa di mille Zecchini, io ne piglierò una, e glie la presenterò, dicendo: Ecco i mille Zecchini, che ho promessi, per la prima notte del mio matrimonio; e porgendogli l’altra. Pigliate, soggiongerò, vi dono anche questa per dimostrarvi, che sono uomo di parola, e che dò più di quello prometto. Dopo tale azione, non si parlerà, che della mia generosità da per tutto.

Ritornerò, colla medesima pompa, al mio Palagio. Mia Moglie m’invierà qualche Gentiluomo a complimentarmi sopra la visita da me fatta al Visire suo Padre; io l’onorerò con una bella veste, e lo rimanderò con un ricco presente. S’ella penserà di mandarmene un altro, lo rifiuterò, e congederò chi lo porterà. Non permetterò, che esca dal suo Appartamento sotto qualsivoglia pretesto, se prima non ne sarò avvertito; e quando vorrò entrarvi, lo farò in maniera, che le imprimerà del rispetto verso di me. Quando mi ritirerò, la sera, con lei, mi porrò [365] a sedere nel luogo d’onore, affetterò un aria sostenuta, e grave senza rivoltare in alcuna parte il capo. Parlerò poco, e mentre la mia Sposa, bella come la piena Luna, se ne starà in piè, didinanzi a me, co’ suoi obbligamenti; farò sembiante di non vederla. Le sue Donne, che le staranno d’intorno, mi diranno: Nostro caro Signor’ e Padrone; ecco la vostra Sposa, e vostra umile serva: aspetta, che l’accarezziate, ed è mortificata, perche non vi degnate, nè meno di rimirarla. Ella è stanca di stare in piè, ditele almeno, che sieda. Ma io sarò inesorabile alle loro preghiere. Le terrò voltata la schiena tutta la notte, nè le dirò una sola parola. La mattina non lascierà di lagnarsene con sua Madre, ed io ne proverò contento al cuore. La Madre verrà a ritrovarmi, mi bacierà con rispetto le mani, e mi dirà: Signore vi supplico, non isdegnate di rimirare mia Figlia, accostatevele. Vi assicuro, che non cerca se non di piacervi, e che vi ama con tutto il cuore. Ma avrà bel parlare, io non le risponderò una sillaba, e starò fisso nella mia gravità. Allora la mia Sposa mi presenterà un bicchiero di vino, e mi dirà colle lagrime agli occhi, mio cuore, mia vita, mio amabile Signore, vi scongiuro per i favori, che vi sono com-[366]partiti dal Cielo, fatemi grazia di ricevere questo bicchiero di vino dalla mano della vostra umilissima serva. Io mi guarderò pure di mirarla, di risponderle. Mio vago Sposo, continuerà ella raddoppiando i suoi pianti, ed avvicinandomi il bicchiero alla bocca, io non cesserò fino, che non abbia ottenuto di vedervi a bere: Allora infastidito dalle sue preghiere, le gettarò una terribile occhiata, le darò uno schiaffo, la spignerò sì forte col piè, che sen anderà a cadere lontano di là dal Sofà.

Almascarre era talmente assorbito da queste chimeriche visioni, che rappresentò col piede, l’atto reale, e per disgrazia, urtò nel Canestro pieno di vetri, e lo gettò sulla pubblica strada, di maniera, che tutti que’ vetri, unico fondamento della sua grandezza, rimassero senza riparo infranti. ◀Fabel ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1