Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CCXCIV", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.5\294 (1729), S. NaN-256, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4864 [aufgerufen am: ].


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Lezione ccxciv.

Agli Amanti della virtuosa Poesia.

Zitat/Motto► Sed me Parnassi deserta per ardua dulcis
Raptat amor: juvat ire jugis, qua nulla priorum
Castaliam molli divertitur orbita clivo.

Virg. Georg. III. 291. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Ebene 3► Brief/Leserbrief► Sig. Filosofo.

Mi ritirai l’altra sera un poco più tardo dell’ordinario, e mi ritrovai così risvegliato, che pigliai Virgilio per divertirmi, e dispormi al sonno. Questo è l’Autore, che sempre scelgo in simile caso, avvegnache, presso di me, non ve n’è altro, il quale scriva in maniera sì elevata, sì armoniosa, e sì uguale, che calmi l’animo, e lo disponga ad una gradita malinconia; Situazione, che io preferisco a tutte le altre, per la coltura della giornata. Lessi que’ bei trattati, che si veggono nelle sue Georgiche, dove si dichiara interamente dedicato al servigio delle Muse, e sì amante del-[247]la Poesia, che sospira con ardore di trasportarsi nelle fosche Boscaglie, e nelle dolci solitudini del Monte Hemo. Chiusi il Libro, e mi coricai. Ciò che avevo letto fè nella mia Fantasia impressione sì grande, che mi parve accompiuta nella mia Persona la brama di Virgilio, e che ne facessi il sogno seguente.

Ebene 4► Traum► Allegorie► Trasportato, in un subito, nelle pianure della Boetia, scoprj alla estremità dell’Orizonte, il Monte Parnaso. Mi parve di sì ampla estes [sic] , che mi sarei lungo tempo affatticato nel ricercare un sentiero, per andarvi a dirittura, se non avessi veduta, in qualche distanza, una Boscaglia, che mi determinò subito ad incamminarmi per quella parte, benche nella Pianara, in cui era situata, non vi fosse niente di rimarcabile per fissare la mia vista. Quando vi fui giunto, la ritrovai divisa in una infinità di passeggiate, e di viali, che si allargavano in molti luoghi, e vi formavano graziosi Circoli, ò grandi Ovati, attorniati di Bossi, e di Cipressi, tra’ quali si vedevano varj Nicchj, e diverse Grotte, coperte di edera. Non vi si udiva altro rumore se non quello d’un Zefiro dolce, che faceva tremolare alquanto le foglie; e tutto vi comparia sepolto in profondo silenzio. Rimasi allettato da solitudine tanto bella nè mai in mia vita [248] ebbi tanto piacere nel ritrovarmi solo, e nel pascermi de’ miei pensieri. In questo felice stato, passeggiai senza elezione, e senza disegno da una, e dall’altra parte, fino che giunto al termine d’un viale di Alberi vidi trè Dame affise sopra un Banco di verde Zolla, con un Ruscello, che scorreva a’ loro piè, e formava un mormorio soave. Io le adorai come le Divinità tutelari del Bosco, e mi fermai per esaminarle, ad una per una. Quella di mezzo, che si chiamava la Solitudine, aveva le braccia attraversate l’una sopra dell’altra, e compariva, alla vista piuttosto pensierosa, e tutta in se raccolta, che annojata, ò afflitta. La Dea del Silenzio, con un dito alle labbra, se ne stava alla destra: e la Contemplazione, cogli occhi rivolti al Cielo, era alla sinistra. Dinanzi a questa compariva un Globo celeste, in cui si osservavano diversi Teoremi di matematica. Ella con indicibile affabilità, mi prevenne: Non temete, mi disse: sò qual’è la vostra intenzione senza che apriate la bocca; bramate di essere condotto al monte delle Muse; questo è l’unico sentiero per cui possiate andarvi; è vi è, chi sia più sovente di me impiegata, per servire di Guida a quelli, che intraprendono questo viaggio. Dopo avere così parlato, si alzò, ed io mi abbandonai alla sua condotta. Ma in tempo, [249] che la seguivo attraversando il Bosco, non seppi trattenermi di chiederle; quali fossero quelli, che si ammettevano in tale graziosa Ritiratezza. Certamente, le dissi, niente può quì entrare se non la virtù, ed i saggi pensieri: Tutto il Bosco pare destinato all’accoglienza, ed alla felicità di chi nel corso del suo vivere ha seguiti i lumi della conscienza, ed ubbiditi gli ordini delli Dei. Avete ragione, mi rispose, questo luogo non era da principio destinato, che alle Persone da bene; non se ne ammettevano altre sotto il Regno di Saturno. Non vi erano se non uomini zelanti, e giusti, che potessero entrarvi. Non vi si vedevano, che Filosofi resi dallo studio, e dall’amore della Sapienza, capaci d’una conversazione divina. Ma presentemente, questo luogo non è meno pericoloso, di quello fosse una volta immune da ogni insidia. Il vizio ha imparato sì bene ad immitare la virtù, che sotto questa maschera, frequentemente vi entra. Vedete là dirimpetto a voi, la Vendetta, che cammina con passo lento, e grave vestita coll’abito dell’Onore. Rivoltate alquanto gli occhi guardando a quella parte, poco da essa discosta, e vi osserverete l’Ambizione, che se ne stà sola, in piè; se la interpellate quale sia il di lei nome, vi rispenderà, ch’ella si chiama Emulazione, ò Gloria. Ma quella, che frà tutte codeste creature indegne, che a nostro dispet- [250] to s’introduce quì più sovente, è la Incontinenza, la quale occupa oggi il luogo d’un Dio, a cui era dedicato una volta tutto il Bosco. L’Amore virtuoso seguito da Emineo, e da tutte le Grazie, che l’accompagnano, ha regnato in questo felice soggiorno: una folla di virtù gli serviano di corteggio; nè vi era un solo pensiero disonesto, che ardisce presumere d’esservi ammesso. Oh! che la Scena si è molto cambiata: e viene, assai di rado, rinovata dal picciolo numero di quelli, che dispregiano le sordide ricchezze, e sieno veramente degni d’un Dio si vezzoso!

Appena la Dea ebbe terminato il suo discorso, che arrivammo alla estremità del Bosco, dove incominciava una Pianura, che terminava al piè del Monte. Mi tenni quì più che mai vicino a lei, perche venivo sollecitato da varj Fantasmi a pigliarli per Guida; e si offrivano di condurmi al Monte delle Muse, per un sentiero più breve. La Vanità, che aveva sedotte infinite Persone, e che girava di quà, e di là, al basso del Monte, m’importunava più di tutti gli altri. Mi spicciai, con isdegno [sic] , da quella dispregevole truppa; e dissi alla Dea mia condottiera, che avevo qualche speranza di salire parte dell’incominciato sentiero; Ma che temevo molto di non avere forza bastante per giugnere fino al Piano della [251] sommità, come bramavo. Istruito dalla sua propria bocca, ch’era impossibile il tenersi sugli orli, e che se non mi avvanzavo, per la via di mezzo; verso l’altezza, caderei infallibilmente fino al basso, senza potervi più ritornare; risolvei di non isparagnare, nè fatica, nè stenti per vincere tutti gli ostacoli, tanto desideravo con ardore, per lo piacere, che speravo di ustare di giugnere al fine della mia impresa.

Vi erano due sentieri, che guidavano alla cima del Monte; Uno era custodito dal Genio, che presiede alla nostra nascita. Vi era pure l’ordine di esaminare le differenti pretese di quelli, che volevano passare per tale sentiero, e di non ammettervi se non quelli, ch’erano stati rimirati con occhio favorevole da Melpomeno, quando erano venuti al mondo. L’altro sentiero era custodito dalla Diligenza, a cui s’indirizzano molti di quelli esclusi dal Genio; ma era sì lenta nell’accordare le loro domande, e ritrovavano di più sì penoso, ed imbarazzato il sentiero, che molti dopo esservi camminati per qualche tempo, si contentavano piuttosto di ritornare a dietro, che proseguire il viaggio; e ve n’erano molto pochi, che tenessero saldo fino al fine. Oltre questi due Sentieri, ciascuno de’ quali conduceva alla sommità del Monte, ve [252] n’era un terzo, formato da quelli due, che si univano in poca distanza dall’ingresso. Questo conduceva direttamente al Trono di Apollo que’ pochi, che avevano la fortuna di ravvisarlo. Non so se avessi avuta fronte di presentarmi all’uno, ò all’altro di quegl’Ingressi, se non avessi veduto un uomo, che aveva l’aria di Paesano, ch’era seguito da una folla di amabile Gioventù dell’uno, e dell’altro Sesso, dimandare, che tutti, senza eccezione fossero ammessi. La di lui vista mi fè sovvenire quel Paesano, di cui si è posta la figura in carta, che servì di guida al Prencipe Eugenio nel passare le Alpi. Che che [sic] ne sia, aveva molti scartafacci in mano, e molti ne produsse, dicendo, tenerli da sì buona parte, che punto non dubitava, non venissero ricevuti da Apollo, come eccellenti Passaporti, tra’ quali credetti vedere qualcuna delle mie Scritture. Tutta la Banda, in fatti vi fù ammessa, e diè, colla sua presenza nuovo splendore, e nuovi piaceri, a quel felice soggiorno. In oltre quest’ Uomo da bene, non cercava di entrarvi egli stesso, ma come una specie di Forastiero [sic] nelle Pianure del Bosco, serviva di guida a passaggeri, che col loro merito personale, ò colle istruzioni da lui ricevute, avevano i mezzi di riescire in quel viaggio sì disastroso. Do-[253]po averlo esaminato con molta attenzione, vi confesserò lealmente, mio caro Sig. Filosofo, che lo pigliai per voi stesso. Appena entrati, fummo per tre volte aspersi coll’acqua della Fontana Agannipe, che aveva la virtù di ripararsi da ogni sorta di mali, fuori che dalle saette della Invidia, che ci perseguitava fino al termine del nostro corso. Giunti alla sommità del monte per lo sentiero di mezzo, scuoprimo subito due Figure, che attrassero tutta la mia attenzione. La prima era una Giovane Ninfa, nel fiore della sua età, e della sua Bellezza, che aveva le ale alle spalle, ed a i piedi; e che portavasi, in un istante fino a più rimoti Climi; Si vedeva addobbata, ora con maniera la più naturale, e più civile del mondo, ora con abiti i più ridicoli, ed i più stravaganti che possano immaginarsi. Stava appresso di lei un uomo di matura età, e di aria molto grave, il quale correggeva le di lei bizzarie, e le mostrava in uno speccnio [sic] ; nè cessava di gettare i di lei affettati, ed improprj ornamenti al basso del monte, dove erano raccolti con premura, dagli abbitanti della Pianura, che si facevano onore di abbigliarsene. Questa Ninfa era la Immaginazione, Figlia della Libertà, la più bella di tutte le Ninfe [254] de’ monti. Il di lei Consigliero era il Giudizio, che dee la sua nascita al Tempo, ed è l’unico Figlio da lui per legitimo riconosciuto. Frà di loro vi era un Giovane nominato l’Ingegno, a cui hanno data la origine, e stava assiso sopra un Trono composto dalle opere de’ più celebri Autori. I Greci, e Latini ne formavano il numero maggiore.

In istato di esaminare con aggio quel grazioso soggiorno, e pieno di nuove vigore, mi parve di vedere tutti gli obbietti in maniera più intima, e più gustosa; di respirare un aria più purgata, e di essere sotto un Cielo ad ogn’ora sereno, dove il Sole v’illuminava senza interrompimento veruno. Le due sommità del monte s’innalzavano da una parte, e dall’altra, e nel mezzo formavano una Valle ridente, cioè il soggiorno delle Muse, e di quelli, che avevano date alla luce opere degne d’immortalità. Appollo vi stava assiso sopra un Trono d’oro coperto d’un verdeggiante Alloro, che estendeva i suoi rami, e le sue ombre sopra il di lui Capo; il suo Carcasso, ed il suo Arco erano a’ suoi piè. Teneva l’Arpa alla mano, mentre le Muse, radunate d’intorno a lui, celebravano con Inni, la sua vittoria sopra il Serpente Pythone, e cantavano qualche volta, gli [255] amori di Leuchotoe, e di Daphne. Presso di loro avevano i loro posti Omero Virgilio; ed il Tasso. Vi era indi una folla di Autori, frà i quali rimasi molto sorpreso nel vedervi alcuni Lapponi, che malgrado, la grossolaggine de’ loro abiti vi erano stati di fresco ammessi. Vidi Pindaro passeggiare, del tutto solo, senza che alcuno osasse d’avvicinarsegli, fino che.°.°.°.° si unì a lui, ma stanco di seguire le sue Tracce, e quasi fuori di lena, lo lasciò per correre dietro ad Orazio, e ad Anacreonte, de’ quali parmi si compiacesse di molto.

Un poco più di lontano viddi un'altra truppa di Autori, verso de’ quali mi avvanzai, e ritrovai, ch’era Socrate, il quale dettava a Xenofonte, ed allo Spirito di Platone; ma il Poeta Museo, aveva l’uditorio più numeroso. Ero troppo lontano, per udire ciò che diceva, e riconoscere il volto de’ suoi Ascoltatori, benche mi paresse di riconoscervi Virgilio pieno di ammirazione nell’udire le sue armoniose parole.

Finalmente vicino all’Orlo della Cima viddi il Bocalino, che spediva lettere al basso del monte, per avvisare gli Abbitanti di quanto passava sopra Parnaso, ma conobbi, che le scriveva di nascosto, senza il parere delle Mu-[256]se, e senza la revisione di Appollo. Ellevato a tanta altezza, e circondato da un Cielo sempre sereno, potevo scuoprire le inquietezze, e le innumerabili pene, che si pigliavano a basso gli uomini per farsi sentiero ne’ Labirinti di questa vita. La strada della virtù, mi pareva in faccia di ciascheduno, ma l’interesse, ò qualche spirito maligno, ad ogni momento li divertiva dall’intraprenderla, ò dal proseguirla. Così io non ero meno sensibile alla sua felicità, di quello fossi mosso a compassione in vedere i loro continovi imbarazzi, da’ quali non avevano forza di liberarsi. ◀Allegorie ◀Traum ◀Ebene 4 Tale contrasto sì opposto alla calma, che godevo, mi fè risvegliare, nè mi lasciò altro, se non la speranza, che non vi riescirà disgradevole la narrativa del mio sogno. ◀Brief/Leserbrief ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1