Donna galante: Num. XII
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Num. XII.
Italia 1788.
Si vende in Venezia al Negozio Albrizzi a San Benedetto.Ebene 2
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Racconto.
Exemplum
UN Re di Persia fece osservare
un giorno il suo oroscopo. Questo Re che si burlava
assaissimo del passato, ed anche del presente, era molto
inquieto sull’avvenire. L’Astrologo avendo bene
esaminato la congiunzione degli astri, dichiarò molto
innocentemente che il Re sarébbe morto per certo di un
luogo sbadigliamento; il che secondo la traduzione delle
parole Persiane equivaleva a morire di noja. Tutta la
Corte si applicò dunque accuratamente a prevenire tutto
ciò che potesse provocare questo segno fatale, il quale
doveva essere per Sua Maestà l’annunzio della morte. Per
conseguenza si proibì a tutti i melanconici di
traversare i cortili, e farsi vedere sulle scale dei
palazzi, che il Re potesse abitare. Ordine espresso ad
ogni cortigiano di avere incessantemente il sorriso
sulle labbra, ed alcuni buoni aneddoti alla memoria. Si
levarono dalle Biblioteche del Principe tutti i
moralisti antichi e moderni, tutti i difettori,
giureconsulti, li metafisici, e si tappezzarono le
muraglie di pitture piene di fuoco, e di giovialità. Si
ordinò che le persone di toga non portessere più che
abiti color di rosa. Si reclutarono dei
buffoni che furono largamente pagati. Ballo quattro
volte alla settimana, commedia tutti i giorni, ma
nessun’Opera in musica. Alle porte del Palazzo persone
fidate versasavano del caffè a tutti quelli che
arrivavano, e chiunque avanzava un tratto di spirito,
otteneva sul campo un passaporto per andare da per
tutto. Ridere, e far ridere era proprio di un gran uomo,
che serviva degnamente il suo Principe, e lo Stato.
Tutte le dignità appartennero meritamente a quelli che
narravano le più allegre facezie. Un Poeta che non era
nè malinconico, nè allegro, ma che molto divertiva
quelli, che lo sentivano a parlare dei suoi versi, era
arrivato non si sà come, alla Corte, e siccome
volontieri si confondono in quel paese i poeti coi pazzi
ottenne l’ingresso. Mise a profitto questo vantaggio, e
fece così bene, che ottenne il permesso di leggere a Sua
Maestà un’intiera tragedia di sua composizione; tragedia
secondo lui sorprendente, patetica, e che in se ruinava
tutto ciò che esige Aristotile. Questa tragedia era
prima esaltata con un singolare entusiasmo, ed ognuno
senza conoscerla pretendeva che fosse ammirabile. Venne
il Poeta, e lesse. Il Re sbadigliò, e morì. L’Autore fu
subito arrestato come colpevole di delitto
di lesa Maestà, e condannato a perdere la vita in mezzo
ai supplizj di etichetta. Si lamentò fortemente meno
sulla violenza commessa contro la sua persona, che sopra
l’orribile ed abbominevole ingiustizia; che si faceva
alla sua produzione tragica ammirata da tutti. Il
Tribunale Sumo credette di dover procedere con tutte le
formalità; e siccome si presenta sempre al colpevole
l’istromento del delitto, così fu ordinato al Poeta di
riprendere, e di rileggere quella fatale tragedia al
cospetto di tutti i Giudici adunati. Il Poeta colla
testa nuda, e nella positura dei colpevoli, circondato
da tutti gli ordini dello Stato lesse la sua produzione.
Al secondo atto ecco che tutte le fronti severe, ed
accigliate cominciano a far sparire le rughe, e
progressivamente si fece sentire uno strepito di risa,
che volevano soffocare. Queste degenerarono in
convulsioni, e finalmente annunziarono la grazia del
Poeta. In fatti tutti i Giudici alzandosi dichiararono
ad alta voce, che non v’era al mondo nulla di più
piacevole quanto quella tragedia, e che la subita morte
di Sua Maestà aveva auto certamente tutt’altra cagione.
In conseguenza il Poeta fu rimesso in libertà, e
rimandato bene assolto al circolo dei suoi ammiratori.
La città di Parigi
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Sonetto
Zitat/Motto
O nella ruota dell’età presente In motti,
arti, saper, piaceri e scene, Dejja (sic!) faceta ed
ingegnosa Atene Emula, tu, Lutezia seducente. Qual più
ti sei? giuliva, oppur dolente? Ardita o vile? al mal
più presto o al bene? Vivace o dotta? ingiusta alle
camene, O liberal? loquace od eloquente? Inconcepibil
sei: simile al mare Ogni pregio e ogni danno in te
s’aduna, Nè al guardo mai tutto il tuo sen traspare. So
che a stupor ti fabbricò fortuna; So che insieme a
servir vivi, e regnare; So che sei di virtudi e tomba e
cuna.
Metatextualität
Cotanto grati riuscivano
a’Leggitori di questo Giornaletto li Dialoghi fra de’quali
ne abbiamo adornati alcuni de’Numeri, e tanto interessante è
il seguente, che siano certi non dover riuscire
dispiacevole.
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Dialogo.
Fra Giulio Mazarini, ed Armando de Richelieu.Dialog
Rich. SIgnor Giulio, mi si dice che voi siate
stato il mio Successore nel governo della Francia? Come
vi siete comportato? Avete ridotto a buon termine il
gran progetto di unire tutta l’Europa contro . . . . . ?
Avete finito di distruggere il partito degli Ugonotti, e
la potenza de’Grandi del Regno? Mazar. Tutto ciò fu da
voi incominciato, ma io avea altre cose da discutere; mi
era d’uopo sostenere una Reggenza assai critica, e
vacillante. Rich. Un Re trascurato, e geloso dello
stesso suo Ministro, che a lui serve, imbarazza assai di
più il Gabinetto, di quello sia la debolezza e
confusione di una Reggenza. Voi avevate una Regina assai
costante, e sotto di cui si potea più facilmente
condurre gli affari, che sotto di un Re difficile ed
inasprito ognora contro di me, a motivo di qualche nuovo
Favorito. Un Principe di tal fatta nè governa, nè lascia
governare agli altri. Pure mi convenne servirlo mio
malgrado, e trovandomi esposto ogni
momento alla morte. Ciò non ostante la mia vita non fu
disgraziata; voi sapete che fra tutti i Re, che
tergiversarono l’assedio della Rochelle, il mio Re fu
quello che mi dava la maggior pena. Io fui che diedi il
colpo mortale al Partito degli Ugonotti. I posteri non
dimenticheranno giammai la rivoluzione della Catalogna,
l’impenetrabile segreto, con cui il Portogallo si
preparò a scuotere il giogo ingiusto degli Spagnuoli,
l’Olanda sostenuta dalla nostra alleanza, tutti gli
Alleati del Nord, dell’Impero, e dell’Italia attaccati
alla mia persona, come ad un Uomo incapace di mancar
loro di parola, e finalmente nell’interno dello Stato i
Grandi abbassati, e circoscritti nei loro doveri. Mazar.
Io ero uno Straniero, e perciò mai veduto da tutti. Io
non avea altra risorsa che nella mia industria. Io
cominciai ad insinuarmi nello spirito della Regina; io
seppi allontanare da lei tutti quelli ch’erano alla sua
confidenza, ed ho saputo difendermi contro le cabale dei
Cortigiani, contro il Parlamento scatenato, contro la
frode, ed il partito animato da un Cardinale audace, e
geloso della mia sorte, contro un Principe finalmente
che si cingea la fronte ogni anno di sempre nuovi
allori, e che non impiegava la riputazione
delle sue vittorie, se non per perdermi con maggiore
autorità. Pure mi è riuscito di distruggere tanti
nemici. Due volte esigliato dal Regno vi rientrai
glorioso, e trionfante, anzi durante il mio esiglio io
era quello, che governava lo Stato. Io cacciai fino a
Roma il Cardinale di Retz; ridussi il Principe di Condè
a salvarsi in Fiandra, ed in fine ho conchiusa una pace
gloriosa, ed alla mia morte lasciai un Re giovine in
istato di dar la legge a tutta l’Europa. Tutto ciò ebbe
luogo mediante il mio Spirito fertile agli espedienti,
la finezza del maneggio degli affari, e l’arte che io
usava nel tenere la gente sempre in una nuova speranza;
aggiungete poi che non ho sparsa una sola goccia di
sangue. Richel. Voi non eravate capace di farlo, attesa
la vostra debolezza, e timidità. Mazar. Timido! Ebbi
però il coraggio di far trasferire i tre Principi a
Vincennes, e Monsieur il Principe vi è rimasto
prigioniero tanto che basta. Richel. Io sono d’avviso
che il vero motivo della lunga sua prigionia sia stato
l’imbarazzo in cui vi trovavate, non sapendo nè come
ritenerlo prigione, nè come liberarlo; ma veniamo al
fatto. Io ho sparso del sangue è vero; ma ciò era
necessario per abbassare l’orgoglio de’Grandi sempre pronti alla sollevazione. Non è
meraviglia, che un’uomo il quale ha lasciato rialzare i
Cortigiani, e gli Ufficiali d’armata, non abbia fatto
morire alcuno in un Governo sì debole. Mazar. Un Governo
non è debole quando sà condurre gli affari al loro
termine colla scorta di una mera politica, e senza
crudeltà. Torna meglio d’assai l’essere Volpe, che Tigre
o Lione. Richel. Non è crudeltà il punire i colpevoli.
L’impunità producendo infinite guerre civili, avrebbe
distrutta l’autorità del Re, ruinato lo Stato, e sparso
il sangue di qualche migliaja di persone, quando col
sacrificare un picciol numero di colpevoli, io ho
stabilita la pace, e l’autorità. Mazar. Voi supponevate
che non si potea essere un buon Francese senza essere
del vostro sentimento. Richel. Avete voi forse
risparmiato il primo Principe del Sangue allora quando
lo credeste contrario a’vostri interessi? Per trovarsi
bene alla Corte non bisognava essere Mazarino? Io però
non ho mai portato tant’oltre il sospetto, e la
diffidenza. Noi servivamo entrambi allo Stato, e nel
servirlo noi volevamo governare il tutto; voi vi
studiavate di guadagnare i vostri nemici colla astuzia,
e col vile artificio; ed io ho saputo abbattere i miei a faccia scoperta. Io fui amico, e nemico
di buona fede; io ho sostenuta l’autorità del mio
Padrone con coraggio, e dignità. Io amava le persone di
merito, e ne facea gran conto, poichè non
tergiversassero il mio governo, come credea necessario
al bene della Francia, e se avessero servito il Re a
misura de’loro talenti, e de’miei ordini, io sarei stato
loro amico. Mazar. Dite piuttosto loro Padrone geloso,
ed implacabile. Richel. È vero che io era un po’troppo
geloso ed imperioso, ma io avea anche delle qualità che
dimostravano un genio esteso, ed un’anima elevata. Ma
voi Sig. Giulio non avete dato saggio che di una fina
politica, ed avarizia. Voi avete fatto peggior male ai
Francesi, di quello fosse lo spargere il loro sangue.
Voi avete corrotti i loro costumi, atterrata la probità,
e resa ridicola. Io mi studiai di reprimere l’insolenza
de’Grandi, e voi di abbattere il loro coraggio, di
degradare la Nobiltà, di confondere tutte le condizioni,
e di rendere venali le grazie, ed i favori; voi temevate
il merito; niun potea insinuarsi presso di voi, se non
mostrandosi di uno spirito vile, arrendevole, ed atto
agli intrighi. Voi non conoscevate bene il cuore degli
uomini: non credevate che al male; e tutto
il resto era per voi una favola. Chiunque era capace di
procurarvi dell’oro, e d’ingannare coloro, co’quali
avevate a trattare, quegli era in istima presto di voi:
motivo appunto per cui il vostro nome è rimasto
avvilito, ed odioso nel mondo, quando il mio all’opposto
cresce ogni giorno in gloria presso la nazione Francese.
Mazar. Confesso che le vostre inclinazioni erano più
nobili delle mie; voi eravate un poco più fiero, ed
orgoglioso, ma avevate del pari un non so che di vano e
di doppiezza. Voi volevate esser Potea, Oratore, e
Rivale di Cornelio; Voi componevate libri di divozione,
senza essere divoto; tutte le arti dovevano essere alla
vostra cognizione; voi volevate in somma essere
eccellente in ogni genere di cose, fare il Galante, ed
essere incensato. In Sorbona non v’è porta o finestra
ove non abbiate fatto mettere le vostre armi. Richel. La
vostra Satira è pungente, ma non e senza fondamento, io
veggo bene che la gloria ricercata ci disonora sovente,
anzi che nò; ma ognuno mi farà giustizia, che io amava
le Lettere, e che eccitai l’emulazjone per ristabilire;
ma voi per lo contrario non avete giammai portate alcuna
attenzione nè alla Chiesa, nè alle Lettere, nè alle Arti, od alla Virtù; ciò stante non
bisogna stupirsi se una condotta cotanto odiosa abbia
sollevati tutti i Grandi del Regno, e l’onesta gente
contro di uno Straniero. Mazar. Voi non parlate che
della vostra magnanimità chimerica; ma per ben governare
uno Stato, si esige non generosità, non buona fede, nè
un cuor ben fatto, ma bensì uno spirito secondo negli
espedienti, impenetrabile ne’suoi disegni, tutto dato
all’interesse, e nulla alle proprie passioni. Richel. La
vera abilità consiste nel non aver giammai bisogno
d’ingannare alcuno. Egli è un effetto di debolezza, e di
errore il servirsi di strade indirette, e di ricorrere
all’astuzia per venire a capo di un affare. La vera
abilità consiste nella scelta prontissima de’mezzi
migliori all’effetto, in paragone di ogni altro, con
occhio chiaro e preciso. La vera abilità consiste nel
comprendere, che il mezzo migliore negli affari è la
riputazione universale di probità. Voi eravate mai
sempre in pericolo qualora non vi riusciva di mettere a
parte de’vostri interessi qualche briccone, o
truffatore; ma quando alcuno è conosciuto per uomo
onesto, tanto i buoni che i cattivi si fidano di lui; i
nemici lo temono, e lo amano gli amici;
quindi è che voi non avete saputo farvi amare, stimare,
nè temere da alcuno. In somma voi foste un gran Comico,
ma non già un grand’uomo. Mazar. Voi parlate di me come
se io fossi stato un uomo senza cuore. La Spagna mi è
testimonio, che non ho temuta la morte, e questo si è
verificato in mezzo ai pericoli, ai quali fui esposto
durante le guerre civili in Francia; altronde si fa che
voi avevate timore della vostra ombra medesima, e vi
pareva di vedere sempre nascosto sotto del vostro letto
qualche assassino sul punto di trucidarvi; convien
credere però che cotesto panico timore non vi prendesse
che in certe date ore. Richel. Deridetemi pure quanto vi
piace, che io non lascerò per questo di farvi giustizia
sopra le vostre buone qualità: voi eravate valoroso in
gnera (sic!), ma negli affari voi mancavate di coraggio,
di costanza, e di grandezza d’animo; voi non eravate
flessibile che per debolezza, e per mancanza di massime
fisse. Voi non osavate resistere a’faccia scoperata,
motivo per cui eravate troppo facile nel promettere,
eludendo in seguito tutte le vostre parole con cento
mancamenti, raggiri, ad inganni; ed un onesto uomo
avrebbe avuto più a grado, che voi gli
aveste detto sinceramente: “Io ebbi torto di
promettervi, poichè mi veggo inabilitato ad eseguire
quanto vi ho promesso” di quello sia di aggiungere al
mancamento di parola anche delle buffonerie, ed in tal
guisa prendervi giuoco dell’altrui infelicità. Molti
Principi capaci di morire gloriosamente, si sono
disonorati colla loro dappocaggine negli affari
giornalieri. Mazar. Fa bel dire, ma quando si hanno
molte persone da contentare, si tengono a bada come si
può. Le grazie non sono tante da poterne conferire a
tutti, e però conviene pascolarli con vane speranze.
Richel. Fin quì vi accordo anch’io che torna bene di
lasciar vivere molti in qualche speranza. ma senza
ingannare alcuno; poichè niente evvi di più indegno per
un uomo d’onore, e di più pernicioso negli affari,
quanto asserire oggi una cosa, e negarla domani. Per me,
io ho saputo sostenere ed ingrandire l’autorità del Re,
senza ricorrere a’mezzi così miserabili: Il fatto è
convincente, e voi disputate con un uomo che è un
esempio decisivo contro le vostre massime.
Deffinizione del Matrimonio. Passeroni. Canto 9.
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Zitat/Motto
OGgi è cosa assai rara, che
‘l Marito In una Settimana, o poco dopo, Non mangi colla
Moglie il pan pentito, Come succede verbigrazia al Topo,
Che tirato tallor dall’appetito Si fa prigione, come
dice Esopo, Per un poco di cacio, e al primo assaggio
Maledice la trappola, e il formaggio.
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Il racconto amoroso.
Allgemeine Erzählung
QUando già il Sole rivolgeva alla metà del
suo viaggio luminoso, s’incontrarono Eutichio e Lucetta
nelle vie di un florido giardino, e fattisi scambievoli
complimenti, diedersi a passeggiare, e ragionando
arrivarono ad una grotta artificiosa, fuori di cui erano
collocati marmorei sedili all’ombra di sempre verdi
allori. Ivi pertanto inviati a placida confabulazione
dal silenzio, e dalla fresca aura mattutina, l’uno si
pose dirimpetto dell’altra, e dopo aver dette varie
cose, cadde il discorso sulle vicendevoli vicende
d’amore, e Lucetta prevenendo colla domanda, disse: tu
devi manifestarmi le tue vicende d’amore, colle quali io
sono certa che non fosti quant’io infelice; ed egli a
lei rispose: anch’io provai le barbare agonie, delle
quali tu puoi forse lagnarti, e ciascuno crede se
medesimo più misero di tutti quando le soffre: non
aspettarti però prolissa e varia istoria, perchè io non
andai in traccia di casi amorosi, essendo anzi di mia
natura inclinato alla pacifica vita;
ed ecco ora mi vedi così tranquillo come provetto
nocchiero che narra le passate procelle, in maniera che
ben puoi comprendere, che il tempo è la
medicina di questi mali.
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Exemplum
ma la iniqua sorte
invidiando la mia calma giovanile, trovò pure un
oggetto che si fece non padrone, ma tiranno
de’miei sensi. Il silenzio, la solitudine, i
volumi, la mia professione, e qualche amico
agevolmente inclinato alle medesime
contemplazioni, erano gli oggetti soli noti
all’inesperto animo mio, e così vissi alquanti
anni troppo fugaci, e che più non ritornano:
Avvenne finalmente per mia sventura, che per
andare ogni dì al mio dicasterio, passassi sempre
da una strada, nella quale abitava colei, dove io
feci l’infelice naufragio: ella era giovine,
bella; aveva que’vezzi che di rado trovansi nelle
donne delle grandi Città, perchè la
sua presenza produceva quel rispetto religioso che
inspirano le donne più illibate; a prima vista
conveniva rispettarla, amarla, e poi temere che
l’espressione di questo omaggio non la offendesse:
i suoi sguardi, i suoi passi, i suoi menomi moti
eccitavano un genio sempre più seduttore, e senza
esagerazione può dirsi che vinceva in vaghezza i
fiori che la circondavano: era il mio cuore alla
vista di tanti pregj come come brace alquanto
ricoperta di cenere, onde al soffio di quell’altro
amoroso, divampò quasi paglia lungamente inaridita
ai raggi del sole estivo; e quindi io affascinato
ne’sensi dal velenoso filtro, che stillava
soavissimo dalle di lei labbra, tolsi i miei
pensieri dalla contemplazione dell’universo,
abbandonai gli afforismi d’Ippocrate, e di Galeno,
diedi un addio alla nobil arte di guarire, ed ogni
mio senso si rivolse in quel volto. Per lo che
quell’io che dapprima colla chioma incolta, e
triviale desire ricercava solitarie strade tacito
e pensieroso, quando poi conobbi il desiderio di
piacere, imparai ben presto le voluttà di molli
costumi, e poi divennero le mie vesti eleganti non
meno che corrispondenti alla mia gioventù; e
cominciai a parteciparle i delirj infelici del mio
cuore. In tal guisa ingolato in questo pelago,
qual nave in calma, pareva trattenuto il corso
della vita nelle delizie presenti; ma pur troppo
rapido scorrea verso angosce non prevedute: Giunse
quel giorno crudele, la di cui luce infausta mi
svelò in un sol momento quelle odiose verità alle
quali era stato per lungo tempo cieco il mio
intelletto: un padre che mentre si sveglia dal
soave riposo ritrova il suo figlio amato in atto
d’immergergli nel cuore insidiosamente un pugnale,
non sarebbe così sorpreso, quant’io lo fui nello
scoprire infedele quel labbro, che io credeva
incapace di mentire, e di rendermi
il trastullo della conversevole adunanza, imitando
con arte studiosa i miei moti involontarj, li miei
giusti indifferenti. Ma pure adunandosi nel mio
cuore tante nuove angosce fino allora sconosciute,
non ne spensero la fiamma, anzi l’agitarono più
violenta; e però spinto da smania mortale, altro
io non desiderava, sennonse di seppellire la mia
miseria nel pelago, nelle voragini, o di errare
ne’deserti, riempiendo di querele le solitarie
valli, e gli sterili monti. Calmato quindi quel
delirio, dissi fra me stesso. Forse che debbo
morire, forse che debbo rompere la sacra promessa,
prima di rimproverare, quanto merita, quell’anima
ingannatrice, e poi rivolsi i passi al di lei
albergo, nel quale entrai con animo preparato a
severe voci di estremo dolore, e a tormi di vita
innanzi a quegli occhi che me l’avevano fatta
nauseosa. Così sdegnato penetrai le stanze di lei
segrete, non senza errore, temendo d’incontrare il
successore di me più felice; ma la ritrovai sola
placidamente occupata ne’suoi domestici lavori:
essa m’accolse coll’usata soavità di parole,
ond’io rimasi come chi correndo con impeto, si
trova al margine di un abisso. Imperocchè
preparato a confondere coi rimproveri la infedele,
restai io per lo contrario confuso dalla di lei
tranquillità: oh maraviglioso inganno, il quale io
rammento benchè antico, non senza vergogna! Omai
però ondeggiando fra pochi e non sinceri diletti,
e fra molte ed amarissime cure, scuopriva ognor
più instabile il possesso di un cuore, il quale si
distribuiva giornalmente in minutissime dramme, e
risolsi di abbandonarla, in modo che non potendo
rammemorar nè con mio, nè con di lei encomio, non
ti dispiaccia ch’io nasconda:
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Gabinetto delle mode. Spiegazione della tavola XIII. Figurini 6.
Fremdportrait
LE acconciature che qui
rappresentiamo non sono veramente tutte novissime, ma
tute quelle che ultimamente e addesso si portano si
troveranno nelle altre due Tavole, che noi
rappresentaremo per dare dieciotto medaglie da fare
de’bottoni di abiti. A Parigi hanno esse rimpiazzato i
paesetti, i fiori, i camei, gli insetti, li volatili, i
gerolifici, i monumenti. Quella delle acconciature è la
nascente moda de’nuovi bottoni. I nostri Signori
Associati avranno la rappresentazione della moda, e la
moda istessa, se voglion far montare in bottoni le
dieciotto medaglie che noi rappresenteremo. Prima
Medaglia. Una Dama vestita di taffetà color di rosa,
acconciata a capegli colla testa cinta di un largo
nastro violetto, con cui formasi un grosso nodo di
dietro, portando davanti un grosso mazzo di rose finte.
2 Una Dama con un cappello in testa di taffetà bianco,
coi bordi ricamati di seta verde. La testiera è cinta
d’una fascia di velo verde, con cui viene formato di
dietro un grosso gruppo. Davanti un pennacchio di penne
di pollo tinte di verde. 5 Una Dama con un bonnetto a
globo, ed a cannoncini fatto di garza gialla a pagliuole
d’argento cinto di un nastro color di rosa a bistantini
pure d’argento, ed ornato di tre grosse penne bianche. 4
Una Dama assettata alla Sacerdotessa. La sua testa è
cinta d’una ghirlanda di rose finte. Sul suo berretto è
attaccato un gran velo legato con un
cerchio d’argento, e di dietro pendente assai basso. 5
Una Dama con un bonnetto a scoglio fatto di garza color
di rosa, cinto di un largo nastro verde componente due
grossi gruppi, uno davanti, in mezzo del quale vi è una
stella d’argento, ed un altro di dietro, colle code
pendenti assai basse. Sei grosse penne sono situate
davanti. 6 Una Dama acconciata a capegli. La sua testa è
cinta da un largo nastro verde, con cui viene formato di
dietro un grosso nodo. Dinanzi è situato un pennino
composto di cinque penne di pollo di diversi colori. La
testa resta superiormente coronata da una ghirlanda di
fiori di prato finti.
Zitat/Motto
Delle Materie contenute in questo
Numero XII.