Citation: Gioseffa Cornoldi Caminer (Ed.): "Num. XI", in: Donna galante, Vol.3\11 (1788), pp. 258-280, edited in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Ed.): The "Spectators" in the international context. Digital Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4820 [last accessed: ].


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Num. XI.

Italia 1788.

Si vende in Venezia al Negozio Albrizzi a San Benedetto.

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[259] Osservazioni Galanti

LE Italiane sono per la maggior parte magre, e a trent’anni non han più petto: Sono disperate quando cominciano ad ingrassarsi, e bevono dell’aceto per conservarsi la sveltezza della propria forma.

L’arte ed il gusto sembrano piuttosto nel loro abito negletto, che in gran gala.

Gli uomini cominciano ad allidirsi a quarant’anni.

Gli avvenimenti più straordinarj non occupano la Capitale, che per otto giorni. Le persone di talento, che abbondano non sono ben accolte, che in un momento d’esservescenza; nel giorno susseguente si passa ad una altro che mette a profitto il baleno di quest’entusiasmo; e qual è il talento superiore? quello di divertire.

Vi sono degli amici di tavola, che col tovagliuolo mettono in non cale le loro promesse, quando ci hanno regalato, si credono dispensati di adempire alle loro parole. Le donne non tengono più in mano nè la spilla da cucire, nè quella per far merletti. Fanno esse delle reti, o ricamano.

[260] Le belle donne fanno società con alcune brutte, affinchè servino loro di ombra.

I mobili son divenuti l’oggetto più grande di lusso, o di spesa; ogni sei anni si cambiano i suoi mobili per procurarsi tuttociò, che l’eleganza, e la moda ha immaginato di più bello; bisogna che i letti siano superbi, che tutti gli appartamenti siano intagliati con una preziosa vernice, lo stucco è subentrato ad imitare le colonne di marmo,

Si calpestano dei tappeti di trenta mille lire. il di cui uso non era altre volte, che per i gradini degli altari.

Nelle camere più non si devono vedere le travi; sarebbe una orribile indecenza. Tutti gli appartamenti sono sorati per il condotto dei campanelli; questa è una scienza a parte. Ogni donna suona quando le sia caduto il suo fazzoletto.

Una Sala non è abitabile, se non ha sedici, o venti piedi d’altezza. I cittadini sono alloggiati meglio, che non erano i monarchi ducent’anni addietro.

Io credo che l’inventario dei nostri mobili sorprenderebbe un cinquecentista se ritornasse al mondo: il linguaggio degli stolidi, che fanno il nome di questa immensa solla di superstuità, è un linguaggio molto dettagliato, molto ricco, e soprattutto incognito al povero.

[261] Le donne più non si mischiano nel governo della casa, ammeno che non siano mogli d’artigiani.

Il tuono del secolo ha molto ristrette le cerimonie; non vi è più, che un provinciale, che sia un uomo cerimonioso.

Di tutti li costumi antichi, e triviali, quello di salutare quando si sternuta, è il solo che sussi sta ancora ai nostri giorni.

Essere ammalato addesso, è uno stato, le donne lo proferiscono come il più interessante.

L’aria di Corte è di avere come le persone letterate, una spalla più alta dell’altra.

Non v’è che un uomo assolutamente abbandonato, che debba passare tutta l’estate in Città. È del buon tuono il dire nelle conversazioni abborisco la Città, vado in campagna.

Le donne del rango più distinto mariolano qualche volta al gioco con una audacia tranquilla; hanno nel medesimo tempo la sfrontatezza di dire, che non hanno posto denaro sopra una carta che perdono.

Il tuono delle donne di quatità è divenuto estremamente fiero in tanto che quello dei signori è onesto.

Non v’è nulla di sì raro, quanto il trovare fra [262] i nostri frati una faccia da penitente; e li giovani hanno un’aria pallida, che non proviene sempre dalla crapola ma dal poco esercizio.

Non sono più in uso, che nel più insimo cittadino quelle fastidiose cerimonie, e quei modi inutili, ed eterni, che si prendono ancora per civiltà, e che affaticano all’eccesso le persone che hanno l’uso del mondo.

Non si fanno più le mille scuse per avervi dato un cattivo pranzo, non si deve più sollecitare a bevere i convitati, non sono più tormentati per tale, e per la tal’altra vivanda; si rinunciò finalmente a quest’usi ridicoli così famigliari ai nostri antichi infelici proselisti, d’un costume pesante, e contrario al buon senso.

Anco le giovani donne godono di una decente libertà, guattano intorno a se medesime, parlano un poco meno delle lor madri, e in un tuono più basso, sorridono solamente; in vece di ridere non hanno che la ritenutezza, che sta bene all’età, e che fa risaltare l’innocenza della loro bellezza.

Aneddoti

Level 3► Allegorie► TRavaglio, figlio del Bisogno, padre della Sa-[263]lute, e della Soddisfazione, viveva colle sue due figlie in un piccolo dominio sul pendio di una montagna alquanto discosta dalla Città. Non avendo alcun commercio coi grandi, e non volendo essi altra compagnia, che quella die loro vicini, venne loro il desiderio di vedere il mondo. Abbandonando allora i loro compagni, e la loro cappanna si posero in cammino. Marciava il padre, avendo alla destra la sua figlia Salute, la quale per l’allegria della sua conservazione, pel (sic!) suo canto, e per la piacevolezza alleggeriva le pene della strada. La Soddisfazione alla sinistra sosteneva tutti i passi del di lei padre, e col suo buon onore superava la vivacità della di lei sorella. Dopo di avere in tal guisa traversate le foreste, le città, li villaggi, arrivarono alla Capitale del Regno. All’ingresso in quella grande Città il padre pregò le sue figlie di non perderlo di vista, perchè tale separazione sarebbe stata per tutti e tre di una totale ruina; ma la Salute era troppo vivace per ascoltare questi paterni avvisi. Si lasciò sedurre dal Libertinaggio, e ben presto perì. Separata la Soddisfazione dalla sorella, si abbandonò alle attrattive del Riposo, nemico di suo padre, e più non si sentì a parlare di lei. Il Travaglio, che gustar non poteva alcun piacere [264] senza le sue figlie, errò di paese in paese per trovale; e colto nella sua corsa dalla Stanchezza morì miserabile. ◀Allegorie ◀Level 3

Level 3► Exemplum► Ne tempi delle guerre di Religione i Calvinisti assediando la città di Rouen, un gentiluomo di quella città di Rouen, un gentiluomo di quella città nominato Francesco Livite provò degli accidenti, che non hanno forse esempio. Al suddetto assedio ricevette un colpo sì forte, che lo se’cadere dalle mura nella città, colla perdita di tutti i suoi sensi. Fu dunque preso, e seppellito. Dopo qualche tempo il suo fedele domestico cercò il suo patrone per dargli onorevole sepoltura lo riconobbe tra i cadaveri, ed accortosi che ancor respirava, lo trasportò all’ospitale dei feriti. I chirurghi riguardandolo come morto lo lasciarono per quattro giorni senza soccorso: dopo questo tempo fu visitato: si cominciò a sperare la sua guarigione. Quando fu presa la città ei fu gettato dalla finestra della sua camera in strada, e cadde sopra un letamajo, ove restò tre giorni come morto. Uno dei suoi parenti lo fece levare per farlo seppellire: s’avvide che non era morto, e colla cura più grande lo richiamò a vita. Quest’uomo visse ancora quarant’anni. ◀Exemplum ◀Level 3

[265] Tratti di spirito

Level 3► Exemplum► UNa fauciulla di tre anni e mezzo si presentò una mattina nella camera del suo Sig. padre a dargli il buon giorno. Dopo un tal complimento gli domandò, se un Signore che alloggiava nella stessa casa si trovasse ancora a letto, perchè non si vedeva. Il padre le rispose, che non essendo per anche comparso, bisognava che fosse occupato nella sua camera. Al che soggiuse la fanciulla, che non intendeva il motivo, per il quale quel Signore non venisse a dargli il buon giorno, giacchè a lei veniva sempre ricordato che suo dovere dopo la preghiera era di portarsi a salutare il suo Sig. padre, e che dubitava, ch’egli non avesse ancora finita la sua preghiera, al che ripigliò il padre, che forse egli stava studiando. Questo dialogo si faceva in francese. La figlia allora esclamò: Que sera-t-il donc? – Peut-étre il sera des vers rispose il padre. – De vers? . . . . . qu’appellez-vous donc faire de vers ? – C’est prendre le plus beaux sentimens, les mots les plus gracieux, & les ranger d’une manière douce & agreable, qui plait a l’orellei, & charme l’esprit – He mon Papa : avovez donc qu’on a donne un nom bien vilain à une chose aussi belle. ◀Exemplum ◀Level 3

[266] Level 3► Exemplum► Passeggiava una signora bene imbiaccata in un giardino con altre belle, allorchè un giovinotto che aveva la vista alquanto corta pensò, sotto pretesto di essere in quel punto arrivato dalla campagna, di voler dare a detta signora un bacio, che ella schivò, facendo destramente a sinistra un mezzo giro, riducendosi dietro una statua, che fu teneramente bacciata in sua vece. Questo abbaglio fece ridere tutta la compagnia, ma il giovinotto senza sconcertarsi prendendo subito il suo partito: Non v’è niente di perduto, disse, gesso per gesso; si tratta quasi della stessa cosa. ◀Exemplum ◀Level 3

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Alle anime sensibili

General account► LA Contessa di . . . . . dovette incontrare una lite contro suo Cognato, che la ridusse a mancar delle cose più necessarie. Ella sopportava l’indigenza con un coraggio eroico. Il suo Calzolajo va a chiederle del denaro, e non ricevendone, si mostra un poco indispettito. – Io vi son debitrice, amico, e bramo ardentemente di pagarvi. Aspetto fra poco una somma, e voi sarete il primo soddisfatto, assicuratevene.

Era d’Inverno. L’artigiano girava continuamente gli occhi verso un socolare privo di fuo-[267]co: sembra che questo spettacolo io occupi sommamente, e va balbettando fra denti: signora Contessa non avete freddo? – Non lo nasconderò, amico, ho un sommo freddo, ma non mi scaldo perchè non ho legna. Il Calzolajo era tutto commosso, ma cercava di non dimostrarlo per non mancare al rispetto che le doveva; alfin se ne va pensoso, e come chi volge in mente qualche progetto.

Il giorno seguente la Contessa sente due carrette fermarsi alla porta, e domanda che sia. Signora le risponde il servo, sono due carrette di legna per voi, la Dama sorpresa ne fa chiamar i condottieri, ricusa la legna, gli assicura che s’ingannò. Uno dei carrettieri va a ritrovar l’artigiano, lo conduce da lei; il povero uomo era confuso morto, e le disse: vi dimando perdono signora, se mi son preso questa libertà; ma non ho avuto intenzione di offendervi, ve lo assicuro. Mi ha talmente commosso il vedere una gran Dama par vostro in una situazione simile, che ho ardito d’invitarvi questa piccola testimonianza . . . . Vorrei fare di più, signora, ma in verità le mie forze non lo permettono. Mi pagherete questa legna quando avrete riscosso il vostro denaro. Degnatevi di accettare questo debole servigio, ve ne [268] scongiuro; bench’io sia un povero artigiano, ho cuore, e lo stato vostro mi ha penetrato.

Piangeva il degno uomo, e la Contessa era lì per piangere anch’essa – Si amico, accetto volontie- il vostro benefizio, che in fatti è tale. Fra poco ve lo pagherò, e mi riserverò il piacere di darvi prove della mia gratitudine.

Qualche tempo dopo la Contessa, che guadagnata la lite, era ritornata in fortuna, manda al Calzolajo il proprio cameriere con queste lettera – Io non me ne vergogno, amico, e voglio che tutto il mondo lo sappia: nessuno de’miei conoscenti erasi degnato di accorgersi ch’io me ne stava senza fuoco in una stagione in cui è impossibile lo starne senza, e voi ci avete posto mente, voi mi avete recato sollievo, ve ne sarò grata finchè avrò vita. Infin ch’io possa fare di meglio, il mio cameriere ha commissione di pagarvi le due carrette di legna. Venite a ritrovarmi; io cercherò d’esser utile a voi ed alla vostra famiglia.

La Contessa aveva eziandio avuto la nobiltà di sottoscrivere la lettera. Il cameriere consegna al Calzolajo 300 Luigi. – Come, Signore! v’ingannate. La signora Contessa mi deve circa due Luigi. – La signora Contessa, ripiglia il servo sorridendo, non dà meno di così per due carrette [269] di legna. L’artigiano vola al palazzo; la Contessa avea intorno una conversazione brillante e numerosa; ella presenta il suo benefattore a tutti, e racconta con una sensibilità egualmente onorisica pel (sic!) suo cuore, e per il suo spirito il servigio che le aveva prestato.” ◀General account ◀Level 3

Il volubile

NUtrir nel petto

Tenero affetto

A un solo oggetto

Mai non potrò;

Godo incostante

Cangiar d’amante,

Tante e poi tante

Ne adorerò.

Lo studio mio

È inganno e brio,

Altro desio

Il cor non ha:

Le nostre Belle

Copio, e con elle

Porto alle stelle

La fedeltà.

Qual zefiretto

[270] Tocco ogni oggetto,

Son l’augelletto

Nei miei amor;

Lieto il dì mena,

Ma il vol non frena,

S’arresta appena

Su mille fior:

Io pur sovente

Cangio, e repente

Vinco possente

Ben mille cor.

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Li cappelli

Libera traduzione dall’Inglese.

General account► IO mi trovava tempo fa ad un’elezione Parlamentaria. La compagnia era molto numerosa clamorosa, ed insipida. Ebbi la disgrazia di essere separato dalle persone che io conosceva, e mi ridussi per tutto il divertimento alle riflessioni che mi suggeriva quella importuna moltitudine. Gettai gli occhi per azzardo sul muro che mi trovava avere di facciata, e vi vidi espressi i cappelli di tutti i convitati di quella parte della tavola. Esaminandoli con attenzione, osservai che ciascu-[271]no di essi aveva qualche cosa di particolare, che agli occhi di un attento osservatore lo distingueva dal suo vicino. Provai di scoprire dalla loro forma a chi appartenevano, e cercai se la distinta loro figura non aveva una certa analogia colle maniere e col carattere del loro padrone. I cappelli degli Ufficiali militari non potevano farmi conoscere nulla di nuovo; avevano un carattere troppo distinto. Io doveva dunque estendere solamente fra gli altri le mie osservazioni. Il primo che attirò i miei sguardi fu un cappello nuovo e lucente che pareva allor allora sortito dalle mani della moda; se fosse stato guarnito d’una cocarda sarei passato avanti; ma siccome non ne aveva, abbassai gli occhi per ravvisare la persona che lo teneva in testa, e riconobbi tosto che non poteva appartenere che ad un giovine scolaro meno geloso d’apprendere la legge, che di passare per uno spiritoso Adone. Il cappello vicino era precisamente il contrario di questo: la sua forma e le sue punte erano già da alcuni anni passate di moda; ne distinti subito il vigilante proprietario, ch’era un ricchissimo avaro. La testa del suo vicino sosteneva un largo cappello, il quale sembrava di avere maggiormente sofferto dalla negligenza che dal tempo: apparteneva ad un Quaque-[272]ro. Dopo di questi si vedeva un cappello apparentemente nuovo, ma così logoro nell’angolo davanti, che si vedeva facilmente l’uso frequente che ne faceva il suo possessore: era di un parasito amico di tutto il mondo, e prodigo di riverenze e d’inchini: veniva in seguito un cappello di testiera alta con un molle cordone attaccato ad esso; era coperto di fango e di polvere; no istetti molto a scoprire ch’era corriere di buone fortune. Più lungi vidi un cappello rotondo con una cintura nera avvinta, ed una lunga fibbia d’acciajo lucente, le sue ale erano un poco rilevate, ed apparteneva ad un giovine Ministro che frastagliava facendo il bello, tirando la gala della sua camicia: qualche volta agitava le sue dita per imitare il pizzico della chitarra; cantò e credetti di sentire a gracchiare le ocche. Tra questo e un altro cappello trovai un vuoto: abbassando gli occhi li fissai sulla Persona che doveva avere il cappello in testa: era in grande gala con un abito magnificamente ricamato, e con bellissimi manichini: di nulla al mondo sembrava sorpreso all’eccezione di ritirarsi di tempo in tempo con aria di timore se per accidente vacillava una bottiglia sulla tavola, o se uno trascurato vicino rovesciava un bicchiero: invece del cappello non aveva [273] che un piccolo sacchetto di taffetà nero, un angolo del quale si vedeva sortire dalla sua scarsella: la sua testa erra troppo bene assettata perchè fosse coperta: poteva a ragione chiamarsi un Damerino, un oggetto assolutamente nullo. Il giro era terminato da un cappello talmente smussato, che creder si poteva avesse assistito all’assedio di Gibilterra: per qualche momento m’imbarazzò, non sapendo a chi potesse appartenere, se ad un poeta o ad un pittore. Un attento esame mi fece scoprire una leggier macchia, che la spazzola non aveva potuto far intieramente sparire, e lo attribuii a quest’ultimo. Dopo queste osservazioni, che forse faranno ridere, mi divertii a considerare quanto siamo inclinati senza saperlo a trovare delle traccie distinte del nostro carattere e del nostro spirito nella più piccola parte del nostro abbigliamento a quel pezzo medesimo di panno col quale si copriamo la testa. Mi compiacqui a pensare che gli uomini possono bene immascherarsi nello travestimento delle arti nelle azioni importanti della vita, ma in mezzo a tutti i loro artificj portano con essi dei sicuri indizj del loro ver carattere, a cui un occhio attento non sbaglia giammai. ◀General account ◀Level 3

[274] Aneddoto storico

Metatextuality► ESiste tuttavia a Colonia una vecchia casa, ad una delle cui finestre sono postati due cavalli di legno: la storia di questo monumento è piacevole e degna di esser raccontata. ◀Metatextuality

Level 3► General account► Essendo morta a Colonia una Dama molto ricca, fu seppellita con degli ornamenti magnifici. Il sepoltore si prefissò di approfittarsene, e si portò nella susseguente notte per spogliarla; ma non fu appena aperto il sepolcro che la Dama si alzò, prese la lanterna che il sepoltore spaventato aveva lasciato cadere, e ritornò a casa sua. Dopo di aver picchiato, una fantesca si affacciò ad una finestra, e domandò chi fosse. La vostra padrona, rispose la defunta. La fantesca corse ad avvertire di questa visita il suo padrone, che forse malcontento del troppo sollecito ritorno di sua moglie, quanto è impossibile ai miei due cavalli dalla loro scuderia, di montare sull’ultimo piano, e di mettersi alla finestra. Pronunciate queste parole, dice la storia, che i due cavalli montarono infatti le scale, e si postarono, al balcone. ◀General account ◀Level 3

[275] Dell’acconciatura dei Fanciulli

FInalmente la moda ordina che non si sfiguri la testa dei fanciulli aspergendo loro di farina tutto il capo, come si faceva altre volte. La natura avendo dato loro un colore di capegli quasi simili alla pelle, sentì che non bisognava guastarla nella prima età della vita . . . . Più no si devon vedere sulla testa dei fanciulli quei grandi ricci, e quell’empiastro che l’uso avea troppo male adottato.

Quanto era mai bizzarra trent’anni fa l’acconciatura di un fanciullo di sette anni! Si polverizzava tutto in bianco, gli si metteva una borsa, un abito col guardinsanto, grandi manichini, il cappello sotto il braccio, o la spada al fianco. Il piccolo Signorino si teneva già ben diritto, faceva una grave riverenza. Non aveva nè braccia, nè gambe; ma sapeva ballare il minuetto. Un piccolo Signorino di questa specie trasportato in Inghilterra, introdotto presso un figlio di un Lord dell’età sua, coi capegli biondi e sciolti, colla carne bianca e ferma, colla testa nuda, col, cor-[276]po flessibile e robusto, che pareva egli mai? Il piccolo Signorino sembrava tutto nero, ma invece era tutto galonato. Si ammazzava a fare all’altro delle profonde riverenze, di cui l’Inglese rideva, e quando secondo l’uso Francese il piccolo Signorino voleva abbracciarlo, l’altro si ritirava, dicendo a suo padre: nò, nò, questo non è un fanciullo, è una scimia.

Ora si assettano i fanciulli convenevolmente alla loro età: pochissima polvere, capegli rotondi, netti, e ben tagliati. La fanciulezza ha ripreso il carattere semplice dell’amabile sua età.

Le domeniche e le feste

PIÙ non vi sono che gli Operarj che conoscono le Feste e le Domeniche. La Cassina dei pomi, Gorla, li Merli, Turro, Grescenzago, il Ponte del Seveso, la Mezza-Lingua, il Borgo degli Ortolani, la Briosca, la Cazzola, il Monte Oliveto ec. si empiono in tai giorni di bevitori. Il Popolo va a cercarvi da bere a miglior mercato che in Città. Succedono moltissimi disordini; ma il popolo si diverte, o piuttosto si divaga sulla propria sorte: ordinariamente l’Operajo fa il Lunedì, e si ubbriaca per pochi soldi che abbia ancora. Un ciabattino vedendo un Giovedì un falegname ubbriaco nella pubblica strada, che si procurava di tenere in piedi, e che ricadeva sordamente sul terreno, abbandonò il suo pedale, e andò a postarsi [277] dinanzi al barcollante falegname, e traendo un sospiro, disse: ecco lo stato in cui pur io mi troverò Domenica!

Questo tratto, che non deve essere sdegnato anche dalle persone più colte e filosofe, appartiene per quanto ci sembra alla cognizione del cuore umano, perchè è applicabilissimo alla logica delle passioni.

Del resto il ceto più infimo della Cittadinanza forte di buon mattino conciato dal dì delle Feste e và subito a Messa per avere il resto del giorno in libertà, e si unisce poi a pranzo in qualche taverna di campagna.

Il Cittadino che ha bisogno di economizzare non esce dalla Città; va a passeggiar al gran corso, sulle mura, e nei pubblici giardini, e si trova la Piazza del Castello frequentata dal ceto mediocre della Città.

Le persone del bel modo non sortono che tardi nei giorni festivi, ed abbandonano al popolo tutti gli spettacoli. I Comici rappresentano le commedie più usitate; gli Attori mediocri sono quelli che recitano, perchè tutto è buono per udienze meno difficili, e per le quali le commedie più antiche sono sempre nuove. Gli Autori in tai giorni usano le maschere, fanno ridere più degli altri giorni, ed ottengono per conseguenza grandi applausi.

I Cittadini più comodi sono già partiti nel giorno addietro per la loro piccola casa di campagna poco distante della Città. Vi hanno condotto seco la loro moglie, la loro figlia maggiore, il loro giovane di negozio, quando il padrone sia contento di lui, quando abbia saputo piacere alla Signora. Ivi è già stata trasportata tutta la piccola provvisione, e principalmente un’anitra, ed un pasticcio. È quegli un giorno di gozzoviglie. Il padre racconterà degli aneddoti, la madre riderà a la-[278]grime; la figlia maggiore si affrettellerà alcun poco, e non si terrà tanto ritta; il giovine di negozio, che avrà comperato un paja di calzette di seta a righe, e delle fibbie tutte nuove, onorato del titolo di bel giovane farà delle gentilezze, e spiegherà tutti i mezzi di piacere, giacchè aspira egli alla mano della Signorina, la quale avrà di dote due, o tre cento scudi, malgrado i suoi due piccoli fratelli che sono in pensione, e che non partecipano ancora delle delizie della casa di campagna sino a tanto che non abbiano ottenuto un premio al Collegio. Non bisogna distrarli dalla premura di diventare un giorno uomini grandi, quando sapranno la lingua latina come piamente credono il padre, la madre, e tutta la casa.

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Gabinetto delle mode. Spiegazione della tavola XII. Fig. 24.

Heteroportrait► LA Dama quì rappresentata ha una veste di mezzo negligè fatta di taffetà a righe fiorancio e blò, a mosche nere, ornata d’un secondo colletto di taffetà giallo, bordata di frangie fiorrancio e blò, e guarnita di semplici manichini di garza.

Sotto questa veste porta una sottana pure di taffetà giallo, bordata di una frangia fiorrancio e blò.

Guanti bianchi ascendenti fino al gomito.

Scarpe color di rosa ornate di rosette verdi.

Sulla testa una semplice fascia a turbante fatta di garza, ornata di un gruppo pure di garza guarnita di blonda, di grosse rose finte dinanzi e di dietro, di un grosso nodo di nastri color di rosa, e di un gran velo di garza di dietro.

L’affetto della testa è a grossi ricci steccati, quattro dei quali a due ordini cadenti per parte: i capegli di dietro rialzati in un disteso chinnon, e legati con una spilla alla Cagliostro. ◀Heteroportrait ◀Level 3

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[279] Tavola XII. Fig. 25.

Heteroportrait► LA Dama qui rappresentata prova incontrastabilmente che i cappelli a battello roverscio colla testiera coperta di nastro sono i soli che addesso si portano come abbiamo già detto. Quelle che porta la presente figura è fatto di garza verde, e la testiera è coperta di nastro pure verde. È cinto all’intorno di una ghirlanda di roso artifiziale.

È vestita con un pierrot-fichu di taffetà bianco bordato all’estremità di frangia di seta chermisì e bianco. Questo pierrot di piacevolissima forma, e che molto abbellisce, è guarnito di un doppio collare alla Spagnola di linon batista intorno al collo, d’una gala e manichetti à l’enfant di linon per ogni manica.

Questo pierrot è cinto con una larga, e lunghissima cintura di taffetà di Firenze.

La sottana è di taffetà blò celeste, guarnita d’una frangia di seta chermisì e bianca, simile a quella del pierrot-fichu.

Le scarpe sono di taffetà blò con falbalà di nastro bianco guernite di rosette banche.

Alle mani guanti di pelle bianca lunghi fino al gomito, in una delle quali tiene un gran ventaglio colle canne dipinte a righe color di rosa e bianche.

L’acconciatura del capo è à tapet con due ricci l’uno sopra l’altro cadenti per parte sul seno. I capegli di dietro sparsi alla senatoria. ◀Heteroportrait ◀Level 3 ◀Level 2

[280] Tavola

Delle Materie contenute in questo Numero XI.

Osservazioni Galanti pag. 250

Aneddoti

Tratti di Spirito 265

Alle anime sensibili 266

Il Volubile 299

Li Cappelli 270

Aneddoto Storico 274

Dell’acconciatura 275

Le Domeniche e le Feste 276

Gabinetto delle Mode. Spiegazione della Tavola XII. Fig. 24. 278

Tavola XII. Fig. 25. 279 ◀Level 1