Donna galante: Num. XI
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Ebene 1
Num. XI.
Italia 1788.
Si vende in Venezia al Negozio Albrizzi a San Benedetto.Ebene 2
Osservazioni Galanti
LE Italiane sono per la maggior parte magre, e a trent’anni non han più petto: Sono disperate quando cominciano ad ingrassarsi, e bevono dell’aceto per conservarsi la sveltezza della propria forma. L’arte ed il gusto sembrano piuttosto nel loro abito negletto, che in gran gala. Gli uomini cominciano ad allidirsi a quarant’anni. Gli avvenimenti più straordinarj non occupano la Capitale, che per otto giorni. Le persone di talento, che abbondano non sono ben accolte, che in un momento d’esservescenza; nel giorno susseguente si passa ad una altro che mette a profitto il baleno di quest’entusiasmo; e qual è il talento superiore? quello di divertire. Vi sono degli amici di tavola, che col tovagliuolo mettono in non cale le loro promesse, quando ci hanno regalato, si credono dispensati di adempire alle loro parole. Le donne non tengono più in mano nè la spilla da cucire, nè quella per far merletti. Fanno esse delle reti, o ricamano. Le belle donne fanno società con alcune brutte, affinchè servino loro di ombra. I mobili son divenuti l’oggetto più grande di lusso, o di spesa; ogni sei anni si cambiano i suoi mobili per procurarsi tuttociò, che l’eleganza, e la moda ha immaginato di più bello; bisogna che i letti siano superbi, che tutti gli appartamenti siano intagliati con una preziosa vernice, lo stucco è subentrato ad imitare le colonne di marmo, Si calpestano dei tappeti di trenta mille lire. il di cui uso non era altre volte, che per i gradini degli altari. Nelle camere più non si devono vedere le travi; sarebbe una orribile indecenza. Tutti gli appartamenti sono sorati per il condotto dei campanelli; questa è una scienza a parte. Ogni donna suona quando le sia caduto il suo fazzoletto. Una Sala non è abitabile, se non ha sedici, o venti piedi d’altezza. I cittadini sono alloggiati meglio, che non erano i monarchi ducent’anni addietro. Io credo che l’inventario dei nostri mobili sorprenderebbe un cinquecentista se ritornasse al mondo: il linguaggio degli stolidi, che fanno il nome di questa immensa solla di superstuità, è un linguaggio molto dettagliato, molto ricco, e soprattutto incognito al povero. Le donne più non si mischiano nel governo della casa, ammeno che non siano mogli d’artigiani. Il tuono del secolo ha molto ristrette le cerimonie; non vi è più, che un provinciale, che sia un uomo cerimonioso. Di tutti li costumi antichi, e triviali, quello di salutare quando si sternuta, è il solo che sussi sta ancora ai nostri giorni. Essere ammalato addesso, è uno stato, le donne lo proferiscono come il più interessante. L’aria di Corte è di avere come le persone letterate, una spalla più alta dell’altra. Non v’è che un uomo assolutamente abbandonato, che debba passare tutta l’estate in Città. È del buon tuono il dire nelle conversazioni abborisco la Città, vado in campagna. Le donne del rango più distinto mariolano qualche volta al gioco con una audacia tranquilla; hanno nel medesimo tempo la sfrontatezza di dire, che non hanno posto denaro sopra una carta che perdono. Il tuono delle donne di quatità è divenuto estremamente fiero in tanto che quello dei signori è onesto. Non v’è nulla di sì raro, quanto il trovare fra i nostri frati una faccia da penitente; e li giovani hanno un’aria pallida, che non proviene sempre dalla crapola ma dal poco esercizio. Non sono più in uso, che nel più insimo cittadino quelle fastidiose cerimonie, e quei modi inutili, ed eterni, che si prendono ancora per civiltà, e che affaticano all’eccesso le persone che hanno l’uso del mondo. Non si fanno più le mille scuse per avervi dato un cattivo pranzo, non si deve più sollecitare a bevere i convitati, non sono più tormentati per tale, e per la tal’altra vivanda; si rinunciò finalmente a quest’usi ridicoli così famigliari ai nostri antichi infelici proselisti, d’un costume pesante, e contrario al buon senso. Anco le giovani donne godono di una decente libertà, guattano intorno a se medesime, parlano un poco meno delle lor madri, e in un tuono più basso, sorridono solamente; in vece di ridere non hanno che la ritenutezza, che sta bene all’età, e che fa risaltare l’innocenza della loro bellezza. AneddotiEbene 3
Allegorie
TRavaglio, figlio del Bisogno,
padre della Salute, e della Soddisfazione,
viveva colle sue due figlie in un piccolo dominio sul
pendio di una montagna alquanto discosta dalla Città.
Non avendo alcun commercio coi grandi, e non volendo
essi altra compagnia, che quella die loro vicini, venne
loro il desiderio di vedere il mondo. Abbandonando
allora i loro compagni, e la loro cappanna si posero in
cammino. Marciava il padre, avendo alla destra la sua
figlia Salute, la quale per l’allegria della sua
conservazione, pel (sic!) suo canto, e per la
piacevolezza alleggeriva le pene della strada. La
Soddisfazione alla sinistra sosteneva tutti i passi del
di lei padre, e col suo buon onore superava la vivacità
della di lei sorella. Dopo di avere in tal guisa
traversate le foreste, le città, li villaggi, arrivarono
alla Capitale del Regno. All’ingresso in quella grande
Città il padre pregò le sue figlie di non perderlo di
vista, perchè tale separazione sarebbe stata per tutti e
tre di una totale ruina; ma la Salute era troppo vivace
per ascoltare questi paterni avvisi. Si lasciò sedurre
dal Libertinaggio, e ben presto perì. Separata la
Soddisfazione dalla sorella, si abbandonò alle
attrattive del Riposo, nemico di suo padre, e più non si
sentì a parlare di lei. Il Travaglio, che gustar non
poteva alcun piacere senza le sue figlie,
errò di paese in paese per trovale; e colto nella sua
corsa dalla Stanchezza morì miserabile.
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Exemplum
Ne tempi delle guerre di
Religione i Calvinisti assediando la città di Rouen, un
gentiluomo di quella città di Rouen, un gentiluomo di
quella città nominato Francesco Livite provò degli
accidenti, che non hanno forse esempio. Al suddetto
assedio ricevette un colpo sì forte, che lo se’cadere
dalle mura nella città, colla perdita di tutti i suoi
sensi. Fu dunque preso, e seppellito. Dopo qualche tempo
il suo fedele domestico cercò il suo patrone per dargli
onorevole sepoltura lo riconobbe tra i cadaveri, ed
accortosi che ancor respirava, lo trasportò all’ospitale
dei feriti. I chirurghi riguardandolo come morto lo
lasciarono per quattro giorni senza soccorso: dopo
questo tempo fu visitato: si cominciò a sperare la sua
guarigione. Quando fu presa la città ei fu gettato dalla
finestra della sua camera in strada, e cadde sopra un
letamajo, ove restò tre giorni come morto. Uno dei suoi
parenti lo fece levare per farlo seppellire: s’avvide
che non era morto, e colla cura più grande lo richiamò a
vita. Quest’uomo visse ancora quarant’anni.
Tratti di spirito
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Exemplum
UNa fauciulla di tre anni e
mezzo si presentò una mattina nella camera del suo Sig.
padre a dargli il buon giorno. Dopo un tal complimento
gli domandò, se un Signore che alloggiava nella stessa
casa si trovasse ancora a letto, perchè non si vedeva.
Il padre le rispose, che non essendo per anche comparso,
bisognava che fosse occupato nella sua camera. Al che
soggiuse la fanciulla, che non intendeva il motivo, per
il quale quel Signore non venisse a dargli il buon
giorno, giacchè a lei veniva sempre ricordato che suo
dovere dopo la preghiera era di portarsi a salutare il
suo Sig. padre, e che dubitava, ch’egli non avesse
ancora finita la sua preghiera, al che ripigliò il
padre, che forse egli stava studiando. Questo dialogo si
faceva in francese. La figlia allora esclamò: Que
sera-t-il donc? – Peut-étre il sera des vers rispose il
padre. – De vers? . . . . . qu’appellez-vous donc faire
de vers ? – C’est prendre le plus beaux sentimens, les
mots les plus gracieux, & les ranger d’une manière
douce & agreable, qui plait a l’orellei, &
charme l’esprit – He mon Papa : avovez donc qu’on a
donne un nom bien vilain à une chose aussi belle.
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Exemplum
Passeggiava una signora bene
imbiaccata in un giardino con altre belle, allorchè un
giovinotto che aveva la vista alquanto corta pensò,
sotto pretesto di essere in quel punto arrivato dalla
campagna, di voler dare a detta signora un bacio, che
ella schivò, facendo destramente a sinistra un mezzo
giro, riducendosi dietro una statua, che fu teneramente
bacciata in sua vece. Questo abbaglio fece ridere tutta
la compagnia, ma il giovinotto senza sconcertarsi
prendendo subito il suo partito: Non v’è niente di
perduto, disse, gesso per gesso; si tratta quasi della
stessa cosa.
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Alle anime sensibili
Allgemeine Erzählung
LA Contessa di . . . . .
dovette incontrare una lite contro suo Cognato, che la
ridusse a mancar delle cose più necessarie. Ella
sopportava l’indigenza con un coraggio eroico. Il suo
Calzolajo va a chiederle del denaro, e non ricevendone,
si mostra un poco indispettito. – Io vi son debitrice,
amico, e bramo ardentemente di pagarvi. Aspetto fra poco
una somma, e voi sarete il primo soddisfatto,
assicuratevene. Era d’Inverno. L’artigiano girava
continuamente gli occhi verso un socolare privo di
fuoco: sembra che questo spettacolo io
occupi sommamente, e va balbettando fra denti: signora
Contessa non avete freddo? – Non lo nasconderò, amico,
ho un sommo freddo, ma non mi scaldo perchè non ho
legna. Il Calzolajo era tutto commosso, ma cercava di
non dimostrarlo per non mancare al rispetto che le
doveva; alfin se ne va pensoso, e come chi volge in
mente qualche progetto. Il giorno seguente la Contessa
sente due carrette fermarsi alla porta, e domanda che
sia. Signora le risponde il servo, sono due carrette di
legna per voi, la Dama sorpresa ne fa chiamar i
condottieri, ricusa la legna, gli assicura che
s’ingannò. Uno dei carrettieri va a ritrovar
l’artigiano, lo conduce da lei; il povero uomo era
confuso morto, e le disse: vi dimando perdono signora,
se mi son preso questa libertà; ma non ho avuto
intenzione di offendervi, ve lo assicuro. Mi ha talmente
commosso il vedere una gran Dama par vostro in una
situazione simile, che ho ardito d’invitarvi questa
piccola testimonianza . . . . Vorrei fare di più,
signora, ma in verità le mie forze non lo permettono. Mi
pagherete questa legna quando avrete riscosso il vostro
denaro. Degnatevi di accettare questo debole servigio,
ve ne scongiuro; bench’io sia un povero
artigiano, ho cuore, e lo stato vostro mi ha penetrato.
Piangeva il degno uomo, e la Contessa era lì per
piangere anch’essa – Si amico, accetto volontie- il
vostro benefizio, che in fatti è tale. Fra poco ve lo
pagherò, e mi riserverò il piacere di darvi prove della
mia gratitudine. Qualche tempo dopo la Contessa, che
guadagnata la lite, era ritornata in fortuna, manda al
Calzolajo il proprio cameriere con queste lettera – Io
non me ne vergogno, amico, e voglio che tutto il mondo
lo sappia: nessuno de’miei conoscenti erasi degnato di
accorgersi ch’io me ne stava senza fuoco in una stagione
in cui è impossibile lo starne senza, e voi ci avete
posto mente, voi mi avete recato sollievo, ve ne sarò
grata finchè avrò vita. Infin ch’io possa fare di
meglio, il mio cameriere ha commissione di pagarvi le
due carrette di legna. Venite a ritrovarmi; io cercherò
d’esser utile a voi ed alla vostra famiglia. La Contessa
aveva eziandio avuto la nobiltà di sottoscrivere la
lettera. Il cameriere consegna al Calzolajo 300 Luigi. –
Come, Signore! v’ingannate. La signora Contessa mi deve
circa due Luigi. – La signora Contessa, ripiglia il
servo sorridendo, non dà meno di così per due carrette
di legna. L’artigiano vola al palazzo;
la Contessa avea intorno una conversazione brillante e
numerosa; ella presenta il suo benefattore a tutti, e
racconta con una sensibilità egualmente onorisica pel
(sic!) suo cuore, e per il suo spirito il servigio che
le aveva prestato.”
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Li cappelli Libera traduzione
dall’Inglese.
Allgemeine Erzählung
IO mi trovava
tempo fa ad un’elezione Parlamentaria. La compagnia era
molto numerosa clamorosa, ed insipida. Ebbi la disgrazia
di essere separato dalle persone che io conosceva, e mi
ridussi per tutto il divertimento alle riflessioni che
mi suggeriva quella importuna moltitudine. Gettai gli
occhi per azzardo sul muro che mi trovava avere di
facciata, e vi vidi espressi i cappelli di tutti i
convitati di quella parte della tavola. Esaminandoli con
attenzione, osservai che ciascuno di essi
aveva qualche cosa di particolare, che agli occhi di un
attento osservatore lo distingueva dal suo vicino.
Provai di scoprire dalla loro forma a chi appartenevano,
e cercai se la distinta loro figura non aveva una certa
analogia colle maniere e col carattere del loro padrone.
I cappelli degli Ufficiali militari non potevano farmi
conoscere nulla di nuovo; avevano un carattere troppo
distinto. Io doveva dunque estendere solamente fra gli
altri le mie osservazioni. Il primo che attirò i miei
sguardi fu un cappello nuovo e lucente che pareva allor
allora sortito dalle mani della moda; se fosse stato
guarnito d’una cocarda sarei passato avanti; ma siccome
non ne aveva, abbassai gli occhi per ravvisare la
persona che lo teneva in testa, e riconobbi tosto che
non poteva appartenere che ad un giovine scolaro meno
geloso d’apprendere la legge, che di passare per uno
spiritoso Adone. Il cappello vicino era precisamente il
contrario di questo: la sua forma e le sue punte erano
già da alcuni anni passate di moda; ne distinti subito
il vigilante proprietario, ch’era un ricchissimo avaro.
La testa del suo vicino sosteneva un largo cappello, il
quale sembrava di avere maggiormente sofferto dalla
negligenza che dal tempo: apparteneva ad un Quaquero. Dopo di questi si vedeva un cappello
apparentemente nuovo, ma così logoro nell’angolo
davanti, che si vedeva facilmente l’uso frequente che ne
faceva il suo possessore: era di un parasito amico di
tutto il mondo, e prodigo di riverenze e d’inchini:
veniva in seguito un cappello di testiera alta con un
molle cordone attaccato ad esso; era coperto di fango e
di polvere; no istetti molto a scoprire ch’era corriere
di buone fortune. Più lungi vidi un cappello rotondo con
una cintura nera avvinta, ed una lunga fibbia d’acciajo
lucente, le sue ale erano un poco rilevate, ed
apparteneva ad un giovine Ministro che frastagliava
facendo il bello, tirando la gala della sua camicia:
qualche volta agitava le sue dita per imitare il pizzico
della chitarra; cantò e credetti di sentire a gracchiare
le ocche. Tra questo e un altro cappello trovai un
vuoto: abbassando gli occhi li fissai sulla Persona che
doveva avere il cappello in testa: era in grande gala
con un abito magnificamente ricamato, e con bellissimi
manichini: di nulla al mondo sembrava sorpreso
all’eccezione di ritirarsi di tempo in tempo con aria di
timore se per accidente vacillava una bottiglia sulla
tavola, o se uno trascurato vicino rovesciava un
bicchiero: invece del cappello non aveva
che un piccolo sacchetto di taffetà nero, un angolo del
quale si vedeva sortire dalla sua scarsella: la sua
testa erra troppo bene assettata perchè fosse coperta:
poteva a ragione chiamarsi un Damerino, un oggetto
assolutamente nullo. Il giro era terminato da un
cappello talmente smussato, che creder si poteva avesse
assistito all’assedio di Gibilterra: per qualche momento
m’imbarazzò, non sapendo a chi potesse appartenere, se
ad un poeta o ad un pittore. Un attento esame mi fece
scoprire una leggier macchia, che la spazzola non aveva
potuto far intieramente sparire, e lo attribuii a
quest’ultimo. Dopo queste osservazioni, che forse
faranno ridere, mi divertii a considerare quanto siamo
inclinati senza saperlo a trovare delle traccie distinte
del nostro carattere e del nostro spirito nella più
piccola parte del nostro abbigliamento a quel pezzo
medesimo di panno col quale si copriamo la testa. Mi
compiacqui a pensare che gli uomini possono bene
immascherarsi nello travestimento delle arti nelle
azioni importanti della vita, ma in mezzo a tutti i loro
artificj portano con essi dei sicuri indizj del loro ver
carattere, a cui un occhio attento non sbaglia giammai.
Aneddoto storico
Metatextualität
ESiste tuttavia a Colonia una
vecchia casa, ad una delle cui finestre sono postati due
cavalli di legno: la storia di questo monumento è piacevole
e degna di esser raccontata.
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Allgemeine Erzählung
Essendo morta a Colonia una
Dama molto ricca, fu seppellita con degli ornamenti
magnifici. Il sepoltore si prefissò di approfittarsene,
e si portò nella susseguente notte per spogliarla; ma
non fu appena aperto il sepolcro che la Dama si alzò,
prese la lanterna che il sepoltore spaventato aveva
lasciato cadere, e ritornò a casa sua. Dopo di aver
picchiato, una fantesca si affacciò ad una finestra, e
domandò chi fosse. La vostra padrona, rispose la
defunta. La fantesca corse ad avvertire di questa visita
il suo padrone, che forse malcontento del troppo
sollecito ritorno di sua moglie, quanto è impossibile ai
miei due cavalli dalla loro scuderia, di montare
sull’ultimo piano, e di mettersi alla finestra.
Pronunciate queste parole, dice la storia, che i due
cavalli montarono infatti le scale, e si postarono, al
balcone.
Dell’acconciatura dei Fanciulli
FInalmente la moda ordina che non si sfiguri la testa dei fanciulli aspergendo loro di farina tutto il capo, come si faceva altre volte. La natura avendo dato loro un colore di capegli quasi simili alla pelle, sentì che non bisognava guastarla nella prima età della vita . . . . Più no si devon vedere sulla testa dei fanciulli quei grandi ricci, e quell’empiastro che l’uso avea troppo male adottato. Quanto era mai bizzarra trent’anni fa l’acconciatura di un fanciullo di sette anni! Si polverizzava tutto in bianco, gli si metteva una borsa, un abito col guardinsanto, grandi manichini, il cappello sotto il braccio, o la spada al fianco. Il piccolo Signorino si teneva già ben diritto, faceva una grave riverenza. Non aveva nè braccia, nè gambe; ma sapeva ballare il minuetto. Un piccolo Signorino di questa specie trasportato in Inghilterra, introdotto presso un figlio di un Lord dell’età sua, coi capegli biondi e sciolti, colla carne bianca e ferma, colla testa nuda, col, corpo flessibile e robusto, che pareva egli mai? Il piccolo Signorino sembrava tutto nero, ma invece era tutto galonato. Si ammazzava a fare all’altro delle profonde riverenze, di cui l’Inglese rideva, e quando secondo l’uso Francese il piccolo Signorino voleva abbracciarlo, l’altro si ritirava, dicendo a suo padre: nò, nò, questo non è un fanciullo, è una scimia. Ora si assettano i fanciulli convenevolmente alla loro età: pochissima polvere, capegli rotondi, netti, e ben tagliati. La fanciulezza ha ripreso il carattere semplice dell’amabile sua età. Le domeniche e le feste PIÙ non vi sono che gli Operarj che conoscono le Feste e le Domeniche. La Cassina dei pomi, Gorla, li Merli, Turro, Grescenzago, il Ponte del Seveso, la Mezza-Lingua, il Borgo degli Ortolani, la Briosca, la Cazzola, il Monte Oliveto ec. si empiono in tai giorni di bevitori. Il Popolo va a cercarvi da bere a miglior mercato che in Città. Succedono moltissimi disordini; ma il popolo si diverte, o piuttosto si divaga sulla propria sorte: ordinariamente l’Operajo fa il Lunedì, e si ubbriaca per pochi soldi che abbia ancora. Un ciabattino vedendo un Giovedì un falegname ubbriaco nella pubblica strada, che si procurava di tenere in piedi, e che ricadeva sordamente sul terreno, abbandonò il suo pedale, e andò a postarsi dinanzi al barcollante falegname, e traendo un sospiro, disse: ecco lo stato in cui pur io mi troverò Domenica! Questo tratto, che non deve essere sdegnato anche dalle persone più colte e filosofe, appartiene per quanto ci sembra alla cognizione del cuore umano, perchè è applicabilissimo alla logica delle passioni. Del resto il ceto più infimo della Cittadinanza forte di buon mattino conciato dal dì delle Feste e và subito a Messa per avere il resto del giorno in libertà, e si unisce poi a pranzo in qualche taverna di campagna. Il Cittadino che ha bisogno di economizzare non esce dalla Città; va a passeggiar al gran corso, sulle mura, e nei pubblici giardini, e si trova la Piazza del Castello frequentata dal ceto mediocre della Città. Le persone del bel modo non sortono che tardi nei giorni festivi, ed abbandonano al popolo tutti gli spettacoli. I Comici rappresentano le commedie più usitate; gli Attori mediocri sono quelli che recitano, perchè tutto è buono per udienze meno difficili, e per le quali le commedie più antiche sono sempre nuove. Gli Autori in tai giorni usano le maschere, fanno ridere più degli altri giorni, ed ottengono per conseguenza grandi applausi. I Cittadini più comodi sono già partiti nel giorno addietro per la loro piccola casa di campagna poco distante della Città. Vi hanno condotto seco la loro moglie, la loro figlia maggiore, il loro giovane di negozio, quando il padrone sia contento di lui, quando abbia saputo piacere alla Signora. Ivi è già stata trasportata tutta la piccola provvisione, e principalmente un’anitra, ed un pasticcio. È quegli un giorno di gozzoviglie. Il padre racconterà degli aneddoti, la madre riderà a lagrime; la figlia maggiore si affrettellerà alcun poco, e non si terrà tanto ritta; il giovine di negozio, che avrà comperato un paja di calzette di seta a righe, e delle fibbie tutte nuove, onorato del titolo di bel giovane farà delle gentilezze, e spiegherà tutti i mezzi di piacere, giacchè aspira egli alla mano della Signorina, la quale avrà di dote due, o tre cento scudi, malgrado i suoi due piccoli fratelli che sono in pensione, e che non partecipano ancora delle delizie della casa di campagna sino a tanto che non abbiano ottenuto un premio al Collegio. Non bisogna distrarli dalla premura di diventare un giorno uomini grandi, quando sapranno la lingua latina come piamente credono il padre, la madre, e tutta la casa.Ebene 3
Gabinetto delle mode. Spiegazione della tavola XII. Fig. 24.
Fremdportrait
LA Dama quì rappresentata ha
una veste di mezzo negligè fatta di taffetà a righe
fiorancio e blò, a mosche nere, ornata d’un secondo
colletto di taffetà giallo, bordata di frangie
fiorrancio e blò, e guarnita di semplici manichini di
garza. Sotto questa veste porta una sottana pure di
taffetà giallo, bordata di una frangia fiorrancio e blò.
Guanti bianchi ascendenti fino al gomito. Scarpe color
di rosa ornate di rosette verdi. Sulla testa una
semplice fascia a turbante fatta di garza, ornata di un
gruppo pure di garza guarnita di blonda, di grosse rose
finte dinanzi e di dietro, di un grosso nodo di nastri
color di rosa, e di un gran velo di garza di dietro.
L’affetto della testa è a grossi ricci steccati, quattro
dei quali a due ordini cadenti per parte: i capegli di
dietro rialzati in un disteso chinnon, e legati con una
spilla alla Cagliostro.
Ebene 3
Tavola XII. Fig. 25.
Fremdportrait
LA Dama qui rappresentata
prova incontrastabilmente che i cappelli a battello
roverscio colla testiera coperta di nastro sono i soli
che addesso si portano come abbiamo già detto. Quelle
che porta la presente figura è fatto di garza verde, e
la testiera è coperta di nastro pure verde. È cinto
all’intorno di una ghirlanda di roso artifiziale. È
vestita con un pierrot-fichu di taffetà bianco bordato
all’estremità di frangia di seta chermisì e bianco.
Questo pierrot di piacevolissima forma, e che molto
abbellisce, è guarnito di un doppio collare alla
Spagnola di linon batista intorno al collo, d’una gala e
manichetti à l’enfant di linon per ogni manica. Questo
pierrot è cinto con una larga, e lunghissima cintura di
taffetà di Firenze. La sottana è di taffetà blò celeste,
guarnita d’una frangia di seta chermisì e bianca, simile
a quella del pierrot-fichu. Le scarpe sono di taffetà
blò con falbalà di nastro bianco guernite di rosette
banche. Alle mani guanti di pelle bianca lunghi fino al
gomito, in una delle quali tiene un gran ventaglio colle
canne dipinte a righe color di rosa e bianche.
L’acconciatura del capo è à tapet con due ricci l’uno
sopra l’altro cadenti per parte sul seno. I capegli di
dietro sparsi alla senatoria.