Num. XXII Gioseffa Cornoldi Caminer Moralische Wochenschriften Klaus-Dieter Ertler Herausgeber Alexandra Fuchs Herausgeber Angelika Hallegger Mitarbeiter Sarah Lang Gerlinde Schneider Martina Scholger Johannes Stigler Gunter Vasold Datenmodellierung Applikationsentwicklung Institut für Romanistik, Universität Graz Zentrum für Informationsmodellierung, Universität Graz Graz 08.04.2019

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Cornoldi Caminer, Gioseffa: La Donna galante ed erudita. Giornale dedicato al bel sesso. Venezia: Albrizzi 1786, 259-287 Donna galante 2 22 1786 Italien
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Num. XXII.

Abbozzo. Della bellezza delle Donne ItalianeSperiamo che nessuna vorrà disgustarsi di questo articolo, quando sappia che è stato scritto da una Donna bizzarra..

Le donne Italiane sono senza contraddizione in generale molto più belle Francesi, ma queste ultime sono al contrario più graziose.

In Francia il sesso ha mille rissorse; in Italia è affatto monotono. La ragione è che la donna graziosa ha mille prospettive diverse, dove al contrario la bella non ne ha che una.

Le donne debbono essere sicure di non piacer lungo tempo agli uomini, allorchè che non hanno da mostrar loro che un aspetto materiale per quanto bello che sia. Siate graziose, e troverete mille adoratori.

In generale il viso delle Italiane non ha molto espressione, e vivacità. Quasi tutte le grazie svaniscono nella nostra penisola. Si direbbe che la bellezza delle donne Italiane è quasi in agonìa. Avvertite che io parlo in generale, e che in conseguenza eccettuo tutte quelle particolari che leggeranno questo articolo.

Non si deve supporre per questo che le donne in Italia non si disputino l’Impero della bellezza, e che non cerchino tutti i mezzi di piacere, e d’incontrare il genio degli uomini. Questa inclinazione del bel sesso è propria di tutti i climi, e si trova in tutti i paesi.

È una cosa molto seria in Francia l’accomodare il viso di una donna e metterlo in istato la mattina di mostrarsi per tutto il resto della giornata a una folla ammiratrice. In Italia è presto fatto. Una donna Italiana lascia alzandosi il suo viso com’egli è, L’uso del belletto ch’è in Italia generalmente adottato, fa eccezione a quanto qui si asserisce. Ormai le Italiane si adattano all’uso delle Francesi. e lo porta la giornata come si è trovato la mattina, ella procura davanti allo specchio di dar delle grazie a tutto il resto di sua persona: non v’è che il suo viso che non faccia toletta. Se alcuna vi presta qualche attenzione, questo è solo per dargli un’aria semplice, e un non so che di negligente che accresce la confusione delle sue attrattive. Questo è in Italia l’ultimo raffinamento della bellezza.

Quelli che conoscono i differenti mezzi che le donne mettono in pratica per piacere ed incantare gli uomini, pretendono che un viso così semplice e naturale privo affatto di tutti i soccorsi ausiliarj e artificiosi sia molto più capace di fare delle vive impressioni. Io non ne dirò cosa alcuna, perchè bisogna non esser donna, o istruita nella scienza delle grazie e delle attrattive per sapere, se una pallidezza studiata, una semplice negligenza, una confusione affettata formino una bellezza.

In quanto al carattere è cosa sorprendente l’osservare sino a qual punto il sesso Europeo sia guastato da una naturale fierezza che non lo rende in verità troppo amabile.

Quando io vedo una donna molto più bella di me, scommetterei ch’ella è fiera ed orgogliosa, e in fatti esaminandola in seguito ho osservato, che se io avessi scommesso con qualcheduno, io avrei quasi sempre guadagnato.

Io mi trovava un giorno in una brillante assemblea, dove vi erano molte Donne: osservate mi disse all’orecchio un mio Amico; ecco la Mar-chesa di . . . . Ella è sicuramente una bella donna, ma sì vana e sì vana e sì fiera di sua bellezza, che disgusta tutti quelli che la circondano. Non vi è alcuno che abbia tanta pazienza. Sarebbe meglio il servire sulle galere, che di essere condannato a vivere con lei ec.

Aneddoti.

Un paesano si presenta alla Casa d’un Chirurgo per farsi trar sangue, ma si troverano fuor di essa a caso ed il padrone ed i suoi allievi. Un giovine che si trovava presente, fa sedere il villano, gli stringe la legatura, lo punge, e il colpo non riesce. Senza sconcertarsi fa altrettanto coll’altro braccio, ma non è per questo più felice. Come, bestia, non hai sangue, e vieni a farti sallassare? Oimè! Signore, perdonatemi, io credeva di averne.

Se si deve prestar fede ad alcuni Autori, a Roma le donne potevano qualche volta trattare le loro cause. Calpurnia avendo ciò fatto una volta, ed avendola perduta, fu così irritata contro i Giudici che si scoprì il deretano, e lo mostrò loro per dispregio. Fu sconcertata a tal vista la gravità dei Senatori, e per rimediare agli inconve-nienti che potevano inseguito succedere, fu ordinato che le donne non sarebbero state più ammesse a trattar le loro cause.

Si doveva appiccare a Exeter un uomo che sembrava aver ricevuto un’onesta educazione. Il Giudice avendolo riconosciuto nell’atto che si pronunciava la sua sentenza, gli chiese novelle di diversi loro compagni di Collegio. Il ladro rispose: Oimè sono stati tutti appiccati, fuorchè io e voi.

Una Dama Inglese essendo al letto di morte chiese di veder suo marito, e rammentogli i cattivi trattamenti, ch’avea da lui ricevuti. Quando credette d’aver eccitata la di lui sensibilità, scongiurollo per sua parte perdonarle in quello stremo un’ingiuria ch’aveagli fatta. Si perdonarono reciprocamente, ed ella confessò piangendo che gli era stata infedele. Bene, gli disse anch’egli piangendo il marito, voi mi perdonaste ed io vi perdono, e si tenean frattanto strettissimi in tenero abbraccio. Io lo supponevo, soggiunse il marito, e godo che i miei sospetti avverati sono. Voi provocaste la mia . . . Povera donna voi morite vittima del mio risentimento . . . Io v’ho dato il veleno! I due sposi sinceri s’abbracciarono ancor più teneramente dopo questa confessione, e la moglie spirò nelle braccia di suo marito.

L’Inglese Fox, di cui sì sovente parlano i fogli, essendo ancor giovine, ricevette un giorno a pubblico desinare, ov’eranvi moltissimi Commensali, un colpo di buon pugno fu l’orecchia da suo padre. Cruccioso di tal correzione fuor di tempo, rende di tutta forza al suo vicino il colpo ch’avea ricevuto, e il punga di fargli far giro, sin che ritorni a chi primo lo die’.

Scriffer già da Vienna d’essere stato commesso un rubbamento considerabile nell’Imperiale Palazzo. Introdottisi i ladri in un appartamento mobigliato di nuovo, ne derubbarono i galoni d’oro, le tappezzerie, e dei quadri preziosi.

Questa notizia ci somministra l’occasione di citare l’aneddoto seguente, che potrà servire per soggetto di conversazione.

Sotto il Regno di Enrico IV. si trovava in Francia una ladro celeberrimo, che acquistato si era una grande riputazione come i Cartouche ed i Mandrini di Francia; i Pittaluga ed i Cavallantini di Lombardia. Era figlio di un gentiluomo di Brettagna, e nomavasi Guillerit. Ingaggiato prima come soldato aveva in seguito ottenuto un grado di distinzione nell’armata destinata contro il Duca di Savoja. Fu riformato alla pace; ed in tali estremi non trovò altro mezzo di sussistere che facen-dosi capo di una banda di ladri. Le Provincie d’Aunis, e di Saintonge furono per dieci anni il teatro delle sue spedizioni. I boschi della Chataignere presso di Niort era l’esilo della sua truppa, ed il luogo in cui stabilito aveva il suo magazzino. Da questa specie di fortezza passava nelle vicinanze alla testa di 40 in 50 uomini determinati è divisi in tante squadre. Il terrore del suo nome e delle sue armi faceva timore a tutti; ma atraverso di questo carattere di scelleratezza si vedevano in lui dei tratti di maghanimità; e non fu mai complice di verun assassinio. Quando alcuno de’suoi in di lui assenza si rendeva colpevole d’un omicidio lo puniva col rigore più grande. Spingeva eziandio la generosità sino a somministrare denaro a chi non ne aveva. La vita errante e tumultuosa che menava esigeva dei frequenti travestimenti da prete, da eremita, da cavaliere per far cadere nelle sue reti diverse brigate a cui però non faceva alcun male. Il tratto seguente può dare idea del suo spirito.

Trovò un giorno sulla strada da Niort alla Rochelle un Paesano a cui si avvicinò, e dal quale seppe che si portava a quest’ultima Città per dar l’ultima mano ad una lite. Me ne rallegro; gli disse Guillerit, noi faremo strada in compagnia; ma voi avrete senza dubbio del denaro, perchè senza di esso si fa nulla in tali affari. Il Paesano che cominciava a diffidare, rispose subito che non ne aveva. Noi dunque stiamo bene insieme, ripigliò il ladro, io ne ho meno di voi; ma mettiamoci in ginocchio, e preghiamo Dio di mandarcene. Il Villano che non aveva alcuna confidenza in questa sorte di metodo, lo fece con ripugnanza. Allora Guillerit si pose le mani in tasca, cercando fra gli angoli di essa, cavò cinque soldi, e ringraziò il Cielo, dandone la metà al Paesano. Fece in seguito un’altra genuflessione, e trasse quindi dalla sua saccoccia uno scudo, lo divise col suo Camereta, invitandolo a cercare pur esso nelle sue saccoccie per convincersi del miracolo. Al rifiuto del Villano Guillerit se gli avvicinò, e gli disse: Vediamo se Iddio non ha favorito voi pure, giacchè avete l’aria di un buon Cristiano, gli visitò quindi le saccoccie, e gli trovò una borsa di 50 scudi d’oro, che divise religiosamente dicendogli: Dubitava bene, che Dio vi amasse meglio di me.

Mode Ommesse.

Una moda nuova che si siamo dimenticati di annunciare è quella dei bottoni a righe assortite del colore delle righe dell’abito. Queste righe dei bottoni sono di colori più forti, e più espressi di quelli degli abiti. Se l’abito è soglio, e che sia bordato da una pistagna, giacchè di tai bottoni se ne mettono anche sugli abiti sogli, il fondo del bottone è del colore dell’abito, e la rigatura del colore della pistagna.

Di questi bottoni se ne fanno di pelo di capra e le rigature sono di filo; se ne fanno di seta, e le righe di nastrini.

Alcuni nominano tai bottoni, bottoni a guardie di spada: noi non conosciamo il significato d’una tale denominazione, e qual rapporto vi possa essere tra il disegno dì un bottone, e la forma d’una guardia di spada. Bisognerebbe prendere dei grandi telescopi per comprendere i rapporti, o bisognerebbe prestarsi di troppo all’illusione.

Letteratura galante.

Il Nobil sesso desiderarebbe da noi di tempo in tempo un indizio delle Opere nuove galanti, e piacevoli che sortono dai torchj Francesi, e Italiani per sapere con quali consagrare qualche momento in una lettura dilettevole, e grata. Veramente abbiamo finora trascurato un articolo molto prezioso; e ci confessiamo rei di trascuratezza. Ringraziamo perciò le persone che ce lo hanno rammentato, compromettendoci di arricchire qualche volta il nostro Giornale di un tale articolo cotanto utile, e interessante.

Lovise, ou la Chaumière dans le marais, tradotta dall’Inglese 2 Volumi in 8 1787.

È questa un’eccellente Operetta, che può essere riguardata come un perfetto modello, ed un luminoso esempio per il bel Sesso. Le figlie, le maritate troveranno un dolce interesse nell’imitare quest’amabile Luigia, che è certamente uno dei caratteri più perfetti, che siano mai stati rappresentati. Il soggetto è interessante, elegante lo stile, e la virtù vi è posta in tutto il suo splendore.

Les Confessions d’Emanuel Figaro écrites par lui-même & publiés par une Religieuse ec.

Addesso non si legge solamente per riportarne profitto, si legge anche per oziosità, per divertimento, per divertire gli altri, per ingannare qualche ore d’impazienza, per aver qualche cosa da dire nella società, per darsi l’aria capace di dire delle novità. È tale quest’Operetta, la quale già non può annojare, perché ne è il complessio gajo, vario, qualche volta serio, ma sempre semplice. Vi si trovano delle buone piacevolezze, dei sentimenti bene espressi; in somma è un libro, che si fa leggere.

Guenilles dramatiques ramassées dans une petite Ville de la Suisse. 2. Vol. in 8.

Il titolo è modesto, ma sono interessanti tutti pezzi che si contengono in questi due volumi.

Si trova nel primo il Mendico virtuoso, Dramma in cinque atti, i Modelli, ed il Medico della Montagna; nel secondo il Medico Svizzero Tedesco, le Rendite vitalizie, ed i Pensionarj; graziose bagatelle bene dialogizzate, in cui il buon senso, ed il naturale fanno apparire ben ridicola la condotta delle Donne di mondo.

Description des terres Magelaniques tradotta dall’Inglese in 16 1787.

Poco sappiamo delle terre Magelaniche; appena se ne conosce il circuito. L’Autore abitò per al-cuni anni in questo paese, perciò ne dipinge il suolo, le produzioni, i diversi Popoli che lo abitano, i loro costumi, la religione, la cerimonia, la lingua ec. con descrizioni piacevoli, e interessanti.

Fra le funebri lor cerimonie la più singolare è quella di fare coi loro morti dei scheletri, di conservarli in profondi cavi coperti di un tetto, e di cambiare loro gli abiti, e gli ornamenti con cui gli adornano. Non conosciamo altro popolo che abbia avuto un tal uso.

Scelta raccolta di Romanzi, Novelle, Favole, Aneddoti ec. ec. tratti dai migliori Scrittori ec. Tomo 1 in 12 Milano 1787.

Li pezzi contenuti in questo primo volume sono Clemenza d’Argelle, Aneddoto Provenzale; Azef, Favola orientale; il Decano di Badajos, Novella Spagnuola; l’Amor figliale, Novella Inglese; il Viaggiatore sentimentale, critica che verrà proseguita nel secondo volumetto.

L’Editore ne promette un Tomo al mese; se la scelta, e la varietà dei soggetti sarà eseguita come nel primo, può egli sperare anche per i susseguenti volumi un’ottima accoglienza; ed il Pubblico potrà trovare in questa nuova Raccolta di che ricreare lo spirito, ed il cuore.

Emblema della Rosa.

In ogni tempo la rosa fu l’emblema della Primavera e degli amori. I Romani ne facevano delle corone per le loro belle, e davano ad esse il dolce nome di mea Rosa. A’Salenci, a Canon, ed in altri villaggi della Francia le rose coronano le virtù delle figlie. Diversi Feudatarj esigevano dai loro Vassalli un cappello di rose, ed in molti luoghi sussistono ancora tali galanti tributi. I Pari di Francia presentavano altre volte delle corone di rose ai Parlamenti, è quest’uso chiamato la baillée des roses. A Roma la quarta Domenica di Quaresima è chiamata la Domenica della Rosa. Il Papa fa la benedizione d’una rosa d’oro, che spedisce ad un Sovrano. Nel 1737. fu mandata alla Regina Sposa di Lodovico XV.

Origine delle Carte.

Non sarà forse discaro a taluno di aver quì alcuni indizj sull’origine delle Carte da giuoco, il di cui uso è ai nostri tempi cotanto alla moda.

Di questa bella scoperta il genere umano è debitore a Giacomo Gringonneur Pittore di Carlo VI. Ne compose tre giuochi per divertire il Re durante gl’intervalli della sua malattia. Egli ebbe la sorte di accorciare la convalescenza di questo Monarca.

Un uomo di spirito ha detto che non si presentavano delle carte da giuoco nella società, se non per evitare la conversazione degli ignoranti.

Enimma.

Tra la ragione austera, e il brio cortese,

Tra il silenzio e la voce un mezzo io sono;

Ho di parlar Arabo, e Greco il dono,

Latino, Ebreo, Cinese.

Sono uno pazientissimo animale;

Ma benchè imparziale

Per le Religion, misterj, e sette,

Sempre i Papi anteposi al gran Muftì.

Siccome il Sol sulle smaltate vette,

Tal io diffondo il dì;

Ma di suo raggio luminoso e bello

Non sono adorno: al par di Raffaello

I caratteri io pingo: eppur vien manco

Il suo pennello. In due color finisce

La tavolezza mia: Su fondo bianco

Dipingo in ner: lineamenti e strisce

Riduco in ordin vago;

La tela li riporta: alcuna immago

Più natural non fu. D’un quadro solo

Posso trar mille copie, e far contento

Un infinito stuolo.

Io posso senza un empio incantamento

Risciuscitar i morti e far tesori.

Io cambio a poco a poco

Le opinion comuni, i sparsi errori,

E il mio poter ha loco

Della Bigonica antica

Ove armati di folgere nemica

I Cittadini arditi

Risvegliavan i popoli storditi.

Dell’uom la guida, la ragion formai,

E molti arcan svelai:

Dalla mia libertà pende il mio fato;

A nulla valgo se son io legato.

Il moto dell’Enimma inserito nel pass. n. XXI è l’orologio.

L’accademia de’silenziosi. Apologo orientale.

Eravi in Amadan una celebre Accademia, di cui questo era il primo statuto fondamentale. Gli Accademici penseranno molto, scriveranno poco, e parleranno il meno che sia possibile. Essa chiamavasi l’Accademia de’Silenziosi, nè alcuno trovavasi in tutta la Persia del numero de’veri Sapienti, che non ambisse d’esservi ammesso. Il Dottor Zeb Autor d’un piccolo libro intitolato: La Mordacchia, seppe nell’angolo, ov’ei dimorava, della sua Provincia, che vacava un posto in tale Accademia. Pertanto senza frapporre indugio, si mette in cammino, e arriva in pochi gior- ad Amadan. Fortunatamente ritrova, che in quel dì appunto la silenziosa Assemblea si teneva adunata, occupandosi dell’importante oggetto di scegliere tra gl’infiniti concorrenti il più degno, e nominarlo in nuovo suo Membro. Presentasi egli alla porta della sala, e priega l’Usciere di rimettere al Presidente questa Supplica: Il Dottor Zeb dimanda umilmente il Posto vacante. L’Usciere s’incarica immediatamente della commissione, ma il Dottore, e la sua supplica arrivarono troppo tardi: il Posto era già conferito.

L’Accademia restò desolata in vista di un tal contrattempo. Essa aveva accettato così costretta da’forzosi impegni un bello spirito della Corte, la cui garrulità vuota d’ogni sostanza faceva l’ammirazione di tutti i Chiazzolini della Città, e quindi ridotta vedeasi alla dura necessità di ricusare il Dottor Zeb vero flagello de’Sbajaffoni, testa veramente brava, e sì ben calzata sul dritto. Il Presidente dovendo annunziare al Dottore la disgustosa nuova, non vi si sapeva risolvere. Finalmente dopo essersi stato alquanto pensoso fece riempir d’acqua una gran tazza, ma così esattamente culma, che una stilla di più fatto avrebbe sgocciare il licore; poi fe’cenno che fosse introdotto il Candidato. Egli comparve con quell’aria di semplicità, e di modestia, che annunzia quasi sempre il vero merito. Il Presidente s’alzò, e senza proferir parola gli additò in afflitto sembiante la tazza emblematica, cioè quella tazza così perfettamente ripiena. Comprese all’istante il Dottor, che non v’era più posto per lui nell’Accademia; ma senza perdersi di coraggio pensò la maniera di far capire, che un Accademico so-pranumerario non avrebbe punto sconcertato il sistema. Vede casualmente a’suoi piedi una soglia di rosa, la prende, e ponla delicatamente sulla superficie dell’acqua, e il fa sì bene, che neppur non ne cola una sol goccia. Ad un risposta cotanto ingegnosa applaudirono tutti col battere delle mani: le Costituzioni, e le Regole non furono attese in quel giorno, e il Dottor Zeb fu ricevuto per acclamazione. Gli venne immediatamente presentato il Registro dell’Accademia, in cui devono i Scoj scrivere essi stessi il proprio nome. Vi si scrisse egli adunque, e altro più non gli rimaneva, ch’esprimere secondo il costume una frase di ringraziamento. Ma da vero Accademico Silenzioso il Dottor Zeb ringrazia senza proferir parola. Scrive in margine il numero cento, ch’era quello de’novelli suoi Socj; poi mettendo uno zero avanti la cifra vi scrive sopra: Non saranno nè più, nè meno (0100) al modesto Dottore con altrettanto di puliteeza di spirito il Presidente mette la cifra l avanti del numero cento, e scrive: Anzi varanno dieci volte più (1100).

La regina di gor.

Katifè Regina di Gor avea tutte le virtù, e tutti i difetti, o per meglio dire tutti i capricci, che si possono dare. Si piccava ancora di Filosofia, e un giorno disse al savio Zulbar: Io mi occupo seriamente a conoscer me stessa; ma ho bisogno d’essere ajutata in uno studio sì degno d’una Femmina ragionevole. Studiate un po’ voi il mio carattere, e fattemene un quadro, in cui mi ravvisi al primo colpo d’occhio. Il vostro carattere? Rispose Zulbar: ma quale; sublime Maestà? La vostra modestia dunque vi fa credere, che non abbiate; che un solo carattere? Meno son numerosi, e meno varj i fiori di Primavera di quello che lo siano le virtù, onde s’abbella il vostro animo ad ogni istante. Al veder queste nascere, e brillare tutt’ad un tratto, indi scomparire, e ricomparire di nuovo; al vederle confondersi insieme, accordarsi, e contrastare fra loro, posso ben io ammirarle, come chiunque altri; ma chi potrà mai descriverle, o soltanto numerale? Ho letto in un vecchio libro, seguitò il Filosofo, che un giorno la Luna voleva, le fosse fatto un abito conveniente al suo dosso, e di un colore uni-forme al suo. L’Artefice, a cui n’avea data la commissione, dissele ingenuamente: O Regina degli altri, voi ci comparite sotto tutte le forme, e in tutti i tempi; ora siete grande, ed ora piccola; alle volte bianca, alle volte pallida, alle volta vermiglia. Quale misura posso io prendere sopra un dosso, che non è mai lo stesso? Quale colore posso mai assortire ad una carnagione, che varia da una notte all’altra?

L’invidioso.

Il Santone Bazatlù non mangiava durante tutto il Ramazan se non un grapolo d’uva all’unico pasto, che faceva dopo il tramontare del sole. Egli avea scritto sulle pareti della sua cella queste parole. V’è Dio; le meditava continuamente, e faceva orazione con tanto raccoglimento, che gli uccelli prendendolo per una statua venivano ad appollajarsi sopra la sua testa. S’era grande la di lui pietà verso Dio; non fu minore la sua carità verso gli uomini, per cui si rese al sommo celebre per tutta la Natolia. Il suo Romitaggio era il refuggio de’miserabili, e de’penitenti. Qualunque fosse l’afflizione, che alcuno provava, qualunque peccato avesse commesso, andava a visita-re il buon Santone, e ritornavane consolato. Un abitante di Smirne portossi un giorno a ritrovarlo, e gli disse: O Santone io son povero, e mi darei pazienza, se vedessi il mio Fratello come son io; ma a lui tutte le cose van prospere, e il Cielo sparge sopra di lui i suoi doni con una profusione, che mi fa rabbia. Nè ciò è tutto: Io sono odiato, e disprezzato, mentre il mio Fratello troppo fortunato gode della pubblica stima, e dell’amicizia di tutte le oneste persone. Dovunque mi vò, convienmi a sentire gli offensivi elogj di sue virtù, e sono costretto ancora ad applaudirvi. O Santone io sono l’uomo più infelice del mondo. Deh pregate per me solo, e consolatemi, se potete. Le doglianze di quell’invidioso furono le prime, che il Santone ascoltò senza pietà: Vanne, gli disse acceso in volto di santo sdegno, vanne lungi da’miei occhi o nimico esecrabile di tutto il bene. L’Inferno consolerà te, che vorresti veder Dio avaro, e il tuo Fratello miserabile, e vilipeso.

Tavola XLII. Fig. 54. Moda Francese.

Le vestine all’Inglese, come abbiamo già detto, sono adesso più che mai di moda. Si riprendon ora con una specie di furore, e sembra sia stato l’abito di questa estate generalmente adotstato. Non v’ha però dubbio, che non gli debba essere disputato il vanto dalle vestine alla Turca, dai redingotti da uomo di taffettà, e dalle vestine di linon bianco; ma per ora le prime tengon ferme il loro impero.

Nulla è cambiato dalla passata descritta lor forma; non v’è stato aggiunto alcun nuovo ornamento. Sono sempre d’uno stile semplice, ma piacevole.

La Dama quì rappresentata è posta in una situazione teatrale. Ciò non deve sorprendere, sapendosi quanto sia grande il gusto e delle Francesi, e delle Italiane per rappresentare fra le loro società delle commedie, e delle tragedie, per le quali si sceglie sempre l’abito di moda, giacchè tali rappresentazioni devono essere le immagini dei costumi attuali, motivo per cui abbiamo creduto, senza timore di essere rimproverati, di poterla dar quì in atteggiamento teatrale.

L’abito di questa Dama è di grograno verde-pomo. Sono ora variatissimi i colori degli abiti. Oltre le vestine rigate a righe assai strette, come abbiamo rappresentato, se ne portano molte di taffettà blò, di taffettà verde nero, gridellino, violetto ec.

Sotto di queste, come sotto di quella segnata in questa Tavola si portano delle sottane di colore diverso di quello della veste; col verde-pomo si portano o violette, o pulcre, o prunes de Monsiuers; col blò si porta il color di rosa, o il bianco; col verde nero si porta il giallo, o il gridellino, o il bianco; col gridellino si porta il giallo, il color di rosa, o il violetto; e col violetto si porta il bianco, il verde nero, il giallo, o il color di rosa.

Ha questa Dama in testa un cappello feltrato d’altissima testeria fatto di garza a righe larghe verdi, e rosa, cinto con un largo nastro violetto, formando un grosso gruppo d’avanti, e un altro di dietro, che lascia cadere assai basse le estremità dello stesso nastro.

Al collo tiene un fazzoletto a gala assai gonfio.

Alle mani dei guanti di pelle bianca.

In piede delle scarpe color di rosa con falbalà di nastro verde.

La pettinatura è a piccoli ricci; quattro grossi dei quali a due giri per parte restanle cadenti sul seno. I capegli di dietro sono acconciati sciolti alla senatoria, legati nel mezzo con uno spillone alla Cagliostro.

Tavola XLIII. Fig. 55. Moda Francese.

Sì: tuttocchè noi siamo ancora in estate, la moda ci presenta degli abiti di panno. Questo non deve giunger nuovo perchè i Francesi variando nei loro gusti, arrivano a secondare le stesse stagioni nell’incostante clima in cui soggiornano: lo stesso si dica anche di noi: nei giorni scorsi non è stato da più d’uno adottato l’abito di panno? Voi siete ben ingiusti, Popoli che abitate nei climi quasi sempre egualmente temperati della Grecia, che vivete sempre sotto un cielo sempre puro e sere-no, se avete in odio i Francesi per la loro incostanza nei loro gusti prodotti dal loro umore, e dalla stessa varietà del tempo. Noi saremmo egualmente ingiusti se rimproverassimo agl’Inglesi il loro umor nero, taciturno, melancolico, prodotto dal clima quasi sempre nuvoloso, e quasi sempre coperto di dense nebbie, che continuamente si alzano dalle acque da cui sono circondati; se rimproverassimo agli Spagnuoli la loro specie di abbattimento prodotto dal clima loro sempre caldo, sempre pesante; se noi rimproverassimo ai Turchi la deliziosa loro inazione per non dire la loro indolenza prodotta da un clima snervato coll’uso dell’oppio, e coll’abuso del piacere; se noi rimproverassimo ai Svizzeri, ed ai Tedeschi il loro gusto per il vino prodotto dal bisogno di opporre ad un clima freddo dei forti calori naturali, e dalla memoria che lascia al palato il sapore d’un liquore cotanto piacevole; se noi rimproverassimo ai Laponi l’insuperabile loro amore per le proprie abitazioni, prodotto tanto per la facilità di opporre dei calori moderati, e sparsi ovunque, a dei freddi eccessivi che congelano il loro paese, che per la loro facilità in soddisfare tutti i loro bisogni, ed i loro desiderj, e per l’abitudine di non ab-bandonare le loro case; se noi rimproverassimo ai Tartari la loro passione per la piraterìa prodotta dall’uso della guerra, dalla comodità di procurarsi le cose necessarie ai loro bisogni, spogliandone quelli che le possedono; finalmente non saremmo ingiusti, se rimproverassimo a tutti gli altri Popoli della terra i loro gusti prodotti dai loro clima, o dai loro giornalieri bisogni, o dalle loro abitudini?

Non è però il freddo che sia la cagione di dar noi quì gli abiti di panno, molti sono talmente schiavi dell’etichetta, che se anche gelaste nel mese di Luglio, porterebbero gli abiti di estate, che convengono tutte le nazioni da prendersi a Pentecoste; nella stessa maniera che se anche tuonasse perchè farebbe gran caldo nel mese di Frebbrajo, porterebbe gli abiti di velluto: per conseguenza non è il freddo la cagione per cui noi diamo gli abiti di panno, ma bensì la moda. Sono già molti anni che si porta impunemente il panno in estate, alla guisa delle altre stoffe di questa stagione, come taffettà, grograno, serpentina, senadrine, chyprienne, ed altro che abbiamo già annunciato. Ma cogli abiti di panno bisogna sottoporvi delle stoffe di seta d’estate.

L’abito che porta il giovine quì rappresentato è di panno verde nero foderato di seta dello stesso colore, bordato d’una pistagna color di rosa, e guarnito di larghi bottoni dorati, in cui sono scolpite delle figure, e dei paesetti. È inutile di dir quì che si portano diversi colori per gli abiti, e che la moda non è fissa che per la pistagna, che bisogna necessariamente adattare agli abiti. Il color di essa è pure arbitario, lasciato libero agli amatori che possono adottare quello che loro sia più in grado.

Sotto il suddetto abito porta i calzoni di senardine, color di coda di canario fermati sotto le ginocchia col centurino dei medesimi calzoni, che essendo longo termina con un fiocchetto di seta blò celeste.

Porta un gilet di moero a larghe righe gialle, e color di rosa colle saccoccie tagliate assai alte.

Le calzette sono a larghe righe blò, e color di rosa.

Le fiubbe alle scarpe ovali molto larghe. Queste fiubbe, che non sembrano essere che un giunco sono al di dentro divise, e presentano una superficie larga di tre, o quattro linee.

L’affetto dei capegli è a cinque ricci tre di sotto, e due di sopra con un largo quadrato tapet alla Greca. I capegli di dietro sono legati a coda.

La sua camicia è guarnita di manichetti, e di gala di batista. La gala dall’alto al basso è increspata come i manichetti.

Nei scarsellini dei calzoni tiene da una parte un orologio guarnito d’un semplice cordone di pelle nero Inglese, in fine del quale pende una chiave a suggello; e dall’altro un ritratto, ovvero un Regolalore altrimenti detto orologio a buffola, da cui pende una catena d’oro guarnita di bijoux d’oro.

Questo nuovo bijou unisce al vezzo d’una forma comoda ed elegante il vantaggio di riunire in una stessa cosa un quadrante solare, ed una bussola.

Il fondo della bussola è diviso in dieci in dieci gradi fino a trenta. Questa graduazione è necessaria per la declinazione dell’ago calamitato. Superiormente a questa bussola è alzato un piccolo quadrante solare delineato con tutta la possibile precisione. Indica le ore del Sole. Per conoscerle si posa orizzontalmente l’orologio solare: l’ago della bussola ha due estremità; l’una bianca, indica il mezzo dì, l’altra blò, indica il nord. Essendo l’estremità blò sopra il nord si gira la bussola fino a tanto che la freccia blò sia precisamente a venti gradi dalla parte dell’ouest; allora essendo così orientato si avrà l’altezza del polo, e l’ombra formata dallo stiletto perpendicolare al meridiano indicherà l’ora vera del sole. Si vede che questa procedura è infinitamente semplice.

Questo bijou conviene egualmente al Navigatore per guidare le sue corse; all’Agrimensore per dirigere le sue operazioni; al Mineralogista per aver indizio della presenza del ferro; al Letterato per regolare l’impiego della sua giornata; e al Damerino eziandio per le sue visite, ed analoghe occupazioni. Può servire di pedaglio all’orologio che potrà regolare col quadrante solare; e può eziandio tener luogo di scatola a ritratto. Il prezzo di questi bijoux è dalle lire ventiquattro vino a cento scudi in similoro, argento, ed oro, trovandosene a Parigi dal Sig. Nozèda presso il Palazzo Reale al n. 93.

Tavola

Delle Materie contenuto in questo Numero XXII.

Abbozzo della bellezza delle Donne Italiane. Pag. 291

Aneddoti. 294

Mode Ommesse. 299

Letteratura Galante. 300

Emblema della Rosa. 303

Origine delle Carte. 304

Enimma. Ivi

L’Accademia de’Silenziosi. Apologo Orientale. 306

La Regina di Gor. 309

L’Invidioso. 310

Spiegazione delle Tavole XLII. XLIII. Fig. 54. 55. 312 314.

Num. XXII 1786 Num. XXII. Abbozzo. Della bellezza delle Donne ItalianeSperiamo che nessuna vorrà disgustarsi di questo articolo, quando sappia che è stato scritto da una Donna bizzarra.. Le donne Italiane sono senza contraddizione in generale molto più belle Francesi, ma queste ultime sono al contrario più graziose. In Francia il sesso ha mille rissorse; in Italia è affatto monotono. La ragione è che la donna graziosa ha mille prospettive diverse, dove al contrario la bella non ne ha che una. Le donne debbono essere sicure di non piacer lungo tempo agli uomini, allorchè che non hanno da mostrar loro che un aspetto materiale per quanto bello che sia. Siate graziose, e troverete mille adoratori. In generale il viso delle Italiane non ha molto espressione, e vivacità. Quasi tutte le grazie svaniscono nella nostra penisola. Si direbbe che la bellezza delle donne Italiane è quasi in agonìa. Avvertite che io parlo in generale, e che in conseguenza eccettuo tutte quelle particolari che leggeranno questo articolo. Non si deve supporre per questo che le donne in Italia non si disputino l’Impero della bellezza, e che non cerchino tutti i mezzi di piacere, e d’incontrare il genio degli uomini. Questa inclinazione del bel sesso è propria di tutti i climi, e si trova in tutti i paesi. È una cosa molto seria in Francia l’accomodare il viso di una donna e metterlo in istato la mattina di mostrarsi per tutto il resto della giornata a una folla ammiratrice. In Italia è presto fatto. Una donna Italiana lascia alzandosi il suo viso com’egli è, L’uso del belletto ch’è in Italia generalmente adottato, fa eccezione a quanto qui si asserisce. Ormai le Italiane si adattano all’uso delle Francesi.e lo porta la giornata come si è trovato la mattina, ella procura davanti allo specchio di dar delle grazie a tutto il resto di sua persona: non v’è che il suo viso che non faccia toletta. Se alcuna vi presta qualche attenzione, questo è solo per dargli un’aria semplice, e un non so che di negligente che accresce la confusione delle sue attrattive. Questo è in Italia l’ultimo raffinamento della bellezza. Quelli che conoscono i differenti mezzi che le donne mettono in pratica per piacere ed incantare gli uomini, pretendono che un viso così semplice e naturale privo affatto di tutti i soccorsi ausiliarj e artificiosi sia molto più capace di fare delle vive impressioni. Io non ne dirò cosa alcuna, perchè bisogna non esser donna, o istruita nella scienza delle grazie e delle attrattive per sapere, se una pallidezza studiata, una semplice negligenza, una confusione affettata formino una bellezza. In quanto al carattere è cosa sorprendente l’osservare sino a qual punto il sesso Europeo sia guastato da una naturale fierezza che non lo rende in verità troppo amabile. Quando io vedo una donna molto più bella di me, scommetterei ch’ella è fiera ed orgogliosa, e in fatti esaminandola in seguito ho osservato, che se io avessi scommesso con qualcheduno, io avrei quasi sempre guadagnato. Io mi trovava un giorno in una brillante assemblea, dove vi erano molte Donne: osservate mi disse all’orecchio un mio Amico; ecco la Mar-chesa di . . . . Ella è sicuramente una bella donna, ma sì vana e sì vana e sì fiera di sua bellezza, che disgusta tutti quelli che la circondano. Non vi è alcuno che abbia tanta pazienza. Sarebbe meglio il servire sulle galere, che di essere condannato a vivere con lei ec. Aneddoti. Un paesano si presenta alla Casa d’un Chirurgo per farsi trar sangue, ma si troverano fuor di essa a caso ed il padrone ed i suoi allievi. Un giovine che si trovava presente, fa sedere il villano, gli stringe la legatura, lo punge, e il colpo non riesce. Senza sconcertarsi fa altrettanto coll’altro braccio, ma non è per questo più felice. Come, bestia, non hai sangue, e vieni a farti sallassare? Oimè! Signore, perdonatemi, io credeva di averne. Se si deve prestar fede ad alcuni Autori, a Roma le donne potevano qualche volta trattare le loro cause. Calpurnia avendo ciò fatto una volta, ed avendola perduta, fu così irritata contro i Giudici che si scoprì il deretano, e lo mostrò loro per dispregio. Fu sconcertata a tal vista la gravità dei Senatori, e per rimediare agli inconve-nienti che potevano inseguito succedere, fu ordinato che le donne non sarebbero state più ammesse a trattar le loro cause. Si doveva appiccare a Exeter un uomo che sembrava aver ricevuto un’onesta educazione. Il Giudice avendolo riconosciuto nell’atto che si pronunciava la sua sentenza, gli chiese novelle di diversi loro compagni di Collegio. Il ladro rispose: Oimè sono stati tutti appiccati, fuorchè io e voi. Una Dama Inglese essendo al letto di morte chiese di veder suo marito, e rammentogli i cattivi trattamenti, ch’avea da lui ricevuti. Quando credette d’aver eccitata la di lui sensibilità, scongiurollo per sua parte perdonarle in quello stremo un’ingiuria ch’aveagli fatta. Si perdonarono reciprocamente, ed ella confessò piangendo che gli era stata infedele. Bene, gli disse anch’egli piangendo il marito, voi mi perdonaste ed io vi perdono, e si tenean frattanto strettissimi in tenero abbraccio. Io lo supponevo, soggiunse il marito, e godo che i miei sospetti avverati sono. Voi provocaste la mia . . . Povera donna voi morite vittima del mio risentimento . . . Io v’ho dato il veleno! I due sposi sinceri s’abbracciarono ancor più teneramente dopo questa confessione, e la moglie spirò nelle braccia di suo marito. L’Inglese Fox, di cui sì sovente parlano i fogli, essendo ancor giovine, ricevette un giorno a pubblico desinare, ov’eranvi moltissimi Commensali, un colpo di buon pugno fu l’orecchia da suo padre. Cruccioso di tal correzione fuor di tempo, rende di tutta forza al suo vicino il colpo ch’avea ricevuto, e il punga di fargli far giro, sin che ritorni a chi primo lo die’. Scriffer già da Vienna d’essere stato commesso un rubbamento considerabile nell’Imperiale Palazzo. Introdottisi i ladri in un appartamento mobigliato di nuovo, ne derubbarono i galoni d’oro, le tappezzerie, e dei quadri preziosi. Questa notizia ci somministra l’occasione di citare l’aneddoto seguente, che potrà servire per soggetto di conversazione. Sotto il Regno di Enrico IV. si trovava in Francia una ladro celeberrimo, che acquistato si era una grande riputazione come i Cartouche ed i Mandrini di Francia; i Pittaluga ed i Cavallantini di Lombardia. Era figlio di un gentiluomo di Brettagna, e nomavasi Guillerit. Ingaggiato prima come soldato aveva in seguito ottenuto un grado di distinzione nell’armata destinata contro il Duca di Savoja. Fu riformato alla pace; ed in tali estremi non trovò altro mezzo di sussistere che facen-dosi capo di una banda di ladri. Le Provincie d’Aunis, e di Saintonge furono per dieci anni il teatro delle sue spedizioni. I boschi della Chataignere presso di Niort era l’esilo della sua truppa, ed il luogo in cui stabilito aveva il suo magazzino. Da questa specie di fortezza passava nelle vicinanze alla testa di 40 in 50 uomini determinati è divisi in tante squadre. Il terrore del suo nome e delle sue armi faceva timore a tutti; ma atraverso di questo carattere di scelleratezza si vedevano in lui dei tratti di maghanimità; e non fu mai complice di verun assassinio. Quando alcuno de’suoi in di lui assenza si rendeva colpevole d’un omicidio lo puniva col rigore più grande. Spingeva eziandio la generosità sino a somministrare denaro a chi non ne aveva. La vita errante e tumultuosa che menava esigeva dei frequenti travestimenti da prete, da eremita, da cavaliere per far cadere nelle sue reti diverse brigate a cui però non faceva alcun male. Il tratto seguente può dare idea del suo spirito. Trovò un giorno sulla strada da Niort alla Rochelle un Paesano a cui si avvicinò, e dal quale seppe che si portava a quest’ultima Città per dar l’ultima mano ad una lite. Me ne rallegro; gli disse Guillerit, noi faremo strada in compagnia; ma voi avrete senza dubbio del denaro, perchè senza di esso si fa nulla in tali affari. Il Paesano che cominciava a diffidare, rispose subito che non ne aveva. Noi dunque stiamo bene insieme, ripigliò il ladro, io ne ho meno di voi; ma mettiamoci in ginocchio, e preghiamo Dio di mandarcene. Il Villano che non aveva alcuna confidenza in questa sorte di metodo, lo fece con ripugnanza. Allora Guillerit si pose le mani in tasca, cercando fra gli angoli di essa, cavò cinque soldi, e ringraziò il Cielo, dandone la metà al Paesano. Fece in seguito un’altra genuflessione, e trasse quindi dalla sua saccoccia uno scudo, lo divise col suo Camereta, invitandolo a cercare pur esso nelle sue saccoccie per convincersi del miracolo. Al rifiuto del Villano Guillerit se gli avvicinò, e gli disse: Vediamo se Iddio non ha favorito voi pure, giacchè avete l’aria di un buon Cristiano, gli visitò quindi le saccoccie, e gli trovò una borsa di 50 scudi d’oro, che divise religiosamente dicendogli: Dubitava bene, che Dio vi amasse meglio di me. Mode Ommesse. Una moda nuova che si siamo dimenticati di annunciare è quella dei bottoni a righe assortite del colore delle righe dell’abito. Queste righe dei bottoni sono di colori più forti, e più espressi di quelli degli abiti. Se l’abito è soglio, e che sia bordato da una pistagna, giacchè di tai bottoni se ne mettono anche sugli abiti sogli, il fondo del bottone è del colore dell’abito, e la rigatura del colore della pistagna. Di questi bottoni se ne fanno di pelo di capra e le rigature sono di filo; se ne fanno di seta, e le righe di nastrini. Alcuni nominano tai bottoni, bottoni a guardie di spada: noi non conosciamo il significato d’una tale denominazione, e qual rapporto vi possa essere tra il disegno dì un bottone, e la forma d’una guardia di spada. Bisognerebbe prendere dei grandi telescopi per comprendere i rapporti, o bisognerebbe prestarsi di troppo all’illusione. Letteratura galante. Il Nobil sesso desiderarebbe da noi di tempo in tempo un indizio delle Opere nuove galanti, e piacevoli che sortono dai torchj Francesi, e Italiani per sapere con quali consagrare qualche momento in una lettura dilettevole, e grata. Veramente abbiamo finora trascurato un articolo molto prezioso; e ci confessiamo rei di trascuratezza. Ringraziamo perciò le persone che ce lo hanno rammentato, compromettendoci di arricchire qualche volta il nostro Giornale di un tale articolo cotanto utile, e interessante. Lovise, ou la Chaumière dans le marais, tradotta dall’Inglese 2 Volumi in 8 1787. È questa un’eccellente Operetta, che può essere riguardata come un perfetto modello, ed un luminoso esempio per il bel Sesso. Le figlie, le maritate troveranno un dolce interesse nell’imitare quest’amabile Luigia, che è certamente uno dei caratteri più perfetti, che siano mai stati rappresentati. Il soggetto è interessante, elegante lo stile, e la virtù vi è posta in tutto il suo splendore. Les Confessions d’Emanuel Figaro écrites par lui-même & publiés par une Religieuse ec. Addesso non si legge solamente per riportarne profitto, si legge anche per oziosità, per divertimento, per divertire gli altri, per ingannare qualche ore d’impazienza, per aver qualche cosa da dire nella società, per darsi l’aria capace di dire delle novità. È tale quest’Operetta, la quale già non può annojare, perché ne è il complessio gajo, vario, qualche volta serio, ma sempre semplice. Vi si trovano delle buone piacevolezze, dei sentimenti bene espressi; in somma è un libro, che si fa leggere. Guenilles dramatiques ramassées dans une petite Ville de la Suisse. 2. Vol. in 8. Il titolo è modesto, ma sono interessanti tutti pezzi che si contengono in questi due volumi. Si trova nel primo il Mendico virtuoso, Dramma in cinque atti, i Modelli, ed il Medico della Montagna; nel secondo il Medico Svizzero Tedesco, le Rendite vitalizie, ed i Pensionarj; graziose bagatelle bene dialogizzate, in cui il buon senso, ed il naturale fanno apparire ben ridicola la condotta delle Donne di mondo. Description des terres Magelaniques tradotta dall’Inglese in 16 1787. Poco sappiamo delle terre Magelaniche; appena se ne conosce il circuito. L’Autore abitò per al-cuni anni in questo paese, perciò ne dipinge il suolo, le produzioni, i diversi Popoli che lo abitano, i loro costumi, la religione, la cerimonia, la lingua ec. con descrizioni piacevoli, e interessanti. Fra le funebri lor cerimonie la più singolare è quella di fare coi loro morti dei scheletri, di conservarli in profondi cavi coperti di un tetto, e di cambiare loro gli abiti, e gli ornamenti con cui gli adornano. Non conosciamo altro popolo che abbia avuto un tal uso. Scelta raccolta di Romanzi, Novelle, Favole, Aneddoti ec. ec. tratti dai migliori Scrittori ec. Tomo 1 in 12 Milano 1787. Li pezzi contenuti in questo primo volume sono Clemenza d’Argelle, Aneddoto Provenzale; Azef, Favola orientale; il Decano di Badajos, Novella Spagnuola; l’Amor figliale, Novella Inglese; il Viaggiatore sentimentale, critica che verrà proseguita nel secondo volumetto. L’Editore ne promette un Tomo al mese; se la scelta, e la varietà dei soggetti sarà eseguita come nel primo, può egli sperare anche per i susseguenti volumi un’ottima accoglienza; ed il Pubblico potrà trovare in questa nuova Raccolta di che ricreare lo spirito, ed il cuore. Emblema della Rosa. In ogni tempo la rosa fu l’emblema della Primavera e degli amori. I Romani ne facevano delle corone per le loro belle, e davano ad esse il dolce nome di mea Rosa. A’Salenci, a Canon, ed in altri villaggi della Francia le rose coronano le virtù delle figlie. Diversi Feudatarj esigevano dai loro Vassalli un cappello di rose, ed in molti luoghi sussistono ancora tali galanti tributi. I Pari di Francia presentavano altre volte delle corone di rose ai Parlamenti, è quest’uso chiamato la baillée des roses. A Roma la quarta Domenica di Quaresima è chiamata la Domenica della Rosa. Il Papa fa la benedizione d’una rosa d’oro, che spedisce ad un Sovrano. Nel 1737. fu mandata alla Regina Sposa di Lodovico XV. Origine delle Carte. Non sarà forse discaro a taluno di aver quì alcuni indizj sull’origine delle Carte da giuoco, il di cui uso è ai nostri tempi cotanto alla moda. Di questa bella scoperta il genere umano è debitore a Giacomo Gringonneur Pittore di Carlo VI. Ne compose tre giuochi per divertire il Re durante gl’intervalli della sua malattia. Egli ebbe la sorte di accorciare la convalescenza di questo Monarca. Un uomo di spirito ha detto che non si presentavano delle carte da giuoco nella società, se non per evitare la conversazione degli ignoranti. Enimma. Tra la ragione austera, e il brio cortese, Tra il silenzio e la voce un mezzo io sono; Ho di parlar Arabo, e Greco il dono, Latino, Ebreo, Cinese. Sono uno pazientissimo animale; Ma benchè imparziale Per le Religion, misterj, e sette, Sempre i Papi anteposi al gran Muftì. Siccome il Sol sulle smaltate vette, Tal io diffondo il dì; Ma di suo raggio luminoso e bello Non sono adorno: al par di Raffaello I caratteri io pingo: eppur vien manco Il suo pennello. In due color finisce La tavolezza mia: Su fondo bianco Dipingo in ner: lineamenti e strisce Riduco in ordin vago; La tela li riporta: alcuna immago Più natural non fu. D’un quadro solo Posso trar mille copie, e far contento Un infinito stuolo. Io posso senza un empio incantamento Risciuscitar i morti e far tesori. Io cambio a poco a poco Le opinion comuni, i sparsi errori, E il mio poter ha loco Della Bigonica antica Ove armati di folgere nemica I Cittadini arditi Risvegliavan i popoli storditi. Dell’uom la guida, la ragion formai, E molti arcan svelai: Dalla mia libertà pende il mio fato; A nulla valgo se son io legato. Il moto dell’Enimma inserito nel pass. n. XXI è l’orologio. L’accademia de’silenziosi. Apologo orientale. Eravi in Amadan una celebre Accademia, di cui questo era il primo statuto fondamentale. Gli Accademici penseranno molto, scriveranno poco, e parleranno il meno che sia possibile. Essa chiamavasi l’Accademia de’Silenziosi, nè alcuno trovavasi in tutta la Persia del numero de’veri Sapienti, che non ambisse d’esservi ammesso. Il Dottor Zeb Autor d’un piccolo libro intitolato: La Mordacchia, seppe nell’angolo, ov’ei dimorava, della sua Provincia, che vacava un posto in tale Accademia. Pertanto senza frapporre indugio, si mette in cammino, e arriva in pochi gior- ad Amadan. Fortunatamente ritrova, che in quel dì appunto la silenziosa Assemblea si teneva adunata, occupandosi dell’importante oggetto di scegliere tra gl’infiniti concorrenti il più degno, e nominarlo in nuovo suo Membro. Presentasi egli alla porta della sala, e priega l’Usciere di rimettere al Presidente questa Supplica: Il Dottor Zeb dimanda umilmente il Posto vacante. L’Usciere s’incarica immediatamente della commissione, ma il Dottore, e la sua supplica arrivarono troppo tardi: il Posto era già conferito. L’Accademia restò desolata in vista di un tal contrattempo. Essa aveva accettato così costretta da’forzosi impegni un bello spirito della Corte, la cui garrulità vuota d’ogni sostanza faceva l’ammirazione di tutti i Chiazzolini della Città, e quindi ridotta vedeasi alla dura necessità di ricusare il Dottor Zeb vero flagello de’Sbajaffoni, testa veramente brava, e sì ben calzata sul dritto. Il Presidente dovendo annunziare al Dottore la disgustosa nuova, non vi si sapeva risolvere. Finalmente dopo essersi stato alquanto pensoso fece riempir d’acqua una gran tazza, ma così esattamente culma, che una stilla di più fatto avrebbe sgocciare il licore; poi fe’cenno che fosse introdotto il Candidato. Egli comparve con quell’aria di semplicità, e di modestia, che annunzia quasi sempre il vero merito. Il Presidente s’alzò, e senza proferir parola gli additò in afflitto sembiante la tazza emblematica, cioè quella tazza così perfettamente ripiena. Comprese all’istante il Dottor, che non v’era più posto per lui nell’Accademia; ma senza perdersi di coraggio pensò la maniera di far capire, che un Accademico so-pranumerario non avrebbe punto sconcertato il sistema. Vede casualmente a’suoi piedi una soglia di rosa, la prende, e ponla delicatamente sulla superficie dell’acqua, e il fa sì bene, che neppur non ne cola una sol goccia. Ad un risposta cotanto ingegnosa applaudirono tutti col battere delle mani: le Costituzioni, e le Regole non furono attese in quel giorno, e il Dottor Zeb fu ricevuto per acclamazione. Gli venne immediatamente presentato il Registro dell’Accademia, in cui devono i Scoj scrivere essi stessi il proprio nome. Vi si scrisse egli adunque, e altro più non gli rimaneva, ch’esprimere secondo il costume una frase di ringraziamento. Ma da vero Accademico Silenzioso il Dottor Zeb ringrazia senza proferir parola. Scrive in margine il numero cento, ch’era quello de’novelli suoi Socj; poi mettendo uno zero avanti la cifra vi scrive sopra: Non saranno nè più, nè meno (0100) al modesto Dottore con altrettanto di puliteeza di spirito il Presidente mette la cifra l avanti del numero cento, e scrive: Anzi varanno dieci volte più (1100). La regina di gor. Katifè Regina di Gor avea tutte le virtù, e tutti i difetti, o per meglio dire tutti i capricci, che si possono dare. Si piccava ancora di Filosofia, e un giorno disse al savio Zulbar: Io mi occupo seriamente a conoscer me stessa; ma ho bisogno d’essere ajutata in uno studio sì degno d’una Femmina ragionevole. Studiate un po’ voi il mio carattere, e fattemene un quadro, in cui mi ravvisi al primo colpo d’occhio. Il vostro carattere? Rispose Zulbar: ma quale; sublime Maestà? La vostra modestia dunque vi fa credere, che non abbiate; che un solo carattere? Meno son numerosi, e meno varj i fiori di Primavera di quello che lo siano le virtù, onde s’abbella il vostro animo ad ogni istante. Al veder queste nascere, e brillare tutt’ad un tratto, indi scomparire, e ricomparire di nuovo; al vederle confondersi insieme, accordarsi, e contrastare fra loro, posso ben io ammirarle, come chiunque altri; ma chi potrà mai descriverle, o soltanto numerale? Ho letto in un vecchio libro, seguitò il Filosofo, che un giorno la Luna voleva, le fosse fatto un abito conveniente al suo dosso, e di un colore uni-forme al suo. L’Artefice, a cui n’avea data la commissione, dissele ingenuamente: O Regina degli altri, voi ci comparite sotto tutte le forme, e in tutti i tempi; ora siete grande, ed ora piccola; alle volte bianca, alle volte pallida, alle volta vermiglia. Quale misura posso io prendere sopra un dosso, che non è mai lo stesso? Quale colore posso mai assortire ad una carnagione, che varia da una notte all’altra? L’invidioso. Il Santone Bazatlù non mangiava durante tutto il Ramazan se non un grapolo d’uva all’unico pasto, che faceva dopo il tramontare del sole. Egli avea scritto sulle pareti della sua cella queste parole. V’è Dio; le meditava continuamente, e faceva orazione con tanto raccoglimento, che gli uccelli prendendolo per una statua venivano ad appollajarsi sopra la sua testa. S’era grande la di lui pietà verso Dio; non fu minore la sua carità verso gli uomini, per cui si rese al sommo celebre per tutta la Natolia. Il suo Romitaggio era il refuggio de’miserabili, e de’penitenti. Qualunque fosse l’afflizione, che alcuno provava, qualunque peccato avesse commesso, andava a visita-re il buon Santone, e ritornavane consolato. Un abitante di Smirne portossi un giorno a ritrovarlo, e gli disse: O Santone io son povero, e mi darei pazienza, se vedessi il mio Fratello come son io; ma a lui tutte le cose van prospere, e il Cielo sparge sopra di lui i suoi doni con una profusione, che mi fa rabbia. Nè ciò è tutto: Io sono odiato, e disprezzato, mentre il mio Fratello troppo fortunato gode della pubblica stima, e dell’amicizia di tutte le oneste persone. Dovunque mi vò, convienmi a sentire gli offensivi elogj di sue virtù, e sono costretto ancora ad applaudirvi. O Santone io sono l’uomo più infelice del mondo. Deh pregate per me solo, e consolatemi, se potete. Le doglianze di quell’invidioso furono le prime, che il Santone ascoltò senza pietà: Vanne, gli disse acceso in volto di santo sdegno, vanne lungi da’miei occhi o nimico esecrabile di tutto il bene. L’Inferno consolerà te, che vorresti veder Dio avaro, e il tuo Fratello miserabile, e vilipeso. Tavola XLII. Fig. 54. Moda Francese. Le vestine all’Inglese, come abbiamo già detto, sono adesso più che mai di moda. Si riprendon ora con una specie di furore, e sembra sia stato l’abito di questa estate generalmente adotstato. Non v’ha però dubbio, che non gli debba essere disputato il vanto dalle vestine alla Turca, dai redingotti da uomo di taffettà, e dalle vestine di linon bianco; ma per ora le prime tengon ferme il loro impero. Nulla è cambiato dalla passata descritta lor forma; non v’è stato aggiunto alcun nuovo ornamento. Sono sempre d’uno stile semplice, ma piacevole. La Dama quì rappresentata è posta in una situazione teatrale. Ciò non deve sorprendere, sapendosi quanto sia grande il gusto e delle Francesi, e delle Italiane per rappresentare fra le loro società delle commedie, e delle tragedie, per le quali si sceglie sempre l’abito di moda, giacchè tali rappresentazioni devono essere le immagini dei costumi attuali, motivo per cui abbiamo creduto, senza timore di essere rimproverati, di poterla dar quì in atteggiamento teatrale. L’abito di questa Dama è di grograno verde-pomo. Sono ora variatissimi i colori degli abiti. Oltre le vestine rigate a righe assai strette, come abbiamo rappresentato, se ne portano molte di taffettà blò, di taffettà verde nero, gridellino, violetto ec. Sotto di queste, come sotto di quella segnata in questa Tavola si portano delle sottane di colore diverso di quello della veste; col verde-pomo si portano o violette, o pulcre, o prunes de Monsiuers; col blò si porta il color di rosa, o il bianco; col verde nero si porta il giallo, o il gridellino, o il bianco; col gridellino si porta il giallo, il color di rosa, o il violetto; e col violetto si porta il bianco, il verde nero, il giallo, o il color di rosa. Ha questa Dama in testa un cappello feltrato d’altissima testeria fatto di garza a righe larghe verdi, e rosa, cinto con un largo nastro violetto, formando un grosso gruppo d’avanti, e un altro di dietro, che lascia cadere assai basse le estremità dello stesso nastro. Al collo tiene un fazzoletto a gala assai gonfio. Alle mani dei guanti di pelle bianca. In piede delle scarpe color di rosa con falbalà di nastro verde. La pettinatura è a piccoli ricci; quattro grossi dei quali a due giri per parte restanle cadenti sul seno. I capegli di dietro sono acconciati sciolti alla senatoria, legati nel mezzo con uno spillone alla Cagliostro. Tavola XLIII. Fig. 55. Moda Francese. Sì: tuttocchè noi siamo ancora in estate, la moda ci presenta degli abiti di panno. Questo non deve giunger nuovo perchè i Francesi variando nei loro gusti, arrivano a secondare le stesse stagioni nell’incostante clima in cui soggiornano: lo stesso si dica anche di noi: nei giorni scorsi non è stato da più d’uno adottato l’abito di panno? Voi siete ben ingiusti, Popoli che abitate nei climi quasi sempre egualmente temperati della Grecia, che vivete sempre sotto un cielo sempre puro e sere-no, se avete in odio i Francesi per la loro incostanza nei loro gusti prodotti dal loro umore, e dalla stessa varietà del tempo. Noi saremmo egualmente ingiusti se rimproverassimo agl’Inglesi il loro umor nero, taciturno, melancolico, prodotto dal clima quasi sempre nuvoloso, e quasi sempre coperto di dense nebbie, che continuamente si alzano dalle acque da cui sono circondati; se rimproverassimo agli Spagnuoli la loro specie di abbattimento prodotto dal clima loro sempre caldo, sempre pesante; se noi rimproverassimo ai Turchi la deliziosa loro inazione per non dire la loro indolenza prodotta da un clima snervato coll’uso dell’oppio, e coll’abuso del piacere; se noi rimproverassimo ai Svizzeri, ed ai Tedeschi il loro gusto per il vino prodotto dal bisogno di opporre ad un clima freddo dei forti calori naturali, e dalla memoria che lascia al palato il sapore d’un liquore cotanto piacevole; se noi rimproverassimo ai Laponi l’insuperabile loro amore per le proprie abitazioni, prodotto tanto per la facilità di opporre dei calori moderati, e sparsi ovunque, a dei freddi eccessivi che congelano il loro paese, che per la loro facilità in soddisfare tutti i loro bisogni, ed i loro desiderj, e per l’abitudine di non ab-bandonare le loro case; se noi rimproverassimo ai Tartari la loro passione per la piraterìa prodotta dall’uso della guerra, dalla comodità di procurarsi le cose necessarie ai loro bisogni, spogliandone quelli che le possedono; finalmente non saremmo ingiusti, se rimproverassimo a tutti gli altri Popoli della terra i loro gusti prodotti dai loro clima, o dai loro giornalieri bisogni, o dalle loro abitudini? Non è però il freddo che sia la cagione di dar noi quì gli abiti di panno, molti sono talmente schiavi dell’etichetta, che se anche gelaste nel mese di Luglio, porterebbero gli abiti di estate, che convengono tutte le nazioni da prendersi a Pentecoste; nella stessa maniera che se anche tuonasse perchè farebbe gran caldo nel mese di Frebbrajo, porterebbe gli abiti di velluto: per conseguenza non è il freddo la cagione per cui noi diamo gli abiti di panno, ma bensì la moda. Sono già molti anni che si porta impunemente il panno in estate, alla guisa delle altre stoffe di questa stagione, come taffettà, grograno, serpentina, senadrine, chyprienne, ed altro che abbiamo già annunciato. Ma cogli abiti di panno bisogna sottoporvi delle stoffe di seta d’estate. L’abito che porta il giovine quì rappresentato è di panno verde nero foderato di seta dello stesso colore, bordato d’una pistagna color di rosa, e guarnito di larghi bottoni dorati, in cui sono scolpite delle figure, e dei paesetti. È inutile di dir quì che si portano diversi colori per gli abiti, e che la moda non è fissa che per la pistagna, che bisogna necessariamente adattare agli abiti. Il color di essa è pure arbitario, lasciato libero agli amatori che possono adottare quello che loro sia più in grado. Sotto il suddetto abito porta i calzoni di senardine, color di coda di canario fermati sotto le ginocchia col centurino dei medesimi calzoni, che essendo longo termina con un fiocchetto di seta blò celeste. Porta un gilet di moero a larghe righe gialle, e color di rosa colle saccoccie tagliate assai alte. Le calzette sono a larghe righe blò, e color di rosa. Le fiubbe alle scarpe ovali molto larghe. Queste fiubbe, che non sembrano essere che un giunco sono al di dentro divise, e presentano una superficie larga di tre, o quattro linee. L’affetto dei capegli è a cinque ricci tre di sotto, e due di sopra con un largo quadrato tapet alla Greca. I capegli di dietro sono legati a coda. La sua camicia è guarnita di manichetti, e di gala di batista. La gala dall’alto al basso è increspata come i manichetti. Nei scarsellini dei calzoni tiene da una parte un orologio guarnito d’un semplice cordone di pelle nero Inglese, in fine del quale pende una chiave a suggello; e dall’altro un ritratto, ovvero un Regolalore altrimenti detto orologio a buffola, da cui pende una catena d’oro guarnita di bijoux d’oro. Questo nuovo bijou unisce al vezzo d’una forma comoda ed elegante il vantaggio di riunire in una stessa cosa un quadrante solare, ed una bussola. Il fondo della bussola è diviso in dieci in dieci gradi fino a trenta. Questa graduazione è necessaria per la declinazione dell’ago calamitato. Superiormente a questa bussola è alzato un piccolo quadrante solare delineato con tutta la possibile precisione. Indica le ore del Sole. Per conoscerle si posa orizzontalmente l’orologio solare: l’ago della bussola ha due estremità; l’una bianca, indica il mezzo dì, l’altra blò, indica il nord. Essendo l’estremità blò sopra il nord si gira la bussola fino a tanto che la freccia blò sia precisamente a venti gradi dalla parte dell’ouest; allora essendo così orientato si avrà l’altezza del polo, e l’ombra formata dallo stiletto perpendicolare al meridiano indicherà l’ora vera del sole. Si vede che questa procedura è infinitamente semplice. Questo bijou conviene egualmente al Navigatore per guidare le sue corse; all’Agrimensore per dirigere le sue operazioni; al Mineralogista per aver indizio della presenza del ferro; al Letterato per regolare l’impiego della sua giornata; e al Damerino eziandio per le sue visite, ed analoghe occupazioni. Può servire di pedaglio all’orologio che potrà regolare col quadrante solare; e può eziandio tener luogo di scatola a ritratto. Il prezzo di questi bijoux è dalle lire ventiquattro vino a cento scudi in similoro, argento, ed oro, trovandosene a Parigi dal Sig. Nozèda presso il Palazzo Reale al n. 93. Tavola Delle Materie contenuto in questo Numero XXII. Abbozzo della bellezza delle Donne Italiane. Pag. 291 Aneddoti. 294 Mode Ommesse. 299 Letteratura Galante. 300 Emblema della Rosa. 303 Origine delle Carte. 304 Enimma. Ivi L’Accademia de’Silenziosi. Apologo Orientale. 306 La Regina di Gor. 309 L’Invidioso. 310 Spiegazione delle Tavole XLII. XLIII. Fig. 54. 55. 312 314.